Jacopo Brogi
Viaggio nell’Iran di Khamenei: ciò che i nostri media non dicono…
Un fiume impetuoso di persone va riempiendo il mausoleo dedicato all’Ayatollah Rouhollah Mousavi Khomeini. Il 3 giugno ricorre l’anniversario della morte e a breve parlerà il suo successore: Seyyed Ali Khamenei. In quella che l’Ovest definisce una spietata dittatura, poliziotti e guardie disarmate vigilano la gigantesca struttura dove affluisce popolo da tutta la nazione.
Era il 1989 e Khomeini lasciava il suo esempio terreno ed il compimento di una rivoluzione politica e spirituale che continua ancora oggi, dopo ben 35 anni: il 6 giugno 1989, oltre 10 milioni di persone si riversarono in strada per dargli l’ultimo saluto.
Si, avete capito bene. Perché essere oggi una nazione indipendente che ha resistito al trentennio feroce della globalizzazione selvaggia arrivato dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica – dove interi Stati e interi continenti, soprattutto quello europeo, sono stati resettati cadendo come birilli sotto i colpi della finanza internazionale e delle multinazionali del triunvirato Washington, Londra, Tel Aviv, via Bruxelles e Francoforte – significa aver costruito una rivoluzione permanente.
Se i popoli occidentali si ritrovano oggi nel caos dell’identità perduta e del crollo demografico; dell’economia disastrata e dell’impoverimento diffuso e sistematico, altri mondi vivono una crescita ed uno sviluppo costruito nonostante le sanzioni, i tentativi di colpo di stato, la propaganda delatoria incessante ed onnipresente.
E questo sviluppo di relazioni, di interazioni umane, di sentimenti, prima ancora che di economie e geo strategie, si nota ad occhio nudo. Un Paese strapieno di giovani e giovanissimi è oggi ampiamente rappresentato qui. E attende.
Sono giorni di lutto in Iran, dopo la morte del Presidente Ebrahim Raisi, del Ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian e degli altri passeggeri dell’elicottero caduto il 19 maggio. I pannelli commemorativi, i manifesti, le icone di Raisi e Abdollahian sono ovunque: nelle strade, negli esercizi commerciali, nei pubblici palazzi. Milioni di persone si sono riversate in strada ai loro funerali e non c’è bisogno di spingere il popolo, lo si capisce anche alle celebrazioni per Khomeini.
L’immensa partecipazione, il coinvolgimento di massa, i volti, i gesti, la solidarietà sono gli ingredienti umani di una coesione comunitaria in cui l’aspetto religioso è centrale, che poi si salda alla coscienza politica del singolo e del popolo, di nazione indipendente che si è riscattata dalla dittatura dello Scià di Persia, il gendarme del Golfo Persico comandato a bacchetta da Washington, mentre la Savak, la sua polizia segreta, era addestrata da Tel Aviv.
La tensione e l’attesa arrivano al culmine, diversi giovanissimi vengono portati via in barella, sono rimasti mezzi storditi nella calca per rendere omaggio all’Imam Khomeini.
Quando Seyyed Ali Khamenei giunge alla folla, le scene di giubilo, di gioia sono incredibili. Parliamo di un distinto signore di 85 anni, accolto come da noi non potremmo mai, abituati solamente a idolatria da rockstar e da celebrità usa e getta prefabbricate dalla propaganda. Figuriamoci emozionarsi per le autorità politiche, men che mai per quelle religiose, in una società ormai spappolata e secolarizzata fino al midollo dal Dio denaro.
Al centro del discorso di Khamenei c’è il genocidio, la tragedia palestinese che “è diventata la principale questione del mondo, con gli studenti delle università americane che scandiscono slogan di solidarietà per la Palestina”.
Mentre la resistenza ha messo Israele “su una strada che è la sua decadenza e distruzione”, sventando “la grande cospirazione internazionale nella regione dell’Asia occidentale”.
Due giorni prima, sempre qui a Teheran, all’International Summit on Gaza “The Oppressed but resilient” delegazioni di ogni parte del globo si sono unite al popolo palestinese. Un’intera giornata di dibattito e di confronto sul bivio che tutti noi stiamo affrontando: sarà ancora e sempre l’Occidente a imporre lo stesso destino per tutti?
L’International Summit su Gaza, intitolato “The Oppressed but Resilient” – TEHRAN, 1 giugno 2024 – tehrantimes
Khamenei va avanti e cita analisti dell’Ovest che definiscono “grave” la sconfitta subita da Israele per mano del fronte della resistenza nell’Operazione Tempesta Al-Aqsa: ciò che secondo l’Imam “cambierà il mondo”.
In vista delle elezioni presidenziali del prossimo 28 giugno, chiede poi grande partecipazione popolare e moralità da parte dei candidati in lizza.
A proposito di democrazia e visto che per i nostri politici, così tanto diffusamente detestati, la vera democrazia sarebbe soltanto occidentale.
Proveremo magari a confrontare l’affluenza alle prossime elezioni europee con quella delle elezioni iraniane. La risposta mainstream la sappiamo già, prefabbricata in anticipo: in dittatura c’è sempre una grande e falsa affluenza.
E quindi, chiediamo: la ormai consueta astensione massiva alle nostre urne è segno di vitalità e legittimazione di un sistema realmente democratico?
Il mausoleo si sta svuotando con ordine, mentre ondate di fedeli si riversano ai baldacchini adiacenti, ognuno vuol riacchiappare, senza neanche troppa fretta, le proprie scarpe e ci si ritrova a farsi trasportare dalla corrente: il fiume impetuoso si è rimesso in cammino, ma non vola una lite o un intralcio, se non un latente brusio. Siamo in una località oggi più che mai ad altissimo rischio attentati; e la polizia è disarmata, perchè in un luogo di culto non si può agire con violenza.
Alzi la mano chi conosce una realtà umana e sociale ideale, fattuale ed esente da problemi e contraddizioni. Non credo esista in questo mondo.
Da nessuna parte.
Però esistono realtà a misura d’uomo costruite su basi valoriali, culturali, spirituali e materiali comuni. Mentre l’Occidente sta scomparendo come massa informe di atomi dispersi nel mercato, privi di senso di comunità e gestiti da un governo tecnocratico sovranazionale nemico del popolo, altrove ci sono i singoli, le famiglie e lo Stato. C’è la società. Mentre da noi si sta decomponendo in nome di una libertà individuale sempre più formale ed evanescente.
“In Iran mi sento davvero libera, non come a Manchester”, dice una signora iraniana che mi ritrovo seduta accanto in aeroporto prima della partenza, con cui scambio quattro chiacchere.
Vive in Inghilterra dove il marito lavora e le figlie hanno un buon impiego. La donna mi racconta di mal tollerare l’oppressione di un sistema di controllo digitalizzato invasivo e sistematico: “troppe telecamere, troppi controlli, troppe diseguaglianze economiche. Invece in Iran è diverso. Vorrei tornare a vivere qui appena avrò una pensione, ormai sono in Inghilterra da tanti anni”.
Le racconto della cerimonia al mausoleo e di ciò che abbiamo visto. “Sono orgogliosa del mio Paese: ora siamo indipendenti”.
Mentre si avvicina il volo di ritorno e sto per chiudere questo articolo, mi torna alla mente il contrasto evidente tra la sacralità della folla del mattino in attesa della Guida Suprema Khamenei ed il materialismo luccicante dell’Iran Mall di qualche ora più tardi: il centro commerciale a nord della capitale è oggi il più grande del mondo, ben 21 milioni di metri quadri. Fu utilizzato da hub vaccinale anti-Covid durante l’emergenza, quando Khamenei proibì per legge i vaccini a mRna americani Pfizer e Moderna nel gennaio 2021, puntando su quello nazionale.
Questo pomeriggio, l’Iran Mall è pieno di giovani coppie, molte ragazze non portano il velo, moltissime altre sì, tutte impegnate nello shopping tenendo d’occhio al contempo i propri bimbi fra fontane, supermercati, aree giochi e sale cinematografiche costruite appositamente per famiglie di tutte le età.
Molte di loro saranno pure state alla cerimonia del mattino, in ricordo dell’Imam Khomeini, non troppo lontana dal centro commerciale più grande del mondo, che fa impallidire qualsiasi shopping center dell’Ovest – civilizzatore in quanto a varietà dei prodotti e modernità.
Che strano paese è questo: non doveva essere un regime intollerante, oppressivo, violento e rimasto al medioevo? Almeno così ci dicono sempre, in tv. Ma anche al bar, se mai si dovesse intraprendere la chiacchera “Iran”.
La guerra che stiamo tutti attraversando, quella dell’Ovest contro l’Est è questa: non tutto il mondo vuol vivere come noi, ci sono popoli che vogliono continuare a vivere in maniera differente, a modo loro.
Pubblicato in partnership su ComeDonChisciotte
(https://t.me/ideeazione)