Fin dalla nascita della Repubblica Italiana venne riconosciuto il diritto alla salute, diritto inviolabile e assoluto, sancito dall’art. 32 della Costituzione. Passarono molti anni e molte leggi per migliorare la messa in pratica del diritto alla salute, ma ormai la strada era stata segnata e ciò che avvenne nel 1978 fu solo la riorganizzazione di tutte le riforme fino ad allora messe sul campo con la creazione del Servizio Sanitario Nazionale con l’emanazione della legge 833.
Si riusciva così a strutturare e a mettere sotto l’ombrello statale tutte le strutture e tutto il personale con il solo fine di assicurare la promozione, il mantenimento e il recupero della salute psico-fisica di tutta la popolazione. Dopo la caduta della Prima Repubblica, lo Stato si accorge dell’enorme quantità di denaro pubblico occorre per il mantenimento del SSN (anche perché troppi sono gli sprechi e i fondi male investiti), ed inizia l’inizio della fine.
Con le riforme del ‘92-’93 e del 1999 si rafforzano i poteri delle Regioni in campo sanitario, ma è con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 che avviene, di fatto, lo smantellamento sul campo del SSN.
Da tale data, le competenze territoriali passano direttamente alle Regioni, le quali aziendalizzano i propri comparti sanitari, introducendo il fattore “profitto”.
Dal 2001 ad oggi si è visto infatti come sia stato volutamente pianificato l’indebolimento del SSN a favore di quelle aziende private che hanno avuto un vero e proprio boom, nonostante la crisi economica che ormai imperversa nel nostro paese da anni.
Ciò ha stravolto di fatto l’art.32 della Costituzione: se infatti veniva sancito il principio alla tutela della salute di tutti i cittadini, ora solo chi ha le possibilità economiche può curarsi in tempo, mentre la maggioranza della popolazione si deve accontentare di ciò che “passa il convento”.
L’apoteosi di questa drammatica situazione l’abbiamo vissuta tutti nel biennio 2020-2022 con la psicosi della pandemia: con i servizi territoriali e i presidi sanitari ed ospedalieri indeboliti da anni di privatizzazione abbiamo assistito a carenze di tutti livelli (da quello di materiali a quello di personale, per passare da quello della mancanza di posti letto).
Ciò non è stato determinato dal caso, ma è stato un chiaro disegno politico trasversale, che ha riguardato tutti i partiti, da sinistra a destra, degli ultimi 30 anni che hanno abbracciato supinamente la “way of life” statunitense, unitamente agli “eurocrati” dell’UE. A nulla sono valse quelle poche voci discordanti, che seppure, provenienti da migliaia di persone, hanno sempre rappresentato la minoranza della popolazione, e nella maggior parte dei casi si sono mossi divisi, mentre il “nemico governativo” è stato sempre compatto.
Oggi esistono di fatto cittadini di serie A, che sulla base delle proprie disponibilità economiche riescono a fare privatamente e subito esami diagnostici ed interventi chirurgici e cittadini di serie B, la stragrande maggioranza, che proletarizzata, deve attendere il proprio turno mettendo a rischio la propria salute, perché le liste di attesa sono chiuse oppure perché manca personale.
Basta però poco per rendersi conto che tutto ciò (ribadisco) sia voluto: una mia personale inchiesta sul “campo” in giro per alcune strutture territoriali della mia regione, l’Umbria, mi ha fatto vedere come stanno realmente le cose. Incrociando dati su un’eventuale esame diagnostico da fare, trovando liste chiuse oppure sature, mi sono poi fatto un giro presso quelle strutture per verificare se erano realmente oberate di lavoro oppure no.
Ebbene come volevasi dimostrare: ho potuto appurare che in intere strutture, che appaiono oberate di lavoro, non ci sono code chilometriche, anzi, sono vuote e addirittura i medici sono presenti, ma si girano i pollici dentro i propri studi, eppure ci fanno aspettare mesi per un esame!
Questi mostruosi ritardi rischiano di far più morti di una vera epidemia, in quanto tutti gli esami che tendono a diagnosticare per tempo malattie come i tumori sono posticipati “sine die”.
Il 10 marzo scorso varie organizzazioni sindacali di categoria e semplici cittadini, sono scesi in piazza in varie città umbre per difendere la sanità pubblica e contro la governatrice dell’Umbria: chiedo venia, ma dare la colpa all’ultima arrivata mi pare ridicolo dato che sono 30 anni che hanno iniziato lo smantellamento della sanità pubblica.
Dove erano allora i sindacati confederali? E le organizzazioni di categoria?
E più che altro i cittadini , il popolo dove era? Se lotta deve essere lotta sia, ma una lotta vera che parta dal basso, senza sindacati venduti e senza partiti di regime (maggioranza e opposizione sono la stessa cosa!).
La privatizzazione della sanità va di pari passo con le privatizzazioni di tutti i settori strategici della nostra Patria: dall’acqua alla difesa, passando per l’energia e lavoro, le telecomunicazioni e la Banca Centrale.
Solo un sistema Socialista e Patriottico potrà portare alla rinazionalizzazione di tutti questi comparti strategici e di tutte le aziende italiane (una volta nazionalizzate) che hanno portato fuori Italia la propria sede legale e fiscale per pagare meno tasse, una su tutte l’Enel: nessun altro stato avrebbe permesso tale scempio come quello che è stato permesso in Italia, uno scempio socio-economico.
IL POPOLO E’ IL VERO PADRONE DELLA PATRIA, NON I VENDUTI GOVERNANTI. RIPRENDIAMOCI CIO’ CHE E’ NOSTRO, SANCITO DALLA COSTITUZIONE,E LIBERIAMO L’ITALIA DAI SERVI DI WASHINGTON E BRUXELLES.
Emanuele Fanesi Coordinatore per l’Umbria di Italia Libera