Francesco Toscano
Un numero non irrilevante di scemi ritiene che la vittoria di Trump su Harris non modificherà affatto i rapporti di forza sul piano internazionale perché “l’Imperialisno americano rimane stabile nonostante l’alternarsi dei diversi Presidenti”.
Si tratta di un ragionamento tipico degli ottusi che ragionano secondo categorie preconfezionate.
Se fossero vissuti nel IV secolo d.C. questi sofisti avrebbero sostenuto che “la vittoria di Costantino piuttosto che quella di Massenzio non influenzerà i futuri processi storici perché Roma rimarrà Roma”.
Invece sono proprio i cambiamenti interni al cuore dell’impero quelli che producono gli effetti più evidenti che a cascata condizionano la periferia.
Noi non esaltiamo Trump, ne vediamo i limiti e gli errori, ma non siamo così alienati da non riconoscere che la vittoria del repubblicano più odiato dall’establishment globalista rappresenta un obiettivo punto di rottura rispetto all’ordine mondiale forgiatosi all’indomani della caduta del Muro.
Come ha correttamente detto Putin nel discorso di Valdai “i prossimi 20 anni saranno difficili” perché i vecchi equilibri sono saltati e i nuovi sono ancora fragili”.
Compito nostro deve essere quello di riconoscere i segni dei tempi per accompagnare un cambiamento epocale gravido di rischi ed opportunità.