Antonio Catalano
Ieri (sabato, ndr) la sezione romana Koiné (Centocelle-Tuscolano) di Democrazia Sovrana Popolare ha tenuto presso la ex sala consiliare del Municipio V la conferenza “Una scuola senza zaino?”.
Dopo la bella, asciutta ma precisa presentazione del presidente di sezione, è toccato a me l’onore di svolgere la relazione.
Prima di entrare nel vivo del tema in oggetto, ho ritenuto necessario illustrare i passaggi storici fondamentali che portano alla scuola odierna, nella quale l’obiettivo primario non è l’insegnamento ma l’addestramento delle nuove generazioni al verbo neoliberista (in salsa Agenda 2030).
La scuola si è andata infatti snaturando, perdendo la sua caratteristica fondamentale: permettere alle giovani generazioni di appropriarsi di una formazione culturale basata sull’apprendimento disciplinare delle varie branche del sapere in modo che in esse si sviluppi la consapevolezza critica, fondamento di una cittadinanza sostanziale, non formale.
Purtroppo la scuola, dalla fine degli anni ’90 in particolare, ha sciaguratamente imboccato il superamento della scuola “tradizionale”, distruggendone i principali cardini: lezione frontale, studio (dedicarsi a qualcosa, applicarsi, studium è zelo, diligenza, ma anche desiderio e passione), verifiche (ridotte a quiz, test e amenità del genere), valutazione.
Una scuola deconcettualizzata e omologata, nella quale gli insegnanti (insegnante: colui che lascia il segno) sono considerati superflui, bastano infatti generici operatori scolastici – chiamati facilitatori – con una preparazione principalmente socio-pedagogica, che svolgano funzione di intrattenitori e animatori.
Una scuola concepita come una gioiosa macchina di accoglienza inclusiva finalizzata alla socializzazione; con i singoli istituti retti da dirigenti-manager in concorrenza reciproca per accaparrarsi nuovi clienti (a questo servono gli “open day”); nella quale preparare soprattutto consumatori; nella quale non serve oramai più quella cultura generale una volta considerata precondizione di una formazione “alta”.
Come diceva negli anni ’50 il comunista Concetto Marchesi, «l’emancipazione dei ragazzi della classe lavoratrice implica l’appropriazione dei tesori universali della cultura alta».
In piena sintonia con quanto un po’ di tempo prima aveva detto Antonio Gramsci: «L’emancipazione e l’elevazione dei ceti popolari passa per l’apprendimento della cultura “alta”».
Perché la scuola possa tornare a essere fattore di crescita culturale e di emancipazione è necessario che si prenda atto del disastro procurato da tutti coloro che l’hanno prostrata e devastata… in nome di un progresso caro al capitale neoliberista.
La scuola “progressista” ha inferto un danno enorme ai ceti popolari, in quanto l’abbassamento degli standard ha aumentato, non ridotto, le disuguaglianze sociali.
La relazione si è conclusa con l’indicazione di un lavoro in controtemdenza, quello dell’associazione “ContiamoCi!”, sorta nell’aprile 2023.
Da un suo convegno è nato il libro a ventotto mani “Per una scuola che torni a essere scuola”.
Un grazie particolare a tutti i partecipanti. Alla prossima!