L'Italia Mensile

SUI FATTI DI SABATO A ROMA

Antonio Catalano

Come ampiamente prevedibile, la manifestazione di sabato 5 scorso a Roma, con epilogo di scontri con la polizia, è servita solo a complicare la vita a chi sostiene la legittima e giusta causa della solidarietà al popolo palestinese e la legittima e giusta condanna di uno Stato (Israele) che esprime ferocia ingiustificata e fa di tutto per aizzare un conflitto generalizzato nell’area, come conviene al suo potente padrino americano.

Il problema non è la legalità fine a se stessa – quando è necessario la legalità va sfidata – ma il fatto che politicamente si concede a chi non gliene frega nulla della costruzione sociale di una reale opposizione sia alla condotta genocidaria israeliana sia all’aumento esponenziale di una guerra generalizzata (a questo punto dovrebbe essere abbastanza chiaro anche ai più scettici la volontà americana di andare a un’estensione del conflitto in un’area che ritiene strategica per il mantenimento del suo ruolo egemonico mondiale) di conquistare le prime pagine della cronaca.

Come scrivevo sabato (https://www.facebook.com/antonio.catalano.100483/posts/pfbid02scZxCgjuUjZsshYqNQ3rLnStbmqx7uvzcg71WpCjEJvm6ySAvU4V5Wv8E5pK71DRl), era politicamente inopportuno organizzare una manifestazione a ridosso del 7 ottobre, proprio per evitare di cadere nel tranello della “narrazione del 7 ottobre” utilizzata da sionisti e filo sionisti a giustificazione dell’aggressività di Tel Aviv, che va ben oltre la Striscia di Gaza, a dimostrazione del fatto che la “reazione” israeliana al 7 ottobre è stato solo un pretesto.

Nell’area politica che ha partecipato alla manifestazione romana di sabato si va dalla solita sottolineatura che i “violenti” non c’entrano nulla con i pacifici dimostranti all’accusa di repressione rivolta alle forze dell’ordine.

Per quanto riguarda i primi, be’ c’è da dire che o ci sono o ci fanno, forse tutte e due le cose insieme, non ci vuole la zingara per indovinare come andranno le cose date certe premesse, il copione lo si conosce a memoria, quindi c’è responsabilità politica.

Per quanto riguarda i secondi, questi sono oggettivamente, cioè nei fatti, a prescindere dalla più o meno individuale consapevolezza, responsabili di un intorbidamento delle acque utile solo a chi sostiene la deriva guerrafondaia.

Non si scende in piazza per attaccare le “guardie” (mentalità da disadattati sociali), si scende in piazza per dimostrare l’intenzione di voler pubblicamente rappresentare un punto di riferimento per tutti coloro che non tollerano il fatto che un popolo (palestinese) sia trattato come carne da porco e che è nel comune interesse dei popoli contrastare la corsa all’allargamento del conflitto scatenato da chi (Usa) non vuole perdere il controllo del mondo (unipolarismo).

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