Un esordio davvero dei più repressivi e preoccupanti quello del governo Meloni, riguardo la giustizia… Ha suscitato scalpore il progetto di legge per portare a pene dai tre ai sei anni i raduni non autorizzati, da un certo numero di persone in poi: da utilizzare non solo in caso di rave party, ma anche di altri tipi di manifestazioni, anche per eventuale dissenso politico: pene maggiori che in caso di occultamenti di cadavere… nonostante esistessero già leggi in merito; il progetto di legge era talmente pericoloso e mal espresso che il governo stesso ha dovuto fare marcia indietro al riguardo, promettendo modifiche.
Tuttavia, un aspetto ancora più allarmante riguarda la posizione del governo sulla questione del superamento dell’ostatività automatica, in caso di reati contro la sicurezza dello Stato: mafie (dal 1992) e per terrorismo politico (successivamente alla comparsa delle Nuove Brigate Rosse, nei prima anni duemila). Già in passato, in effetti, parlamentari di Fratelli d’Italia, oltre che della Lega, si erano distinti per astiose ed infondate proteste, con tentativi di interrogazione parlamentare, nel momento in cui esponenti dell’associazione volontaristica “Nessuno tocchi Caino”, avevano attuato delle visite a detenuti al 41 bis, in Sardegna: interrogazione parlamentare rientrata, dopo che il capo del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) aveva definito legittima ed autorizzata la visita: un modo per rendere più trasparente e meno opaca la situazione in quei reparti, già quasi impenetrabili e segnati da grave isolamento per i reclusi.
Riguardo l’ostatività, c’è da tenere assolutamente presente che la Corte Costituzionale, quindi la più alta giurisdizione d’Italia, l’aveva definita incostituzionale, riguardo la negazione automatica di tutti i benefici, le attenuazioni dei gradi di intensità della pena, in due sentenze: del 2019, in generale, e del 2021, a proposito della possibile liberazione condizionale di persone in situazione di ergastolo ostativo. Il “doppio binario”, tra ergastolo ordinario, che non preclude automaticamente benefici, ed ostativo, veniva quindi dichiarato illegittimo, poiché il carcere non deve precludere automaticamente la possibilità della speranza.
Per attuare tali importantissimi principi di civiltà, che segnano anche l’uscita dalle misure quasi di guerra attuate al tempo delle stragi di mafia del 1992, la Corte Costituzionale (Consulta), aveva dato un anno di tempo al Parlamento, che in quanto organo legislatore doveva tradurle in legge. Tuttavia, il Parlamento non aveva rispettato i tempi previsti per cui, ad un anno dalla sentenza del 2021, nell’aprile 2022 la Corte Costituzionale aveva dato al Parlamento altri sei mesi di tempo, poiché la Riforma era passata in una delle due Camere, con il voto favore di tutti i partiti.
Si era infatti votato un testo che, pur con diverse sfumature e cautele, sostanzialmente superava il concetto di ostatività automatica; l’unico voto non a favore era stato proprio quello di Fratelli d’Italia, che aveva considerato il testo discutibilmente “permissivo”, nonostante le chiare ed incontrovertibili indicazioni della Consulta. Il giorno 8 novembre, comunque, era previsto la conclusione della riforma, ma la caduta, di pochi mesi precedente, del governo Draghi, ha nei fatti rappresentato una battuta d’arresto anche per la Riforma Cartabia, dal nome della stessa ministra Cartabia, che era stata già presidente della Corte Costituzionale, prima di accedere al Ministero della Giustizia.
Già a fine ottobre, così, si è assistito ad un ulteriore episodio, che ha reso veramente tormentato il percorso del progetto di legge: con un decreto legge del 31 ottobre, è stato prorogato, per tutto il tempo di durata di tale decreto, il già accertato regime incostituzionale dell’ergastolo ostativo. Un decreto legge attuato non in situazioni di urgenza, a differenza, dei normali decreti; un atto che cela, probabilmente, la volontà di marcare l’impressione di una discontinuità col governo Draghi, per assecondare elettori spesso non bene informati, dalle tendenze giustizialiste ed a tratti dichiaratamente forcaiole… Addirittura, da parte del governo Meloni, era stato espresso “orgoglio” per il carcere automaticamente ostativo… Una discontinuità che si cerca di sottolineare, probabilmente proprio perché, invece, gli aspetti di continuità non sono pochi, in altri ambiti: ad esempio in quello dell’atlantismo… In che modo, quindi, interpretare tali dati?
Certamente, il governo non potrà ignorare del tutto le indicazioni della Corte Costituzionale, ed una parte significativa dell’opposizione ha fortemente deplorato il rinvio di quella che era la Riforma Cartabia: nel momento in cui si dovrà passare da un decreto legge ad una legge, sarà necessario tenere conto della incostituzionalità della presunzione assoluta di pericolosità, in caso di non collaborazione con la giustizia. Per evitare, così, una completa eversione dell’ordinamento costituzionale, sarà quindi necessario accogliere, in linea di principio, la possibilità di possibili benefici anche in caso di non collaborazione con la giustizia.
Tuttavia, il rischio è che vi sia una operazione di superficiale “maquillage”, e che la riforma venga svuotata di fatto, con troppi paletti, per aggirare la possibilità di un più radicale cambiamento. Già l’esponente di Fratelli d’Italia, Andrea Delmastro Delle Vedove, aveva parlato infelicemente di “gargarismi garantistici” a proposito delle possibili misure alternative al carcere. C’è invece da tenere presente che sono ancora poche (ma ci sono) persone uscite da situazioni di ostatività senza collaborazione con la giustizia, ma la maggioranza è ancora in questa condizione: si tratta di persone, in realtà, tutt’altro che impunite, che in molti casi avevano preferito pagare nel modo più duro, piuttosto che esporre familiari a sradicamenti e rischi di rappresaglie, secondo quanto riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale.
Inoltre, intento dichiarato dello stesso rappresentante di “Fratelli d’Italia” è anche, di fronte alla non ammissibilità della preclusione assoluta ai benefici stabilita dalla Consulta in caso di non collaborazione, il tentare di considerare tante preclusione relative… Al riguardo, si può analizzare che bisogna distinguere tra “paletti ragionevoli” per forme di liberazione anche parziali, tra cui l’assenza di nuovi reati e la recisione dei legami con il crimine, rispetto a “paletti svuotanti” e non in linea con principi costituzionali, tra cui il continuare con la prassi, sostenuta proprio da Delmastro Delle Vedove, poi divenuto addirittura sottosegretario di Stato alla Giustizia, di tenere intrappolate in carcere persone solo perché ritenute “punti di riferimento” eventuali per altre persone, in assenza di prove e nonostante spesso pubblici inviti dei detenuti a non seguire il crimine.
Oltre alla questione della responsabilità penale personale, per cui non si può essere ritenuti responsabili di posizioni (eventuali) di attuali sodalizi mafiosi, c’è da considerare che quanto richiesto sia una vera e propria “prova diabolica”, ossia l’inversione dell’onere della prova: in pratica, è in questi casi il carcerato che deve dimostrare di essere innocente rispetto a nuovi reati…una situazione non in linea con i principi che regolano il garantismo costituzionale. Un altro rischio da scongiurare è una modifica dell’articolo 27 della Costituzione, nel senso di un peso eccessivo da dare alla sicurezza, rispetto alla riabilitazione dei detenuti. Una tentazione che non è nuova, dichiaratamente, per esponenti di una destra puramente conservatrice, in cui non prevalgono aspetti liberali né sociali: per quanto una cultura garantistica possa essere a tratti diffusa in modo trasversale, rispetto alla varie sinistre e destre, e così le impostazioni giustizialistiche, bisogna notare che più volte le posizioni d una parte rilevante di “Fratelli d’Italia” sono state lontane dai principi formulate nell’articolo 27, che stabilisce la riabilitazione del detenuti e la non ammissibilità della pena di morte.
Il decreto di fine ottobre avrà scadenza il 30 dicembre, dopodichèé una legge che tenga conto, riguardo i principi e nel concreto, delle indicazioni della Corte Costituzionale, è ineludibile; la Consulta, in caso di mancanza ottemperanza del Parlamento, ha in effetti il potere di dichiarare decaduto il 4 Bis (da cui deriva anche il 41 bis dell’ordinamento penitenziario), del quale è stata accertata l’incostituzionalità.
Per il momento, si è limitata a trasmettere alla Cassazione la questione se il decreto che proroga di altri mesi la normativa sull’ergastolo ostativo sia legittimo o meno, ma la “resa dei conti” sulla questione non potrà andare oltre dicembre, appunto. Per comprendere maggiormente l’importanza primaria della questione, va tenuto presente che il carcere ostativo, quindi senza attenuazioni (nel caso dell’ergastolo nella versione più grave) non è stato voluto da Falcone e Borsellino, a differenza di quanto a volte propagandato.
Benché il 4 bis dell’ordinamento penitenziario, nella forma aggravata, esistesse già dal 1975, è dal 1992, dopo i barbari assassinii ai danni dei due magistrati, che è stato previsto nella versione ostativa, quando Claudio Martelli era ministro della Giustizia: misure, quindi, volute in primis da Martelli, un esponente politico noto per le posizioni giustizialiste anche in passato, tanto che era arrivato a chiedere il ripristino della pena di morte per terrorismo durante gli anni di piombo, senza chiaramente ottenerlo. Misure, quelle sull’ostatività, che potevano essere comprensibili in un primo periodo di emergenza, ma certamente non più giustificate ormai da decenni… Tanto è vero che la Corte Costituzionale si è mossa dopo che l’Italia era stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (EDU) di Strasburgo, in seguito alla sentenza “pilota”, cioè la “Viola contro Italia”, dal cognome di uno dei vari ricorrenti contro l’ostatività automatica.
Pochi lo ricordano, quindi, ma questo problema “strutturale” dell’ordinamento italiano, è stato già da anni definito in contrasto con i principi dello Stato di Diritto nell’Unione Europea; per questa ragione, l’Italia è attualmente sotto osservazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa… La Corte di Strasburgo, pur riconoscendo all’Italia l’attenuante di avere dovuto avere un compito più arduo di altri, con quattro “grandi mafie” sul territorio nazionale, ha condannato nettamente l’assolutezza del criterio di ostatività in caso di non collaborazione con la giustizia. Sono diverse, in realtà, le condanne subite dall’Italia, spesso per iniziativa di cittadini italiani che avevano fatto ricorso a Strasburgo, in materi di giustizia ed ostatività in particolare. Del resto, il fine non giustifica i mezzi, ed anche il fine nobile della lotta alle mafie si perde nell’abuso di mezzi di sicurezza, che in molti casi servono a perpetuare ambiti di potere ingigantiti, e non più veramente ad ostacolare le mafie.
Una normativa applicata indiscriminatamente, senza fare differenze tra affiliati minori, picciotti, guappi, boss recenti e chi fosse stato boss anche 40 e più anni fa, spesso anche con applicazione retroattiva del 41 bis rispetto a reati precedenti alla sua introduzione. Lo stesso 41 bis, nelle forme più estreme di ostatività, così acriticamente difeso da alcuni esponenti politici postfascisti (che hanno fatto professione di abiura del fascismo) risulta a tratti più duro del Codice Rocco (che non creava discrepanze così macroscopiche tra chi non collaborava e chi attuava delazioni), di epoca fascista…
Nel 41 bis, perfino il lavoro viene ostacolato, e le forme di privazioni psicofisiche sono stata paragonate ad un elettroshock: si vive isolati dietro un vetro nella stragrande maggioranza delle situazioni, quasi come sepolti vivi, e nonostante i colloqui siano videoregistrati. Perfino l’attuale ministro della giustizia Nordio, in controtendenza rispetto all’orientamento prevalente in “Fratelli D’Italia”, lo aveva definito un isolamento che richiamava il “mortuario”, più incivile della castrazione chimica, quindi di una mutilazione farmacologica. Del resto, l’ostatività, soprattutto nel grado estremo del 41 bis, è un tipo di misura che, pur non uccidendo fisicamente, in senso letterale, e quindi dando l’impressione di non “sporcarsi le mani”, distrugge in un altro modo.
In questo clima tormentato, l’auspicio è che la Corte Costituzionale non perda la sua alta funzione, affinchè il carcere senza speranza diventi un “ferro vecchio della storia”, analogamente alla pena di morte in Italia, e non solo. Una luce di speranza intensa e nei fatti “rivoluzionaria” viene sul tema dalla voce di Papa Francesco, che ha abolito l’ergastolo in Città del Vaticano, e più volte ha preso posizione contro l’ostatività automatica per non combattere il male con altro male. Una posizione coerente, che vede affiancato, all’impegno contro la pena di morte, anche quello contro la pena fino alla morte, che mette dei vivi in una situazione simile allo stato di morte, trasformando la vita in un’attesa della morte.
Del resto, coerentemente con una prospettiva spirituale illuminata, quello che viene cercato è il pentimento vero, quello dell’anima, che non sempre coincide con una collaborazione (non gratuita) con la giustizia: in questo convergono una visione di elevazione della coscienza e quella di una civiltà orientata nel senso dei principi costituzionali dello Stato di Diritto.
Antonella Ricciardi