Aleksandr Dugin
Lo sport ha origini precristiane e appartiene alla cultura greca antica. Insieme al teatro, alla filosofia e ai sistemi di gestione della polis, lo sport e in particolare i giochi olimpici sono stati uno dei tratti caratteristici della civiltà greca. In essa ha ricevuto il massimo sviluppo e la forma in cui oggi è conosciuto.
L’interpretazione greca dello sport si basava sull’idea di gioco, le gare stesse erano chiamate giochi. Anche il gioco era chiamato spettacolo teatrale, nel quale, così come nello sport, i poeti – creatori di tragedie e commedie – gareggiavano tra loro. Il concetto di gioco è strettamente legato alle basi stesse della cultura, come dimostra Huizinga nel suo famoso libro Homo Ludens. L’importante è tracciare una linea di demarcazione tra il coinvolgimento serio nella contemplazione di un confronto o di una competizione, così come nel tessuto di un’opera drammatica (se parliamo di teatro) e la natura convenzionale di tale confronto. Lo sport e il teatro, e il gioco in quanto tale, presuppongono una distanza.
Ecco perché tra gli dei greci patroni dei Giochi Olimpici non c’era Ares, il dio della guerra. Tale è il significato del gioco: è una battaglia, ma non reale, convenzionale, che non supera una certa linea critica. Come il teatro rappresenta solo l’azione, così lo sport rappresenta solo la battaglia reale. La cultura nasce proprio dalla realizzazione di questo confine. Quando la società lo interiorizza, acquisisce la capacità di operare sottili distinzioni nel campo delle emozioni, dei sentimenti e delle esperienze etiche.
Lo sport e il teatro danno piacere proprio perché, nonostante la drammaticità di ciò che sta accadendo, l’osservatore (lo spettatore) mantiene una distanza dagli eventi in corso. È questa distanza che forma un cittadino a tutti gli effetti, capace di separare rigorosamente la serietà della guerra dalla convenzionalità di altri tipi di rivalità. Per questo motivo, per la durata dei giochi olimpici, le città-stato greche, spesso inimicate tra loro, concludevano una tregua (έκεχειρία). Fu all’epoca di questi giochi che i Greci realizzarono la loro unità al di là delle contraddizioni politiche tra le singole polis. Così le varie cose dello sport si unirono attraverso il riconoscimento della legittimità della distanza.
In epoca cristiana, gli eventi sportivi del mondo ellenistico scomparvero gradualmente perché il cristianesimo offriva un modello completamente diverso di cultura e di unità umana. Qui tutto era serio e l’autorità ultima era la stessa Chiesa universale, nella quale erano uniti popoli e nazioni. Era lei a portare la pace e la massima distanza possibile: quella tra la terra e il cielo, tra l’umanità e Dio.
Di fronte alla missione universale del Salvatore, le differenze tra i popoli (Giudei ed Elleni) passavano in secondo piano. Probabilmente, quindi, lo sport (così come il teatro) perse la sua importanza.
La rinascita dello sport inizia nel XIX secolo in condizioni completamente nuove. È interessante notare che, mentre il teatro come parte della cultura dell’antichità riappare proprio all’inizio del Rinascimento, ci sono voluti alcuni secoli in più per far rivivere i Giochi Olimpici. Ciò fu probabilmente ostacolato da alcuni aspetti estetici dello sport stesso, che contrastavano fortemente con le nozioni cristiane di ciò che costituiva un comportamento decente.
È indicativo che in Germania il fondatore del movimento sportivo sia stato un pagano convinto e un nazionalista estremo, Friedrich Ludwig Jahn (1778 – 1852), che concepì il movimento sportivo e ginnico come base per diffondere le idee di unificazione tedesca tra i giovani, che divennero la base dell’ideologia sportiva. Jahn fu un feroce apologeta dell’antichità germanica e sostenne la rinascita delle rune.
Nel XX secolo, le idee di Jahn continuarono a svilupparsi sia nel contesto del pangermanesimo sia nel movimento giovanile dei Wandervogel, e in particolare ebbero una grande influenza sul nazionalsocialismo.
Anche Pierre de Coubertin, che rivitalizzò il movimento olimpico, era un nazionalista (in un certo senso razzista).
Il coinvolgimento dei greci, che all’epoca erano in lotta nazionale con l’Impero Ottomano, faceva anche parte della strategia generale delle potenze europee per trasformare l’equilibrio geopolitico. Allo stesso tempo, la Massoneria europea, pur essendo fondamentalmente atea, era anche molto attenta ad essa, ma non estranea a una certa estetica “pagana”.
In generale, risulta che lo sport, originariamente un fenomeno culturale non cristiano, è scomparso durante il Medioevo cristiano ed è tornato in Europa in un contesto post-cristiano e persino parzialmente anticristiano.
Ciò solleva con nuova urgenza il problema: lo sport è compatibile con il cristianesimo? Le passioni, l’estetica e le regole del gioco suscitate dallo sport possono essere combinate con una visione del mondo cristiana?
Naturalmente, questa domanda è un caso particolare di un problema più fondamentale: il cristianesimo è compatibile con il mondo moderno in generale, costruito in generale – e non solo, ovviamente, lo sport – sulle basi della desacralizzazione, del materialismo, dell’evoluzionismo, del secolarismo e dell’ateismo?
Ovviamente non è possibile rispondere a questa domanda in modo univoco, ma è opportuno porla, anche solo per avviare un ciclo di discussioni significative. Siffatte discussioni potrebbero aiutarci a comprendere meglio, nelle nuove condizioni, che cos’è lo sport e, soprattutto, che cos’è il cristianesimo.
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini
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