La guerra tra Russia e mondo occidentale si gioca non solo sul piano delle armi, ma anche – e soprattutto! – su quello dei “valori”.
Per quanto sia determinante il piano della forza – economica e militare – se questa non si accompagna alla capacità di imporre stili di vita, esso diventa un guscio vuoto che prima o poi si rompe. Altrimenti non ci spiegheremmo l’enorme investimento fatto dagli americani all’indomani della fine dell’ultima guerra mondiale nel campo del cinema.
Con le centinaia di film prodotti a Hollywood l’America esportava il suo “way of life” ovvero il modo di vedere la vita, che doveva indurre le popolazioni soggette a tale esportazione a imitare – a ribasso naturalmente! – quei comportamenti, associati a una vita libera e spensierata e quindi felice – l’obbligo del sorriso: “cheese!” -.
Perché senza l’assunzione di quei comportamenti, senza l’adozione di quello stile di vita figlio del capitalismo assoluto, col cavolo che si sarebbero potuto imporre quei consumi poi diventati normali – dalla coca cola passando per Halloween per poi arrivare all’utero in affitto -. E quindi con gran beneficio del mercato, ma non solo, anche con gran beneficio del proprio dominio, che non può esservi se il piano economico non è sostenuto da quello “culturale”.
Tra i consumi oggi ritenuti funzionali all’esercizio del dominio a stelle e strisce vi sono quelli riguardanti la sfera sessuale.
Non è un caso che una nazione che voglia entrare nel consesso dei Paesi “liberi, democrati e progressisti” debba sottoporsi a un rito di passaggio ben preciso, una sorta di test che ne accerti la “maturità”, un test di verifica della “lealtà” del governo di turno: il gay pride. Poi tutto il resto.
Tutto il resto è l’accettazione graduale dei passaggi successivi: superamento della divisione binaria maschio/femmina, no madre e padre, autocertificazione dell’identità sessuale, propaganda gender nelle scuole a partire dagli asili, utero in affitto…
In Russia ci hanno provato in tutti i modi – Femen, Pussy Riot… –, ma niente, non c’è stato verso, quei trogloditi che seguono Kirill non hanno ancora superato il “test-lealtà”, c’è ancora molto da lavorare, chissà se attraverso Zelensky non si riuscirà a ottenere qualcosa…
Sta di fatto che la Russia, invece che aprirsi a queste istanze “liberatrici”, affermi con ostinazione la propria indisponibilità ad accettare l’ingresso nel club occidentale.
Addirittura il 19 ottobre scorso è stato presentato alla Duma un disegno di legge che propone una multa salata e l’espulsione dal Paese per chi propagandi valori non tradizionali verso bambini e adulti, che vieta la propaganda di relazioni non tradizionali in media, internet, pubblicità, libri e film. Progetto di legge – sponsorizzato da 390 legislatori – in cui si vietano quindi relazioni non tradizionali, poi pedofilia e visualizzazione di informazioni relative al tema Lgbt, nonché informazioni che incoraggiano la transizione di genere tra gli adolescenti su internet, nei media, nei libri, nelle piattaforme audio e visive, nei film e nelle pubblicità.
Per noi che da tempo abbiamo superato il “test-lealtà” – in cui, per stare all’attualità, nelle scuole in nome dell’accoglienza e dell’inclusività sta marciando a passo d’oca la carriera “alias” (ognuno può identificarsi con il genere che vuole) – questo disegno di legge può sembrare eccessivo; ma evidentemente in Russia c’è forte la percezione che senza questa determinazione si vada incontro a un processo di disgregazione e frammentazione difficilmente arrestabile una volta avviato.
Qui in molti grideranno all’omofobia putiniana, ignorando che lo stesso presidente tempo fa precisava che ognuno è libero di vivere privatamente la sessualità come desidera, ma ciò che non si può accettare è che si faccia propaganda gender. Tutt’altra cosa, infatti.
Quando si comincerà a far capire ai più che i diritti non c’entrano nulla con il gender, che il gender è una ideologia, per giunta una ideologia di quelle che tendono a spappolare le comunità umane, allora forse inizierà un vero percorso di ritorno alla “normalità”, fuori da questa follia che abbiamo importato dal mondo anglosassone “woke”.
di Riccardo Bianchi
[Foto: Virginia, Usa, genitori contro la politica gender nella scuola]