di Fabio C. Maguire
Quando devono essere introdotti nuovi strumenti di controllo e di sorveglianza vengono precedentemente eseguiti degli esperimenti su porzioni minoritarie della società per coglierne la reazione del pubblico e provarne la validità.
Molto spesso le minoranze sono parti di una comunità che vivono seguendo principi e modelli differenti dalla maggioranza e che spesso da questa sono malvisti e incompresi.
É il caso del movimento Ultras che nell’ultimo ventennio è stato oggetto di veri e propri sperimenti sociali di sorveglianza e repressione legittimati da condotte violente e illecite, alle quali lo Stato ne ha dovuto rispondere.
Per poter dunque giustificare l’utilizzo di metodi coercitivi e limitativi delle libertà personali si deve individuare un problema, una crisi, che possa mettere seriamente a rischio la pubblica sicurezza.
Essendo l’ultras una persona al di fuori degli schemi, che spesso è stata al centro del dibattito pubblico, e rappresentante una minoranza nella nostra società, sono stati sistematicamente introdotti sistemi per contrastare la violenza e l’aggressività dei tifosi negli stadi.
Per tutelare l’ordine pubblico, in nome di una presunta emergenza, vengono adottati mezzi come: il DASPO, ovvero il divieto di accedere alle manifestazioni sportive; la Tessera del Tifoso; a Roma, allo Stadio Olimpico, delle barriere per dividere la curva; il divieto di portare striscioni o bandiere più grandi della misura prevista; il divieto di trasferte; un controllo maniacale attraverso l’ampio uso di telecamere di sorveglianza pronte a punire anche solo chi prova a cambiare il posto.
Questi strumenti di controllo vengono benvisti dalla società e dall’opinione pubblica perché i tifosi violenti sono criminali che vanno puniti ed eliminati.
Il problema nasce quando i mezzi di sorveglianza vengono adottati anche per il resto della comunità e dunque, strumenti utilizzati in via provvisoria per un’emergenza, vengono inseriti nel sistema di controllo civile, divenendo mezzi permanenti per monitorare la gente e punire i trasgressori.
Se prima poteva anche essere compresa la necessità di adornare le città di telecamere, divieti e controlli, sempre in nome della presunta lotta all’illegalità, mai davvero combattuta dallo Stato, adesso risulta davvero complesso capire l’ultima iniziativa della Lega di Serie A.
Infatti, l’Amministratore Delegato Luigi De Siervo ha avanzato l’ipotesi di introdurre all’interno degli impianti sportivi il riconoscimento facciale per contrastare le condotte “razziste e violente”.
L’idea si sarebbe inspirata al baseball americano, nella partita a New York tra Yankees e Mets.
Secondo De Siervo per combattere il razzismo si è fatto molto ma “per raggiungere la vera individualità dei responsabili serve il riconoscimento facciale per chi accede agli impianti”.
L’idea è allo stato embrionale ma potrebbe essere seriamente sviluppata nei prossimi mesi come riporta Repubblica.
Non serve spiegare cosa significhi impiegare il riconoscimento facciale negli stadi e nelle zone limitrofe, ma in poche parole: controllo totale.
E se poi questo dovesse essere utilizzato anche nella quotidianità per punire le condotte non gradite da chi ci osserva?
Una volta sdoganato questo strumento sarà molto semplice introdurlo nel sistema di sicurezza nazionale, arrivando poi, finalmente, all’1984.
Il paradigma è sempre lo stesso: per contrastare l’imminente emergenza si arriva ad approvare l’uso di provvedimenti liberticidi che, spacciati come transitori, diverranno presto parte della nuova normalità.