Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
La discussione sulla funzionalità della dicotomia Destra/Sinistra per spiegare i conflitti storici, politici ed ideologici del nostro tempo è (per ora) interminabile. Interminabile nel senso etimologico della parola, perché non se ne vede per ora la fine. Non credo però che la fine non verrà mai. La dicotomia Destra/ Sinistra non interpella infatti le strutture fondamentali della riproduzione della vita umana in società, ma concerne soltanto un particolare “immaginario” sorto con la genesi storica della società moderna, borghese e capitalistica (preferisco evitare il termine imperfettamente fuso insieme, e quindi fuorviante, di società borghese-capitalistica con il trattino). Questo immaginario storicamente determinato è stato poi “retrodatato” al passato, costruendo appunto una grande-narrazione metastorica, e “prolungato” nel futuro immaginando un conflitto eterno di tipo sostanzialmente ciclico (per cui si ha il paradosso che i sostenitori di una concezione lineare e teolologica del progresso storico si immaginano in realtà un nicciano eterno ritorno del sempre uguale conflitto fra Destra e Sinistra, con vittoria finale definitiva della sola Sinistra, in una Umanità che allora diventerebbe simbolicamente monca, e cioè con una mano sola). Vi è qui un vero nodo di paradossi e di contraddizioni. Per contribuire a scioglierne una parte (ma senza farmi nessuna illusione) proporrò un percorso in tre tappe, partendo da una analisi della genesi della dicotomia per poi passare al suo attuale carattere strutturale e per terminare infine con alcune ipotesi sul (prossimo) futuro.
- 1. La Grande Narrazione dello Scontro Eterno fra una Destra Eterna ed una Sinistra Eterna.
Il filosofo francese Jean-François Lyotard ha costruito la sua diagnosi di filosofia della storia, per cui staremmo vivendo il tempo terminale del passaggio epocale dal Moderno al Post-moderno, sulla base dell’ipotesi della irreversibile caduta di credibilità sociale diffusa delle cosiddette “grandi narrazioni”. In una delle sue ultime formulazioni di questa teoria della irreversibile caduta di credibilità sociale diffusa in un orientamento metastorico della storia Lyotard ne elenca cinque: il racconto cristiano della promessa di redenzione dal peccato originale, il racconto illuministico dell’emancipazione dall’ignoranza e dai pregiudizi, il racconto capitalistico dell’emancipazione attraverso la ricchezza diffusa dallo sviluppo economico, tecnico e industriale, il racconto speculativo hegeliano della realizzazione dell’Idea universale attraverso la dialettica storica ed infine (last but non least) il racconto politico marxista dell’emancipazione umana dall’alienazione e dallo sfruttamento. Non c’è qui ovviamente lo spazio per discutere seriamente della filosofia lyotardiana della storia, anche se le ragioni del suo relativo successo sono relativamente facili da capire, trattandosi di una sofisticata elaborazione del lutto in linguaggio filosoficamente raffinato di una ben concreta delusione storica e politica di tipo generazionale, la delusione della generazione del Sessantotto europeo e soprattutto francese passata in massa dalle escatologie immanentistiche di tipo trotzkista e maoista all’inserimento subalterno come ceto ideologico di servizio della globalizzazione capitalistica neoliberale, vista come positiva fine della storia messa in pericolo purtroppo dal permanere di uno scontro di civiltà, con la triste necessità di eliminare gli ultimi stati-canaglia (rogue states) che si oppongono a questo tranquillizzante esito. Lyotard fu in proposito un vero precursore, perché non aspettò il post-1968, ma elaborò un trauma sorto nel 1965, quando si sciolse il piccolo gruppo politico francese Socialisme ou Barbarie. Questo gruppo si era costruito intorno all’utopia consiliare della autogestione economica e dell’autogoverno politico integrale, che in effetti esprime a mio avviso la filosofia politica segreta dell’utopia sociologica monoclassista proletaria di origine marxiana assai meglio delle posteriori versioni politiche (kautskismo, leninismo, stalinismo, trotzkismo, maoismo, eurocomunismo, eccetera). Il crollo nella credibilità della fattibilità storica di questa integrale utopia sociologica monoclassista proletaria sta alla base del disincanto post-moderno, che infatti viene da Sinistra e non poteva venire che da Sinistra. La Destra era già infatti da tempo il luogo del disincanto, elaborato ovviamente in forme diverse che non possono essere qui discusse per ragioni di spazio. Il filosofo italiano Benedetto Croce ha scritto che ogni storia è sempre storia contemporanea, intendendo dire che anche quando parliamo degli antichi Egizi e degli antichi Romani non possiamo fare a meno di “filtrare” l’interpretazione che ne diamo attraverso gli schemi politici e morali della nostra collocazione simbolica nei conflitti del tempo in cui viviamo. E’ allora inutile ricordare il fatto ben noto per cui le categorie di Destra e di Sinistra sono sorte solo dopo il 1789. Si tratta di un fatto notissimo, che non ci impedisce però di ricostruirci l’intero passato attraverso una sesta grande narrazione, dimenticata (non a caso) da Lyotard, la grande-narrazione dello scontro epocale e metastorico fra una Destra Eterna ed una Sinistra Eterna. Ho scritto “non a caso”. E infatti oggi la sacralità dell’”esistenza” della dicotomia Sinistra-Destra ha un carattere fortemente religioso. Si possono scrivere trattati di “ateologia”, in cui i credenti vengono dileggiati come bambini che credono ancora che esista Mamma Oca e la Buona Fatina. Si possono scrivere i libri che sostanzialmente dicono che ci sta l’illuminismo dietro Auschwitz ed Hyroscima. Si può scrivere che Marx è stato alla base di una Grande Illusione Totalitaria, che peraltro non era che l’ennesima secolarizzazione dell’escatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell’economia politica. Si possono scrivere storie degli odori, dei sapori, degli escrementi, del sesso orale ed anale, eccetera. Ma se qualcuno si azzarda a toccare la sacralità della dicotomia Sinistra-Destra allora si attiva tutto il circo mediatico-inquisitorio, che è oggi una sorta di nuovo ordine domenicano di controllo dei sotto-circhi universitario ed editoriale. Questa sesta grande narrazione, evidentemente, non è come le altre cinque. Le altre cinque si possono distruggere, demolire, relativizzare, fare oggetto di congedo, eccetera. Questa nuova religione dualistico-manichea, invece, è evidentemente una ripresa secolarizzata della religione di Zoroastro, che non a caso fiorì nel tempo del grande impero universalistico e multiculturale della Persia di Ciro e Dario. In questa ricostruzione simbolica e retroattiva della storia possiamo allora collocare a Destra: i sacerdoti di Osiride, gli eserciti assiro-babilonesi, il re Salomone con le sue centinaia di concubine, i Trenta Tiranni di Atene e Crizia in particolare, Silla, Cicerone, Attila, i papi corrotti del Rinascimento, Carlo I Stuart, eccetera. Mettiamo invece a Sinistra: la religione solare di Akhenaton, il profeta Isaia, i Gracchi, Caio Mario, Gesù di Nazareth (quello “autentico”, evidentemente), il profeta egualitario sassanide Mazdak, i Catari, Thomas Müntzer, i Livellatori inglesi, eccetera. Questa sesta grande-narrazione è allora forse ancora più forte delle cinque precedenti. Si tratta allora di un gigante? Un gigante, forse. Ma anche forse un gigante dai piedi di argilla. Vediamo meglio.
- 2. La religione della politica. Una secolarizzazione orizzontale di precedenti categorie teologiche verticali.
Non vi sono dubbi sul fatto che il pensiero politico moderno abbia avuto come sua genesi storica e teorica una particolare secolarizzazione di precedenti categorie teologiche. Queste precedenti categorie teologiche erano verticali, nel senso che instauravano un rapporto fra Dio, che stava di sopra, e gli uomini, che stavano di sotto. Chi vuole farsi un’idea visiva di queste categorie verticali vada a visitare Mont Saint-Michel, e la disposizione simbolica dei piani dell’abbazia. La nozione di “giustizia”, allora, doveva necessariamente passare per vera interpretazione delle scritture sacre e dei loro interpreti più prestigiosi (auctoritates). Nei secoli moderni si ha un vero e proprio ridispiegamento di queste categorie, che prendono progressivamente “terra” come un aereo nel corso di un’operazione di atterraggio. Questa teoria della secolarizzazione viene in genere attribuita ad un pensatore considerato di “destra” come Carl Schmitt. Non intendo metterlo in dubbio. Ma ricordo qui un fatto che (come direbbe Hegel) è noto, ma non per questo conosciuto, per cui l’essenza del metodo filosofico di Karl Marx era il carattere genetico, o più esattamente storico-genetico, di tutte le categorie non solo dell’ideologia (la cui genesi storica è assolutamente palese e non richiede particolari studi di “scoperta”), ma anche della filosofia. Ritengo perciò che tutti i marxisti onesti, anche se pii e timorati della tradizione, non dovrebbero avere difficoltà ad accettare la tesi genetica della trasformazione delle categorie teologiche trascendenti in categorie politiche immanenti. Ogni politica è allora di fatto una teologia politica. In questo processo, però, la Sinistra è originaria, mentre la Destra è derivata. La Sinistra viene infatti prima, e non a caso la Destra è “reazionaria”, perché è incatenata al destino di chi deve “reagire” ad un’iniziativa presa al di fuori del suo controllo. Tutto questo non deve però stupire, perché è stata storicamente la Sinistra a “gestire” la difficile trasformazione delle categorie teologiche precedenti in categorie politiche. A mia conoscenza, nessuno ha saputo cogliere l’essenziale di questo processo meglio del filosofo tedesco Ernst Cassirer, in un suo libro pubblicato nel 1932 ed intitolato Il Problema J.J. Rousseau. Cassirer afferma che il senso più profondo del pensiero di Rousseau si trova nella trasposizione da lui operata del vecchio problema del Male dal campo della “teodicea” al campo della “politica”. Il problema della giustificazione di Dio davanti all’esistenza del male nel mondo (che aveva avuto un grande peso nella riflessione metafisico-religiosa del Seicento e del Settecento, da Leibniz a Shaftesbury, eccetera) subisce con Rousseau una trasformazione radicale, in quanto la responsabilità dell’origine del male non è più fatta risalire ad un oscuro volere di Dio o ad una presunta colpa originaria dell’uomo, ma è addossata interamente alla società, e solo ad essa. Cassirer sottolinea con particolare enfasi il passo di Rousseau in cui il filosofo ginevrino non nega che gli uomini si comportino in modo malvagio ma nega invece che “…la malvagità sia connaturata alla specie come insegna il sofista Hobbes, o che sia necessario ammettere la dottrina del peccato originale, propagandata dal retore Agostino”. La buona filosofia, secondo Rousseau, ha dunque due nemici: il sofista Hobbes ed il retore Agostino. Non si era dunque ingannato l’arcivescovo di Parigi Cristoforo di Beaumont nella sua condanna dell’Emilio con un suo mandement, in cui si metteva soprattutto in luce la confutazione roussoviana del peccato originale. Se vogliamo allora in qualche modo (pur sapendo che si tratta di un’operazione artificiale) cercare la genesi della religione della politica, religione di cui fin dall’inizio la Sinistra si fa portatrice e sacerdote, la possiamo trovare in Rousseau (e quindi non in Marx, come molti erroneamente credono). E se vogliamo allora segnalare la prima risposta “reattiva” di Destra, la possiamo trovare nell’arcivescovo di Beaumont, e quindi prima sia di Burke che di De Maistre. Poi verranno certo i giacobini, i sanculotti, i luddisti, i socialisti utopisti, i marxisti, eccetera. Ma l’origine filosofica, così ben individuata da Cassirer, sta nell’operazione condotta da Rousseau, e cioè nello spostamento della teodicea dalla religione alla società. Di qui avverrà poi il progressivo ridispiegamento delle categorie della filosofia politica. A questo punto, però, bisogna passare dal piano della filosofia al piano della storia degli ultimi due secoli. In questi ultimi due secoli, infatti, la dicotomia non è stata illusoria (come in gran parte è oggi), ma è stata tragicamente reale.
- 3. I due secoli dell’esistenza storica della dicotomia di Sinistra e Destra: 1789-1989.
Molti di coloro che a giusto titolo negano che oggi ci si possa ancora utilmente orientare nel panorama storico e politico contemporaneo in base alla dicotomia di Destra e Sinistra commettono a volte il grave errore di “retrodatare” la contestazione di questa dicotomia ai due secoli che intercorrono fra il 1789 (inizio della rivoluzione francese) e il 1989 (anno-chiave per l’avvio dello sgretolamento dissolutivo dei paesi del cosiddetto “socialismo reale”, che io preferisco chiamare “comunismo storico novecentesco” per poterlo così differenziare dal comunismo utopistico-scientifico di Marx – l’ossimoro è ovviamente volontario). Sembra così che per questi due secoli della storia europea e mondiale la dicotomia sia stata sostanzialmente un equivoco. E’ chiaro che non è stato così. Sia pure ovviamente in modo estremamente “impuro” ed ideologicamente confuso e contraddittorio questa dicotomia è stata invece reale, nel doppio denso della descrizione e della prescrizione di comportamenti individuali e collettivi. Trattandosi di una dicotomia caratterizzata dal doppio carattere della descrizione e della prescrizione non è consigliabile avviarsi su di una strada di tipo “trascendentalistico”, cercando di connotare degli “idealtipi” (nel senso di Max Weber) di una Destra e di una Sinistra ricostruite astrattamente in base a “valori” ed a parametri culturali. Si ha così l’elencazione di una serie aperta di coppie opposizionali, come Libertà/Eguaglianza, Eguaglianza/Disuguaglianza, Progresso/Conservazione, Eguaglianza/Gerarchia, Religione/ Ateismo, eccetera. Queste coppie opposizionali di tipo trascendentalistico incrociano certamente in qualche modo la realtà storica, ma non ce n’è una sola che non comporti rilevanti eccezioni. Karl Marx, considerato da molti un teorico dell’eguaglianza e del collettivismo, era invece un sostenitore (filologicamente comprovabile dai suoi stessi testi opportunamente contestualizzati) della libera individualità. Walter Benjamin, che fu certamente un intellettuale di “sinistra”, fu anche forse il più acuto critico dell’idea di progresso nella storia della filosofia del Novecento. E potremmo continuare ad elencare “eccezioni”, ma in questo caso le “eccezioni”, lungi dal confermare la regola, segnalano che l’apparato categoriale e dicotomico impiegato è largamente insufficiente. Non bisogna allora cercare la conferma storica della dicotomia in parametri idealtipici di tipo trascendentale. Essa è invece largamente presente negli avvenimenti storici concreti dei due secoli, che qui ovviamente non possiamo analizzare per ragioni di spazio. Ad un esame ravvicinato, è possibile confermare l’ipotesi della natura “originaria” della Sinistra e della natura solo “reattiva” della Destra. La Sinistra in questi ultimi due secoli passa grosso modo dal prevalere di una fase democratica (1789-1871) ad una seconda fase socialista (1871-1917) fino ad una terza ed ultima fase comunista (1917-1991). Il lettore è pregato ovviamente di non interpretare in modo rigido questa periodizzazione. Essa segnala unicamente che nella prima fase democratica prevalgono rivendicazioni prettamente politiche (in primo luogo la richiesta di suffragio universale), mentre nella seconda fase socialista si affermano esigenze di carattere più apertamente sociale (scolarizzazione, assistenza medica, assicurazioni sociali, contrattazione collettiva del salario diretto e indiretto, eccetera), laddove solo nella terza ed ultima fase comunista la Sinistra riesce a incorporare l’originario programma di Rousseau di vero e proprio riscatto “integrale” della società intesa come un tutto olisticamente espressivo. In base ad una falsa coscienza di tipo ad un tempo deterministico e teleologico le tre fasi successive sono concepite come un vero e proprio percorso unitario in tre tappe, e si ha allora la sesta grande-narrazione dimenticata da Lyotard. Il passaggio dalla prima alla seconda fase (da quella democratica a quella socialista, cioè), illusoriamente vissuta come “progresso” nella visione teleologica della storia del marxismo deterministico, vide in realtà il costituirsi di quelle due caratteristiche di “integrazione sociale subalterna” che si possono definire “economicizzazione del conflitto” (Bauman) e “nazionalizzazione delle masse” (Mosse). L’adesione delle masse operaie, salariate e proletarie alla guerra fratricida del 1914 sembrò verificare pienamente il processo di integrazione ottenuto con la sinergia di economicizzazione del conflitto distributivo e di nazionalizzazione patriottica delle masse. Poi venne il 1917, che non fu a mio avviso un’illusione messianica destinata a trasformare la virtù politica in terrore totalitario (François Furet) e neppure l’inizio di una guerra civile europea (Ernst Nolte), ma fu l’inizio di un tentativo storico, fallito ma anche reale, di costruire una società alternativa a quella capitalistica. In questo quadro storico c’è un’interessante fatto culturale da segnalare. Mentre nel campo della Sinistra non ci fu mai praticamente nessuno a negare l’esistenza della dicotomia, nel campo della Destra questa negazione fu invece molto frequente, in base ad una serie di motivazioni, che qui potranno essere utilmente compendiate in due soli gruppi. Da un lato, coloro che sostennero la cosiddetta teoria delle “élites”, per cui era assolutamente inevitabile che si formassero piccoli gruppi dirigenti al vertice della società, e questo proprio in ragione della enorme complessità di gestione di una società fondata su di una divisione sociale e tecnica del lavoro sempre più spinta, il che aveva come conseguenza che tutte le utopie egualitarie di autogoverno politico e di autogestione economica integrale erano destinate a fallire con conseguenti disillusioni collettive a catena (Mosca, Pareto, Michels, Max Weber, eccetera). Dall’altro, coloro che partendo originariamente da una concezione organicistica (o gerarchico-organicistica) della società, elaborarono in un secondo tempo questa concezione alla Menenio Agrippa con una teoria tecnocratica di origine positivistica della “direzione scientifica della società”, che essendo appunto “scientifica” non poteva e doveva essere messa ai voti. L’intera storia della filosofia occidentale (a partire ovviamente dalla Repubblica di Platone) fu saccheggiata per trovare antenati “nobili” a questa concezione. La Sinistra in genere respinse virtuosamente questo doppio tipo di obiezioni (inevitabilità sistemica delle élites e necessità di una direzione scientifica complessiva della società). Ma questo avvenne curiosamente attraverso una pecu- liare introiezione (sempre sapientemente rimossa) di questa doppia obiezione. Da un lato, infatti, la teoria di Trotzky sulla burocrazia intesa come l’elemento strutturalmente corruttivo dell’utopia socialista fu a mio avviso una forma di assorbimento (probabilmente mediato attraverso Roberto Michels, non a caso prima socialista e poi fascista) di questa obiezione “di destra”, anche se ovviamente nella scolastica trotzkista questo elitismo viene “spiegato” con il basso livello delle forze produttive e con la mancata estensione della rivoluzione ai paesi sviluppati a causa del “tradimento” di Stalin. Dall’altro, la teoria della “direzione scientifica della società”, la cui origine non sta affatto in Marx ma semmai in Auguste Comte, fu ufficialmente adottata prima da Stalin e poi dai suoi successori fino al crollo del sistema. Come si vede, le “avventure della dialettica” non sono soltanto quelle a suo tempo genialmente segnalate da Maurice Merleau-Ponty. Ce ne sono anche state altre. E l’avventura della dialettica storica più interessante, quella appunto che fa da fondamento sociale al decadimento della dicotomia di Sinistra e Destra, è quella che segnalerò nel prossimo paragrafo.
In breve, si tratta del cruciale passaggio storico da una forma prevalente di capitalismo caratterizzato da due classi (quella borghese e quella proletaria, naturalmente) ad una forma di capitalismo post-classista, e cioè non caratterizzato più dall’esistenza delle classi. E di questo capitalismo senza classi parlerò nel prossimo paragrafo.
- 4. Il processo già avanzato di costituzione di un capitalismo senza classi, base materiale per il decadimento storico della dicotomia Destra/Sinistra.
La forma veramente compiuta di capitalismo (più esattamente, di modo di produzione capitalistico) non è quella in cui una eterna Borghesia tiene per l’eternità sotto i piedi un eterno Proletariato. La forma veramente compiuta di capitalismo, quella che Hegel avrebbe detto “corrispondente al suo concetto” (Begriff), è quella di un capitalismo senza classi. Spieghiamoci, perché il lettore non fraintenda. “Senza classi” non significa, ovviamente, senza differenziali individuali e collettivi di sapere, potere, reddito e consumi. Questi differenziali sono anzi in corso di aumento e non di diminuzione all’interno della cosiddetta “globalizzazione neoliberista” (termine ambiguo, ma che non c’è qui lo spazio per discutere seriamente). Tuttavia questi differenziali sociali non sono di per sé “classi”, e tantomeno classi nel significato complessivo dei termini “borghesia” e “proletariato”, che non connotano certo solo la proprietà giuridica o meno dei mezzi di produzione e dei capitali finanziari e speculativi, ma si riferiscono a ricchissime realtà storiche dotate di parametri economici, politici, culturali, ideologici, letterali, musicali, sessuali, eccetera. Per capire questo è bene fare un leggero détour filosofico sulla differenza fra ordine storico ed ordine logico. Si crede ad esempio che Hegel sia non solo uno storicista, ma addirittura il “principe degli storicismi”. Errore. Non è così. Lo storicista, se le parole hanno ancora un senso, è colui che parte dall’ordine storico di apparizione dei sistemi sociali e gli sovrappone l’ordine logico come suo raddoppiamento teorico. Ma Hegel non fa così. Ad esempio, per Hegel lo Stato (der Staat) è il fondamento (Grund) sia della famiglia che della società civile, anche se nella realtà – come a suo tempo sostenne Aristotele – lo stato vero e proprio è venuto soltanto dopo che si erano già storicamente costituiti i gruppi tribali e poi familiari. Come si vede, in Hegel non c’è la fondamentale caratteristica dello storicismo, e cioè l’identità ontologica fra ordine storico e ordine logico. Lo stesso avviene anche in Marx, erroneamente considerato da molti uno storicista. Apriamo per esempio il primo libro del Capitale. L’unico pubblicato in vita da Marx (gli altri due sono opera originale di “taglia e cuci” fatta da Engels nel 1885 e 1894). Se cominciamo dall’ultimo capitolo del libro, abbiamo l’ordine storico di esposizione della formazione dei rapporti capitalistici di produzione, la cosiddetta “accumulazione primitiva del capitale”. Ma questo è solo l’ordine storico, che comincia infatti dal fondo e non dal principio. Al principio c’è invece l’ordine logico, che comincia dalla forma di merce più semplice e più astratta, una forma di merce che in quanto tale non conosce le classi, e non conosce neppure la Borghesia e il Proletariato. A suo tempo Louis Althusser consigliò di “saltare” la prima sezione, e cioè il primo capitolo, e non conosco suggerimento tanto errato ed affrettato in tutta la pur pittoresca e paradossale storia del marxismo occidentale. Torniamo a noi dopo questo indispensabile détour filosofico. Se cerchiamo il fondamento della società capitalistica, il fondamento logico-ontologico intendo, allora ne deriva che la struttura del modo di produzione capitalistico non sta essenzialmente (anche se ci fu un tempo storico in cui questo aspetto era prevalente) nella scissione classista fra Borghesia e Proletariato, che furono allora solo momenti di “avviamento” di questo razzo a tre stadi, ma nella generalizzazione non-classista globalizzata della forma di merce stessa. E non solo nella forma di merce in generale, già esistente anche in altri sistemi precapitalistici (e forse anche post-capitalistici, il futuro è assolutamente imprevedibile), ma proprio nella forma di merce capitalistica, quella dotata di uno specifico carattere dissolutore delle condizioni ecologiche ed antropologiche della riproduzione umana. Finché il sistema capitalistico è caratterizzato dalla divisione in due classi esso è implicitamente debole e fragile. Se però esso si sviluppa secondo il proprio concetto (inteso in senso hegeliano non come idea, opinione, eccetera, ma come realtà ontologica in sviluppo dialettico), esso tende ad un superamento delle classi antagonistiche pur in presenza di un suo allargamento. E questo è a mio avviso il processo storico che comincia a svilupparsi nel mondo. Sviluppo, lo si noti bene, che non avrebbe potuto compiersi nella forma in cui si sta compiendo senza aver portato a termine prima un processo di metabolizzazione e di incorporazione nel suo processo metabolico delle sue precedenti opposizioni e contestazioni storiche, sia di quelle di Sinistra (rispettivamente democratica prima, poi socialista ed infine comunista) che di quelle di Destra (tradizionalismo culturale, proteste della piccola borghesia contro la proletarizzazione, ricerca di una gerarchia di meriti non puramente monetaria, eccetera). Il superamento progressivo della dicotomia Destra/Sinistra, dunque, non è in nessun modo un’invenzione provocatoria o un subdolo tentativo di infiltrazione dei Cattivi nel mondo dei Buoni. E’ un maestoso processo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi di passaggio da un capitalismo ancora classista ad un capitalismo senza classi (anche se ovviamente con nuovi e crescenti differenziali sociali, che non sono però descrivibili come classi in senso tradizionale). Ma vediamo ora meglio le cose.
- 5. Il fondamento politico del nuovo capitalismo senza classi: la formazione e la riproduzione di un Partito Unico Politicamente Corretto
C’è chi parla ancora, in un modo per qualche verso ripreso dalla Scuola di Francoforte e da Adorno in particolare, di capitalismo “totalitario”, secondo una immagine che ricorda molto di più Il Tallone di Ferro di Jack London di quanto descriva la società contemporanea. Nella nostra società, per riprendere la tesi di Luc Boltanski e di Eve Chiapello, è piuttosto venuta meno la “critica artistica al capitalismo”, che aveva retto per quasi un secolo l’alleanza di fatto fra i salariati di fabbrica e la classe degli intellettuali utopisti di opposizione. Attraverso prima le avanguardie storiche (e del futurismo in particolare) e poi soprattutto attraverso la produzione e la gestione dell’immaginario pubblicitario diffuso, gli intellettuali come gruppo sociale (non parlo qui di eccezioni che fanno ormai parte di una “nicchia” relativamente ristretta) sono a poco a poco passati dalla parte del Partito della Merce, o meglio di quella sua corrente che potremo definire il Partito della Merce Creativa. Solo chi definisce ancora il capitalismo come “conservazione” (è quasi incredibile, ma su questo punto il ritardo è quasi grottesco!) può non aver capito che l’”immaginazione al potere” è un suo slogan (ma qualcuno in Francia l’ha capito, ad esempio Gilles Lipovetski). Sarebbe allora strano che nell’epoca della generalizzazione del lavoro flessibile e precario e della liberalizzazione relativistica degli stili di vita personali e sociali (la fine dei Sitten, cioè dei “costumi” dell’etica sociale comunitaria di Hegel) il capitalismo avesse scelto un modello rigido e totalitario, E’ finita l’epoca del clero religioso tradizionale, che esercitava la mediazione ideologica fra dominanti e dominati in nome di una dottrina metafisica dichiarata immutabile perché trascendente. Oggi il clero esiste ancora, ed è diviso in due grandi gruppi. C’è un clero secolare, composto sostanzialmente dagli operatori dei media, in cui la vecchia funzione della “predica in chiesa” è svolta dai giornalisti televisivi, mentre la funzione della “confessione auricolare” è svolta soprattutto dai giornalisti della carta stampata e della “piccola posta”. C’è poi un clero regolare, composto principalmente dagli apparati universitari, accademici ed editoriali, che però è fortemente subalterno al clero secolare. Il cosiddetto clero religioso rimanente è in realtà un sotto-clero, delegato a gestire situazioni di emergenza, droga, povertà, immigrazione, emarginazione, eccetera, ed è tenuto sotto ricatto permanente dall’agitare la minaccia dei preti pedofili e/o degli scandali finanziari degli apparati vaticani. Il vecchio anticlericalismo “laicista”, in proposito, è arretrato di circa un secolo (e parlo di coloro che sono in buona fede). In questa realtà la dicotomia Destra/Sinistra è una protesi politologica artificiale che viene reimposta per fornire di ideologie identitarie di appartenenza controllata le scadenze elettorali, in cui si scelgono in realtà varianti oligar chiche della stessa fondamentale gestione di riproduzione sociale capitalistica post-borghese (e ovviamente post-proletaria). Ciò che conta è invece il funzionamento di un Partito Unico Politicamente Corretto, in cui il clero secolare e regolare ha la funzione di regolamentare in modo ferramente (ma anche elasticamente) inquisitorio i parametri politici. Questo partito unico politicamente corretto adempie ad una funzione sistemica, e quindi gestisce le regole di compatibilità delle tre aree “ideali” di destra, centro e sinistra. A destra si schierano i molto ricchi, i notai, i commercialisti, i poliziotti, i militari di professione, i commercianti, i percettori di rendite, i pieds noirs, eccetera. Al centro si schierano i preti (tradizionali), i giornalisti opinionisti del circo mediatico, gli amministratori, i notabili di provincia, le casalinghe, i pensionati, eccetera. A sinistra i lavoratori salariati, i disoccupati, gli impiegati del settore pubblico, gli artisti, gli insegnanti di scuola secondaria, eccetera. Questo vero e proprio “trifoglio” si regge su di un solo stelo, ed è il nuovo clero che fa da “polizia del pensiero”. Ma non si tratta certamente della polizia del pensiero alla Orwell o alla Huxley. Si tratta di una polizia del pensiero anch’essa flessibile, che sa bene ormai che una “società dello spettacolo” non può essere gestita come una caserma o come un convento. Le strategie di integrazione sociale flessibile attraverso un generalizzato consumismo performativo (cioè efficiente) sono ormai rivolte a tutti. Certo, la fine delle classi non si accompagna alla fine delle disuguaglianze, che anzi si accrescono. Si fa strada una nuova classe media, una sorta di global middle class, che non ha più nulla a che vedere con la vecchia media borghesia (anche se potrebbe essere definita una sorta di simil-borghesia senza coscienza infelice), una global middle class caratterizzata dai viaggi facili, dall’inglese turistico, dal moderato uso di droghe, dal controllo delle nascite, da una nuova estetica androgina transessuale, dal generico umanitarismo terzomondistico, da un multiculturalismo senza curiosità culturale vera, ed infine da un generico approccio alla filosofia come terapia psicologica di gruppo e come palestra di relativismo comunicativo in cui il vecchio e faticoso dialogo socratico diventa chiacchiericcio semicolto. La vecchia Destra e la vecchia Sinistra lottavano in base ad un contenzioso quasi sempre tragico. Ma oggi la reimposizione di questa protesi ideologica e politologica identitaria è ormai solo più una simulazione teatrale di tipo sistemico.
- 6. Il teatro dell’assurdo. Le ragioni sistemiche del mantenimento di un Antifascismo senza Fascismo e di un Anticomunismo senza Comunismo.
Ci si potrebbe chiedere che senso ha, o continua ad avere, il mantenimento di un antifascismo sacralizzato laddove il fascismo europeo è definitivamente sepolto dal 1945, e di un anticomunismo altrettanto sacralizzato laddove il comunismo come fenomeno storico alternativo (e non solo come sindacato dei poveri unito ad un marxismo anch’esso inteso come positivismo dei poveri) è tramontato almeno dal triennio 1989-91. A prima vista, sembrerebbe un fenomeno indagabile solo con le categorie di Kafka, di Jonesco o di Beckett. Errore. Si tratta invece di un fenomeno estremamente “razionale”, purché se ne si comprenda bene le motivazioni sistemiche e strutturali. Le società umane si costituiscono e si riproducono non solo (e neppure principalmente) su base economica, ma anche e soprattutto su base immaginaria (e qui Castoriadis coglie un aspetto decisivo della questione). Senza una chiara definizione di Nemico una società, ed in particolare una società capitalistica senza più identità classistiche stabili ma con crescenti differenziali di potere e di reddito, potrebbe entrare in una fase accelerata di disgregazione. Solo gli ingenui, gli illusi e le canaglie pensano che il Mercato basti da solo a fare da collante automatico ed impersonale per il legame sociale. Ad esempio, la scelta degli Stati Uniti d’America di legittimare il loro potere imperiale crescente con la costruzione della figura deterritorializzata, ubiqua e minacciosa del Terrorista è certo grottesca nella sua manifestazione giornalistica ed ideologica, ma è assolutamente razionale da un punto di vista storico globale. Dopo la fine del Comunismo, e cioè dell’Impero del Male, ci fu un breve intervallo in cui il Nemico era il Narcotrafficante, ma apparve subito chiaro che Fabio Escobar non valeva un Bin Laden come vera incarnazione del Nemico Assoluto. Se il mercato bastasse da solo a fare da collante al legame sociale si potrebbe ipotizzare una società in cui ci si divide solo su questioni “ideali” particolari o su questioni economiche di redistribuzione. Ci si dividerebbe allora sull’opportunità o meno di consentire le adozioni anche alle coppie omosessuali e lesbiche, oppure sull’opportunità di staccare il respiratore al paziente in coma irreversibile. Ci si dividerebbe allora sulla preferenza fra un sistema fiscale pesante che possa finanziare le spese sociali, oppure su un sistema sociale più leggero decisamente più favorevole agli imprenditori, eccetera. Ma la società non può gestire il rapporto complesso fra il Materiale e l’Ideale in questo modo ristretto. Ci vogliono grandi rappresentazioni immaginarie e grandi fattori simbolici. In questo senso, il Novecento è stato una “riserva strategica” di metafisiche politiche, che presentano così una “eccedenza” e una “lunga durata” che vanno molto oltre il loro segmento temporale propriamente detto. Del resto, lo stesso è avvenuto anche per cose come il processo a Socrate e la crocifissione di Gesù di Nazareth, veri e propri “depositi simbolici” di durata millenaria. Ciò avviene anche per il Fascismo, il Male Assoluto, e per il Comunismo, l’Utopia Sanguinaria. Più esattamente per il fascismo, il male assoluto da esorcizzare per l’eternità, e per il comunismo, l’utopia sanguinaria (oltre che economicamente inefficiente e politicamente totalitaria) da non ripetere assolutamente mai più. Si capisce ora il senso razionale del mantenimento artificiale in vita di un antifascismo senza fascismo e di un anticomunismo senza comunismo. Si tratta di depositi simbolici di valore inestimabile per la legittimazione indiretta (Lukács avrebbe detto per l’”apologia indiretta”) della nuova società neoliberale e capitalistica post-borghese e post-proletaria. Vi è però una asimmetria specifica fra il Fascismo (male assoluto) ed il Comunismo (utopia sanguinaria). Nonostante alcuni intellettuali neoliberali entusiasti (ma Talleyrand avrebbe detto loro, “surtout, pas trop de zèle”) abbiano perorato la causa del processo di Norimberga anche al comunismo, questo non avverrà mai, almeno per ora. E questo non solo perché il fascismo è caduto combattendo nel 1945, mentre il comunismo ha operato una resa contrattata in cui ha ottenuto il riciclaggio morbido dei suoi apparati politico-ideologici nel 1989, e neppure perché il fascismo sarebbe stato un particolarismo razzista esplicito mentre il comunismo sarebbe stato un universalismo generoso ma purtroppo fuorviato. Il punto sta altrove. Dopo il 1945 parte degli apparati fascisti sconfitti furono “riciclati” nelle strutture di polizia, dell’esercito, dei servizi segreti, dell’amministrazione, ma non certamente negli apparati ideologici di legittimazione del capitalismo fordista-keynesiano di quelli che Eric Hobsbawm chiama i “trenta anni gloriosi” (1945-1975). Dopo il 1989 invece gli apparati comunisti arresisi sono stati “riciclati” proprio negli apparati ideologici e giornalistici di legittimazione, in quanto è stato facile per queste canaglie passare dall’utopia della globalizzazione della società monoclassista proletaria all’utopia della globalizzazione neoliberale gestita dall’impero americano. Già prima questi apparati, la cui filosofia non era certamente il progetto prometeico di rovesciamento globale della società (progetto estintosi fra il 1930 ed il 1950), ma una forma di cinismo filosoficamente nichilista ed eticamente relativista ed individualista, erano convinti sostenitori della distruzione delle nazioni e delle comunità, e non ci è dunque voluto molto perché avvenisse la giravolta dialettica (uso il termine giravolta, e non rovesciamento, perché la prima parola è più adatta ad un circo, e la seconda ad un seminario filosofico). Il fascismo è a mio avviso un fenomeno storico integralmente conchiuso, perché non esistono sociologicamente più le componenti sociali piccolo-borghesi che esso mobilitava. Mantenerlo come Male Assoluto, in un contesto culturale di secolarizzazione monoteistica di un principio del male (Lucifero è uno solo e non ce ne possono essere due), significa dotarsi di una risorsa simbolica di legittimazione sociale inestimabile. Il popolo ebraico, il grande popolo di Gesù di Nazareth, di Spinoza, di Einstein e di Marx, il popolo che ha subito l’inaccettabile ed ingiustificabile sterminio hitleriano, è in questo modo ipocritamente eretto a nuovo sacerdozio levitico globalizzato di una religione in cui la Shoah deve sostituire nel medio periodo sia la Croce che la Mezzaluna. Gli ex-comunisti, invece, sono usati ampiamente (almeno finché non si estinguerà biologicamente questa generazione) come testimoni dell’errore umano nel voler sostituire l’utopia alla realtà e il progetto prometeico al sobrio principio di responsabilità. Termino con una previsione: l’antifascismo in assenza di fascismo e l’anticomunismo in assenza di comunismo hanno ancora davanti a sé anni, e probabilmente decenni. E’ frustrante per le singole vite umane di chi ha capito la follia di questo meccanismo, ma evidentemente si è qui di fronte a quei “tempi geologici” che a volte la storia si permette di adottare.
- 7. Conclusioni. Alcune caute ipotesi sul destino della dicotomia Sinistra/Destra.
Il futuro storico non è prevedibile. Questo è il punto da cui partire. Non è quindi neppure possibile fare previsioni serie sull’evoluzione della dicotomia Destra/Sinistra. Si possono al massimo avanzare caute opinioni sugli scenari più vicini. petite plaisance 13 Religione Politica Dualista Destra/Sinistra Come ho scritto in precedenza, il meccanismo unico di riproduzione allargata della nuova società capitalistica senza classi post-borghese e post-proletaria tende a creare per le sue funzioni sistemiche di legittimazione politica ed ideologica un partito unico politicamente corretto. Ciò che sta fuori da questo meccanismo unico del politicamente corretto, e cioè il Non-Corretto, rappresenta la secolarizzazione della buona vecchia nozione teologica di Male, anzi di Male Assoluto. In questo Non-Corretto ci stanno elementi ideologici presi sia dal vecchio fascismo che dal vecchio comunismo, quasi sempre unificati nella nuova dizione politologia di “populismo”, storicamente forse impropria, ma molto efficace nella funzione di demonizzazione. Per quanto riguarda la distribuzione sociologica ed elettorale di tutte le componenti interne al partito unico, ho già chiarito che si tratta di un “pluralismo” del tutto fisiologico alla riproduzione globale del sistema, in cui è già previsto che i poliziotti e i medici ricchi si posizionino a destra, i preti ed i commercianti al centro, e gli operai salariati e gli insegnanti delle scuole secondarie a sinistra. Questo “pluralismo culturale” deve però essere gestito e supervisionato da quel doppio clero secolare (i giornalisti) e regolare (i professori universitari) di cui ho parlato, integrato dal vecchio sotto-clero religioso che, come i pompieri, è chiamato in caso di emergenza. In questo quadro largamente post-borghese e post-proletario, dominato da un costume sociale post-etico, il cui principio è “tutto va bene” (everything goes), da integrare con il principio “everything goes, if you have enough money”, ed in cui appunto la gestione delle norme etiche passa dai preti ai pubblicitari, la dicotomia Destra/Sinistra non è più ovviamente in grado di orientare reali movimenti politici. In Europa, ad esempio, il problema storico e strategico di questi anni è l’atteggiamento politico, militare e geopolitico da prendere verso la pretesa imperiale unilaterale e per di più messianica degli Stati Uniti d’America, e questo problema primario e strategico è assolutamente “diagonale” agli schieramenti tradizionali di Destra e di Sinistra. E si potrebbero fare molti altri esempi di questo tipo. E’ dunque necessario per i padroni materiali ed ideali del pianeta mantenere uno schema di orientamento identitario che non rispecchia più i problemi reali. Il futuro della obsoleta dicotomia non sta allora nella sua funzione di orientamento razionale nei conflitti di oggi, ma proprio nella sua funzione di impedire a tutti i costi questo orientamento razionale. Che fare? Non lo so. Per ora, meglio mantenere una posizione che è purtroppo di marginalità testimoniale piuttosto che mendicare un “posto a tavola” negli apparati mediatici ed editoriali del potere. La marginalità testimoniale non è certamente soddisfacente, ma almeno salva la memoria del passato, la dignità del presente, e forse la prospettiva del futuro. Per il resto, il sistema mediatico nel suo complesso, al di là delle sue sfumature, assume sempre di più il ruolo esercitato nel Settecento francese dalla chiesa cattolica. E forse, prima o poi, arriverà un nuovo Voltaire che dirà in buon francese; “Êcrasez l’infame!”.
di Costanzo Preve