Missili e droni iraniani hanno colpito obiettivi in Pakistan, nel Kurdistan iracheno e nella regione siriana di Idlib controllata da Tahrir al-Sham (già sezione irachena di al Qaeda). Le autorità di Teheran hanno affermato che gli attacchi erano una risposta alle recenti aggressioni subite dall’Iran.
Anzitutto l’attacco di metà dicembre a una stazione di polizia di Rask, costato la vita a 11 poliziotti, per mano dei terroristi di Jaish al-Adl, che hanno le loro basi in Pakistan. Quindi, l’uccisione del generale delle guardie rivoluzionarie Seyed Razi Mousavi, ucciso in Siria, presumibilmente dal Mossad israeliano. Infine, l’attentato di Kerman, rivendicato dall’Isis, che ha causato la morte di circa 100 cittadini iraniani.
Da qui l’attacco alle basi di Jaish al-Adl, a quelle dell’Isis a Idlib (zona nella quale gli americani dissero di aver ucciso l’imprendibile califfo dell’Isis Abu Bakr Al-Baghdadi) e, infine, i missili indirizzati contro obiettivi del Kurdistan iracheno, che Teheran asserisce fossero basi del Mossad.
L’Iran e gli USA:
L’attacco in Pakistan ha suscitato la reazione di Islamabad, anche perché insieme ai militanti sarebbero morti due bambini. E reazioni indignate hanno suscitato gli attacchi nel Kurdistan iracheno, tanto che Baghdad ha richiamato l’ambasciatore presso Teheran.
Insomma, Teheran ha deciso di adottare dinamiche simili a quelle degli Stati Uniti, pronti a bombardare ovunque vi sia un terrorista che ha attentato o vuole attentare ai suoi interessi, ma usando attacchi meno massivi e più chirurgici di quelli made in USA.
Anche nel caso di Teheran, come per gli attacchi USA di tal fatta, le prove a supporto delle operazioni non sono state sbandierate, da cui la possibilità che ne sia contestato il fondamento (ma nel caso americano capita di rado, essendo rischioso mettere in dubbio la parola del dominus).
Solo sulla strage di Kerman sono stati divulgati particolari dall’Agenzia Tansim, che ha riferito di come, in seguito all’eccidio, siano stati arrestati 35 individui che avrebbero fatto parte della rete terroristica in territorio iraniano e che a organizzarla era stato Abdullah Tajiki, fuoriuscito dall’Iran prima dell’attentato, mentre a farsi esplodere tra la folla era stato un altro cittadino tagiko arruolato nelle fila dall’Isis, tal Bazirov Israeli.
Il Kurdistan iracheno e Israele:
Quanto all’affermazione che i missili che hanno colpito alcuni edifici di Erbil abbiano in realtà distrutto basi del Mossad non c’è, ovviamente, alcuna conferma. Sul punto, è interessante un articolo pubblicato su Yedioth Ahronoth che, dopo aver riportano le smentite (anch’esse ovvie) delle autorità curde e irachene sulla presenza di basi del Mossad in loco, si dilunga in una divagazione che desta curiosità.
“Le relazioni curdo-israeliane – scrive Ynet – sono intense e feconde da decenni. Israele è stato tra i pochi paesi al mondo a riconoscere i risultati di un referendum del 2017 sull’indipendenza della regione del Kurdistan, con il 92% dei voti espressi a favore dell’indipendenza. Inoltre, Israele ha mantenuto legami con i curdi sin dagli anni ’60 e ’70, periodo durante il quale gli agenti dell’intelligence israeliana operavano nel Kurdistan iracheno in collaborazione con il mullah Mustafa Barzani, padre dell’attuale leader curdo”.
L’ultimo riferimento è a Mas’ud Barzani, l’uomo forte del Kurdistan iracheno, del quale è stato presidente dal 2005 al 2017, intronizzato in quella posizione dagli occupanti americani e guida ancora indiscussa del partito democratico del Kurdistan.
Sull’attacco a Erbil si sa poco. Si sa solo che ha distrutto l’abitazione di Peshraw Dizayee, che sarebbe stato ucciso insieme alla sua famiglia e a un uomo d’affari iracheno che si trovava con lui. Dizayee era il proprietario del Falcon Group, che ha costruito l’Empire World e altri complessi edilizi rilevanti di Erbil, come scrive Forbes, oltre a occuparsi di Tecnologia, Sicurezza e soprattutto petrolio.
Perché l’attacco:
Va ricordato che in casi precedenti, quando Teheran ha accusato i suoi nemici di crimini consumati sul suo territorio o contro i suoi interessi nazionali, aveva evitato di rispondere o, quantomeno, le sue repliche erano rimaste segrete, per evitare escalation. Da cui l’importanza dell’attuale reazione, o asserita tale, ostentata al mondo.
Diverse le motivazioni di questo cambio di rotta. Anzitutto, voleva segnalare nel modo più esplicito possibile che ulteriori aggressioni contro di essa avrebbero innescato una risposta ferma. In secondo luogo, intendeva dimostrare di avere a disposizione armi ad alta tecnologia, in grado di colpire con precisione gli obiettivi a lunga distanza.
Un messaggio diretto verso Israele, per segnalare come la spinta ad allargare la guerra di Gaza a Hezbollah e Iran sarebbe stata disastrosa per Tel Aviv. Infine, voleva inviare un segnale al cosiddetto Asse della resistenza, che va dalle fazioni palestinesi a Hezbollah agli Houti, per dimostrare la sua partecipazione, seppur in posizione defilata, alla loro lotta.
Un messaggio inviato anche agli Stati Uniti: l’Iran non è l’Iraq di Saddam. Se la lobby della guerra contro Teheran, attiva negli USA da decenni, riuscirà nel suo intento di trascinare l’Impero ad aprire questo conflitto di larga scala, gli States devono prepararsi a uno scontro durissimo, che potrebbe consumarne le residue energie e così fargli perdere nel medio periodo il conflitto globale, per ora indiretto, che ha aperto con Cina e Russia.
Articolo preso da l’Antidiplomatico.