di Alessandro Cavallini
Quando si parla di Karl Marx, il primo concetto che viene in mente è quello di lotta di classe. Con questo termine, il filosofo di Treviri spiegava l’esistenza dei conflitti sociali presenti nella storia dell’uomo come il risultato dell’antagonismo tra la classe della borghesia e quella del proletariato.
Secondo Marx, inoltre, questo conflitto era destinato a concludersi con la vittoria del proletariato e l’instaurazione del comunismo. Per questo motivo, egli riteneva certo che il conflitto sarebbe giunto a conclusione nei paesi del capitalismo più sviluppato, alla sua epoca l’Inghilterra.
I fatti però gli hanno dato torto poiché il socialismo di stato si è realizzato in Russia, un paese molto arretrato e dall’economia prevalentemente agricola.
Questo perché Marx scordava (probabilmente non aveva letto Nietzsche…) che nelle faccende umane conta molto la volontà, senza la quale non si può mai giungere ad alcun risultato, nemmeno in presenza delle condizioni più favorevoli. E i bolscevichi, da quel punto di vista, ne erano ben dotati.
Utilizzarono perciò il comunismo come mito di palingenesi e riuscirono, grazie ad esso, ad affossare lo zarismo.
Il sol dell’avvenire si trasformò da fine a mezzo.
Detto delle previsioni errate di Marx, oggi però ci poniamo una domanda: la lotta di classe può ancora essere utile come strumento di rivolta?
Non si è realizzata nelle modalità previste dall’estensore del Capitale però ha permesso ai bolscevichi di conquistare il potere.
Oggi parlarne sembra quasi anacronistico ma, se ha funzionato una volta, perché non dovrebbe ripetersi?
Certamente non si tratta di riproporla tale e quale a come la si intendeva nel Novecento. Al contrario, le categorie di borghesia e proletariato già avevano poco senso allora, oggi ancor meno.
Se ci pensate bene, attualmente siamo tutti sia borghesi che proletari. Borghesi poiché siamo tutti alla ricerca dell’agiatezza e dei piccoli piaceri materiali; proletari perché basta guardare i numeri dell’attuale Sistema liberalcapitalista per rendersi conto di come, negli ultimi decenni, il mondo (soprattutto quello “avanzato”) si sia lentamente ma inesorabilmente impoverito.
La classe media sta sparendo, da una parte abbiamo una massa enorme di persone che in qualche modo cercano di sbarcare il lunario e dall’altra un’élite sempre più ricca e sempre meno numerosa.
La possibilità però di conflitti sociali non si è esaurita ma, banalmente, sono riusciti a domarla col consumismo. Ed è proprio su questo punto che dovremmo riflettere per dare vita ad una nuova teoria, e conseguente prassi, rivoluzionaria.
La vita è, per sua natura intrinseca, una lotta. Si tratta però di scovare chi è disposto a lottare.
Per fare questo, dobbiamo prima capire quali sono oggi i due schieramenti in campo. L’abbiamo già scritto sopra ma possiamo anche sinteticamente raffigurarli con due termini ben precisi e tra loro contrapposti: la classe dei dominanti e quella dei dominati.
La prima è composta da tutti quelli che appartengono al cosiddetto Deep State e che sempre più stanno tentando di entrare fin nei meandri più privati della nostra vita. Basti pensare alle recenti folli teorie che vorrebbero imporci un’alimentazione a base di insetti.
I dominati invece sono coloro che non appartengono al Sistema di Potere oggi dominante e rappresentano la maggioranza assoluta (ma purtroppo dormiente…) della popolazione mondiale.
Cosa poter fare, di concreto, per risvegliare la classe dei dominati?
La soluzione è una sola: lottare.
Ma per farlo efficacemente sarà necessario combattere a 360 gradi, attaccando tutto ciò che il Sistema vuole imporci: le ZTL a pagamento nelle città, i ridicoli limiti orari delle macchine, le imposizioni alimentari, quelle sanitarie e via discorrendo.
Sarà inoltre necessario farlo ponendo a base della propria lotta ciò che più oggi vogliono toglierci: la nostra identità, sia essa nazionale, religiosa e/o sessuale. Solo così la nostra lotta sarà realmente nazionalpopolare e avrà possibilità di successo, altre vie non ce ne sono da percorrere.