Diego Fusaro
Il filosofo Umberto Galimberti ha recentemente detto che la parola patria è morta.
Lo ha detto senza alcun rimpianto, convinto che si tratti di una conquista. Che la civiltà della Tecnica e dello sradicamento planetario stia producendo il tramonto della patria è indubbiamente vero e non è certo il solo Galimberti a dirlo.
L’ordine dei mercati e della Tecnica produce sradicamento e deterritorializzazione, ponendosi come il tempo della mobilitazione totale, per richiamare la nota formula di Jünger.
Il cosmopolitismo è la sua figura fondamentale, il migrante la sua soggettività di riferimento.
Che tuttavia si tratti di un destino ineluttabile, a cui non possiamo che piegarci passivamente, è alquanto discutibile.
Nella storia umana nulla vi è di ineluttabile, poiché essa è lo spazio della libertà umana e delle sue azioni indeducibili da un qualsivoglia piano di necessità.
Il teorema del there is no alternative, a cui anche Galimberti sembra cedere, sappiamo bene a quale ordine del discorso rinvia: a quello di chi vorrebbe trasformare i suoi desideri in necessità, neutralizzando l’idea stessa della possibile trasformazione.
Perché il mondo diventa intrasformabile se ci dispensiamo dalla fatica di trasformarlo, credendo che non sia possibile fare alcunché.
Discutibile anche la tesi secondo cui sia un bene la fine della patria: basterebbe anche solo richiamare Martin Heidegger, autore che Galimberti conosce bene; ebbene, Heidegger sosteneva che nulla di grande è stato fatto dall’uomo senza un suo radicamento nella patria.
Patria che peraltro non è stata solo il luogo dei nazionalismi regressivi ma anche dei democratici movimenti di resistenza nazionale all’imperialismo.
Insomma, la patria non è affatto necessariamente un concetto regressivo, come l’ordine del discorso dominante vorrebbe farci credere. E come lo stesso Galimberti sembra lasciare intendere. Nel tempo della globalizzazione tecnocratica, la patria resta lo spazio fondamentale per una possibile democrazia. Ed è proprio per questo che gli ammiragli del capitale e i signori della Tecnica tanto detestano la patria.