di Umberto Baccolo e Elisa Torresin
Una giovane mamma, per proteggere i suoi figli, trova il coraggio di andarsene di casa e denunciare le vessazioni subite.
Non c’è però un lieto fine, infatti in questo Paese condannato innumerevoli volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani per la nostra incapacità di salvare le donne dalla violenza, questa mamma dolcissima e coraggiosa, vuoi per inadeguatezza della magistratura, vuoi per inadeguatezza della sua difesa, vuoi per pregiudizi radicati riguardo certe situazioni, soccombe nel processo.
Non bastasse questo, riceve un ulteriore oltraggio dalle istituzioni grazie al procedimento civile: sappiamo infatti che dopo la legge 54/2006 in quella sede le madri che denunciano violenza o abusi vengono loro processate e condannate, in spregio ad ogni principio dello Stato di Diritto, in virtù di perizie basate su un costrutto fantasioso, rigettato da quasi tutta la comunità scientifica, ideato da un tale che millantava di essere un professore di psichiatria infantile presso la Columbia University e la cui produzione “scientifica” è composta unicamente da autoproduzioni stampate in casa, ricchissime di passaggi in favore della pedofilia e del suo sdoganamento e principalmente mirate a insegnare metodi per screditare le vittime di questo reato e mettere in dubbio nei tribunali la credibilità delle loro denunce.
Per una madre nel civile la “diagnosi” di essere alienante o simbiotica o malevola o sinonimi di questo tenore è una vera condanna e, ripeto per i più distratti, per formulare questa accusa non occorrono delle prove fattuali, dei dati di realtà: basta una perizia.
Come accadeva nella vecchia Unione Sovietica. In nome del sacro principio della bigenitorialità, che teoricamente dovrebbe essere un diritto del bambino ma che in realtà tutela principalmente i diritti del genitore disfunzionale, non si indaga sui motivi del rifiuto del bambino verso il padre, non ci si sofferma sui motivi delle sue paure: semplicemente si da per assodato che la madre sia una strega che manipola la mente del figlio. Se il padre non è in grado di instaurare un rapporto con il figlio, la colpa è della madre.
Comincia quindi una via crucis per madre e figlio, culminata in un decreto di prelievo che obbliga il minore ad essere recluso in una casa famiglia per recuperare il rapporto con il padre.
La mamma della nostra storia viene convocata in comune, per restituire le chiavi dell’appartamento in cui viveva la madre che è appena venuta a mancare. Lei si presenta all’appuntamento, il suo bambino non potendo entrare rimane fuori ad aspettare con un’amica, tra l’altro un’attivista straordinaria, che cerca di salvarlo quando degli estranei si presentano senza identificarsi per prelevarlo: ma questi la immobilizzano con violenza e le strappano il bambino dalle braccia.
Nel frattempo, la madre è sequestrata in comune. Raccoglie il coraggio, la lucidità per filmare e trasmette in diretta sui social quello che sta accadendo. Chiede di essere lasciata andare, chiede aiuto, non cede alla paura, al ricatto. Ma a nulla serve.
Questa mamma amorevole, dolcissima, con una pazienza infinita, che mantiene rapporti di una serenità invidiabile con il padre di una sua prima figlia già adolescente, che ricopre degnamente il ruolo di insegnante, che è una cittadina irreprensibile, è tenuta sotto sequestro mentre il figlio, disperato, le viene prelevato.
Passa un anno. Il bambino è in casa famiglia da allora e ha un solo desiderio, con buona pace della terapia della minaccia (una vera e propria forma di tortura promossa dal millantatore di cui sopra): tornare dalla mamma e dalla sorella che lo aspettano. La mamma lo vede solo tramite incontri protetti, che cerca di rallegrare e rendere speciali in ogni modo per rassicurare il suo cucciolo.
Oggi è arrivata la richiesta da parte del PM di archiviazione di una denuncia, sacrosanta, da lei fatta per quel temporaneo sequestro di persona che ha subito nel Comune, dal suo punto di vista illegalmente, per quel percepito abuso di potere, per la violenza anche verso la sua amica e sé durante il prelievo, richiesta motivata in un modo che a me fa inorridire per lo sdegno.
Ecco, questa è la violenza contro le donne di cui nessuno vuole parlare. Una delle peggiori che esiste, tra l’altro. Cominciamo a parlarne, sul serio, per favore.