L'Italia Mensile

Palestina: una terra troppo promessa

di Antonella Ricciardi

Troppi interessi hanno concorso a rendere cronica la tragedia del conflitto in Palestina e dintorni, soprattutto da parte di coloro che, negli Stati Uniti,  non hanno fatto da deterrente alle continue violazioni israeliane ai danni della pace e dei diritti dei popoli. Peraltro, quello d’Israele non è assolutamente uno Stato inerme, ma si tratta di un Paese potenza nucleare, che non ha firmato, infatti, il trattato di non proliferazione riguardo le armi nucleari.  

Non fermare l’invio di armi, per immorali interessi economici e per aberrazioni suprematiste ideologiche, può portare maggiormente solo ad ostilità ed isolamento rispetto a larghissima parte del mondo. Chiunque sia presidente degli Stati Uniti, dovrà tenere conto di questa situazione, insostenibile sul lungo periodo, se vorrà evitare un isolamento maggiore e l’irrilevanza degli ultimi mesi, rispetto alle posizioni sempre più violente di Netanyahu. Il governo degli USA ha continuato infatti a sostenere Israele, solo a tratti pronunciando blande condanne dei suoi atti più macroscopicamente indifendibili, ma non facendo seguire alle parole i fatti. Nuovi equilibri si cominciano già a delineare, con il ruolo di contraltare rispetto al potere USA, da parte dei Brics: Paesi non assoggettati, in senso politico ed economico-sociale, all’alleanza-sudditanza con Washington, e che non utilizzano il dollaro per le transizioni internazionali.

Così, Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica, componenti dei Brics, nel recente vertice di Kazan, cui hanno dato un contributo anche Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, stanno assumendo sempre più rilievo internazionale. In attesa delle elezioni statunitensi, intanto, il premier israeliano Netanyanu ha aperto, tra 2023 e 2024, numerosissimi fronti, violando ogni legge internazionale e di diritto naturale: si è purtroppo di fronte ad atti inammissibili continuamente reiterati, e da fermare.

Dai fronti palestinesi, nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania (dove i soprusi dei coloni sono continui, e spalleggiati dal governo), al Libano, all’Iran, a sporadici ma preoccupanti attacchi a Siria e Yemen, e perfino contro l’Iraq. In particolare, gravissima è stata l’aggressione al Libano, la cui invasione non ha portato a sanzioni, a differenza di quella russa dell’Ucraina, né all’esclusione degli israeliani da competizioni sportive, a differenza della Russia, tagliata fuori pure dalle Olimpiadi.

Eppure, secondo quanto correttamente ha affermato anche il premier libanese, Mikati, si tratta di una guerra di sterminio, soprattutto contro i civili: sono circa 2700 i libanesi uccisi dai bombardamenti israeliani, nel tentativo di sradicare i combattenti della milizia sciita Hezbollah, politicamente supportata dall’Iran, tra settembre e novembre 2024.

Una invasione preceduta da un atto, spacciato da lotta al terrore, ma a tutti gli effetti di terrorismo di Stato, in forma di guerra ibrida anche ai civili: l’esplosione di migliaia di cercapersone e walkie-talkie (strumenti tecnologici apparentemente superati da mezzi più moderni, ma usati ancora per non farsi intercettare da molti miliziani Hezbollah), da parte dei servizi segreti israeliani, senza alcun rispetto per i civili.  Esplosioni che avevano causato decine di morti e molte migliaia di feriti, tra cui centinaia di persone accecate in una delle operazioni che molti hanno definite tra le più a freddo e luciferine da parte del Mossad, il servizio segreto israeliano, già noto per avere spesso agito con licenza di uccidere, senza considerare leggi di uno Stato di Diritto e principi etico-morali generali.

Gli stessi assassinii di leader di Hezbollah e Hamas, ad esempio il libanese Nasrallah, i palestinesi Haniyeh e Sinwar, appaiono come dei genocidi simbolici, in quanto colpiscono parti politiche che incarnavano anche parte dell’identità di quei popoli. Simboli pure di milizie che, pure per chi ne possa criticare alcuni aspetti della visione della società, d’ispirazione nazionalista islamica, e l’avere esposto la popolazione alle rappresaglie israeliane (comunque inaccettabili e di estrema brutalità), però non possono non apparire la parte debole e la parte resistente.

Inoltre, è almeno da marzo 2024 che Hamas si era dichiarata a favore di un cessate il fuoco definito, che non ha incontrato alcun interesse da parte di Tel Aviv, interessata a provocazioni sempre più mirate a rendere impossibile la pace ed a cercare di fare precipitare la situazione. Gli Stati Uniti, intanto, erano rimasti appunto come paralizzati, temendo la perdita di consenso di una parte molto potente dell’elettorato, se si fosse scontento il blocco di potere pro Israele.

In effetti, il governo di Netanyahu, minato dalle contestazioni per i suoi tentativi soprattutto di diminuire i poteri della Corte Suprema (argine a molte espropriazioni dei coloni), è parte di una coalizione della destra ultra-integralista ebraica; fin troppo chiaro l’intento di andare avanti con una guerra che assicuri tale appoggio di governo… Un esecutivo, quello di Netanyahu, che ha colpito esplicitamente le forze della missione internazionale UNIFIL in Libano (feriti vari militari indonesiani e dello Sri Lanka), sotto l’egida dell’ONU, che doveva separare l’esercito israeliano dai guerriglieri libanesi di Hezbollah: aggressioni israeliane contro ogni legge internazionale, che spesso hanno visto “accecare” le telecamere (anche nel caso di attacchi a postazioni italiane, oltre che serbe e spagnole), per impedire di documentare quanto stesse avvenendo ulteriormente.

Del resto, a nessun Paese al mondo verrebbe consentito senza reazioni quanto sta attuando da tempo il governo di Benjamin Netanyahu, che ha definito il segretario generale dell’ONU, il portoghese Guterrez, persona “non gradita”, per la sua condanna della strage di civili nella Striscia di Gaza. Una presa di posizione, quella di Guterrez, in realtà assolutamente corretta, contro l’inammissibile, nel momento in cui anche la fame viene usata per assediare la Striscia e le vaccinazioni contro la poliomielite, tornata per le troppo difficili condizioni di vita, stanno avvenendo solo in parte, a causa dei continui bombardamenti israeliani, spesso contro obiettivi civili, tra cui scuole e ospedali, e non diversamente che in Libano. Perfino il Parlamento palestinese nella Striscia di Gaza è stato fatto saltare in aria dall’esercito israeliano.

Secondo la rivista internazionale Lancelot, per cause anche dirette, ad esempio malattie dovute alle condizioni sempre più difficili di vita, sommate alle uccisioni, si rischierebbero circa 186.000 morti nella Striscia di Gaza, considerando che siano probabili quattro morti indirette in relazione alla situazione, rispetto ad ogni morte diretta, ossia su ogni persona direttamente uccisa: si tratta di uno studio statistico già dell’estate 2024, quando le morti dirette erano giù quasi 40.000.

Certamente l’oppressione non potrà durare per sempre, ma, nello stesso tempo, ci sono elementi per considerare che il processo di liberazione, autodeterminazione del popolo palestinese avverrà in diverse fasi, ed in tempo storici. La storia ha dimostrato che anche realtà che sembravano insuperabili sono venute meno: ad esempio, gli Stati crociati, nel Medioevo, l’Impero coloniale britannico, in età contemporanea, ecc…

Tuttavia, certamente la situazione rimane molto grave: si è parlato di massacro del 7 ottobre, certamente, senza precedenti per Israele, con circa 1200 persone uccise, ma siamo di fronte anche e soprattutto al massacro da dopo il 7 ottobre, a data ancora indefinita, ai danni dei palestinesi.

Attualmente, a novembre 2024, siamo a oltre 43.200 palestinesi ammazzati dall’esercito israeliano: morti dirette secondo dati del Ministero della Sanità, confermati in linea di massima da organizzazioni umanitarie internazionali e dall’ONU, con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un bagno di sangue che ha visto l’uccisone anche di circa 17.000 minori, tra cui circa 3000 bambini sotti i cinque anni: dati quantitativi, oggettivi, “scientifici”, che purtroppo confermano una linea sanguinaria di continuità anche con il passato, sia pur in una situazione molto peggiorata, e nello stesso tempo cifre da genocidio, da fermare; basti pensare che i minori morti in due anni di guerra in Ucraina sono circa 500…un evento tragico, certo, ma che è  abissalmente lontana nei numeri dai dati di Gaza.

Riguardo poi Israele,  non si tratta di legittima difesa, perché si tratta di atti non contemporanei, oltretutto, al massacro del 7 ottobre; inoltre, si usa appunto la fame in quanto arma di guerra, in modo disonorevole, e contro le stesse leggi di guerra, e non a caso si cerca di delegittimare anche l’Unrwa, l’agenzia ONU di assistenza ai profughi palestinesi.  C’è peraltro una linea di tragica continuità, pur in senso peggiorativo: già con l’operazione “Piombo fuso”, tra 2008 e 2009, con il premier israeliano Olmert, per poco più di 10 militari israeliani, furono uccisi più di 1300 palestinesi, soprattutto civili, ancora nella Striscia di Gaza, ed all’epoca non c’era stato alcun “7 ottobre” ai danni degli israeliani.  

Di fatto, siamo di fronte ad una sorta di sesta guerra arabo-israeliana, tra 2023 e 2024, ma talmente asimmetrica che più che una guerra è un massacro. Del resto, i palestinesi non hanno contraerea, non hanno uno Stato, e non a caso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha ritenuto plausibili le accuse di genocidio verso Israele, avvalorate dalle dichiarazioni criminali di numerosi ministri israeliani. Dichiarazioni che aumentano di giorno in giorno: una delle più ignobili è stata quella del ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, il quale si lamentava che gli impedissero di causare la morte per fame di due milioni di palestinesi a Gaza (e ricordiamo che dei morti per denutrizione ci sono stati, e gli aiuti internazionali arrivano con il contagocce).

Tra le tante testimonianze di dolore estremo, in particolare, emblematico era stato il pianto di una donna palestinese, la cui tragedia ne rappresenta tante altre: “I miei figli sono morti senza mangiare”, gridava nella sua disperazione, ripresa dalla televisione, che entrava in innumerevoli case…

Una situazione, quindi, precipitata, ma nel segno della continuità, appunto, con tanti altri assedi e stragi del passato, perché anche allora le reazioni d’Israele erano state di estrema brutalità.  Purtroppo l’intento di Netanyahu, evidentemente, è di “tirare” con la guerra fino alle elezioni americane di novembre, nell’auspicio che vinca Trump, più filoisraeliano dei democratici (che in parte sono divisi, e parzialmente critici verso Israele). Lo stesso Netanyahu aveva “previsto”, nel dicembre 2023, che la guerra potesse durare ancora circa un anno, pare proprio non a caso… 

Molto grave è anche la pratica israeliana del terrorismo di Stato, con esecuzioni extragiudiziali: di solito, il terrorismo, pur inaccettabile, è l’arma dei deboli, per attirare l’attenzione contro ingiustizie varie…qui, invece, si tratta di una situazione molto più grave, perché esercitata dalla parte forte, proprio per questo è molto più pericolosa, in quanto ha dietro un apparato statale. Purtroppo, i servizi segreti israeliani hanno più volte dimostrato di avere licenza di uccidere. Per me che sono realmente per lo Stato che non uccide, che non debba torturare, neanche mentalmente, oltre che non fisicamente, è qualcosa da avversare totalmente. 

Ricordo, tra i vari casi, il tentato omicidio di Khaled Meshaal, avvelenato dal Mossad: per ottenere l’antidoto, fu attuato un sequestro di agenti israeliani, e solo in cambio della successiva liberazione si potette salvare il dirigente di Hamas; ricordo lo sterminio di tutti (tranne uno) i responsabili del sequestro israeliano a Monaco (l’unico a non essere ucciso, Abu Dawud, in realtà era stato solo ferito, fortuitamente, e morì anni dopo per malattia), gli attacchi ai Consolati iraniani in Siria, accusati di sostenere Hezbollah, ed altro ancora. Ci sono stati sospetti anche di un avvelenamento ai danni di Yasser Arafat, sebbene i dati al riguardo con abbiano dato del tutto certezze incontrovertibili: tuttavia, Ariel Sharon, allora premier israeliano, aveva minacciato di ucciderlo, e si era rammaricato di non esserci riuscito a Beirut nel 1982, quando lo stesso Sharon era.

Estremamente sinistro è stato il tragico episodio dell’assassino del leader di Hamas a Teheran, Ismail Haniyeh: uccisione per cui il governo iraniano ha accusato Israele, che non commenta ma non smentisce. Peraltro, Haniyeh era uno dei leader più pragmatici e dialoganti di Hamas, tra i più favorevoli al negoziato e ad uno scambio di prigionieri, compresi gli ostaggi israeliani (che si dimostrano tra gli ultimi pensieri di Netanyahu), per ottenere un cessate il fuoco definitivo. Con la più alta plausibilità, l’assassinio mirava a mettere in difficoltà il nuovo governo iraniano, essendo avvenuto proprio in occasione della cerimonia d’insediamento del nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, che ha fama di essere un moderato, e cercare di trascinare quel governo in una escalation di guerra controproducente e pericolosa. Provocazione nella quale ci si può augurare non si cada. 

Si può dedurre analiticamente, infatti, che Israele avrebbe avuto molte occasioni per uccidere Haniyeh, che non si nascondeva nei tunnel, ma agiva muovendosi liberamente: tuttavia, non è stato colpito nei filo-occidentali Emirati Arabi Uniti e Qatar, sede dei negoziati, ma proprio in Iran, in un momento assolutamente cruciale.    Inoltre, un altro dato da tenere sotto controllo, che potrebbe inficiare il dominio del governo israeliano su un altro popolo, è la questione demografica: secondo vari studi, con questo tasso di crescita, i palestinesi all’interno dei confini d’Israele (a parte i profughi all’estero, e la popolazione di Cisgiordania e Striscia di Gaza) potranno superare la popolazione ebraica. Non può essere realistico, quindi, che si possano dominare a lungo tali moltitudini… 

La soluzione dei due Stati è minata alla radice poi dal colonialismo anacronistico, fuori tempo massimo, oltre che razzista e suprematista, dei coloni ebrei nei Territori occupati: sono ormai 700.000…una presenza odiosa per i palestinesi, certamente illegale, contro ogni principio di diritto: per questo è importantissimo il boicottaggio dell’economia israeliana, soprattutto dei prodotti delle colonie: una opposizione non violenta ed una forma di resistenza a questi soprusi da colonialismo di popolamento. E non aiuta la pace qualunque complicità con l’involutiva e non condivisibile visione religiosa dei coloni ebrei.

C’è da ricordare, a coloro che lamentano il ruolo di Hamas, che questo nei fatti è stato favorito dall’indebolimento dell’Autorità Nazionale Palestinese, che non controlla quasi niente in Cisgiordania, dove i palestinesi sono confinati in aree limitate, simili a ghetti e bantustan, circondati da invadenti insediamenti israeliani abusivi. In ogni modo, le colonie vanno smantellate per la legge internazionale, i palestinesi devono poter controllare almeno una parte del territorio, con pieno controllo delle risorse naturali.

Le due comunità sono comunque così interconnesse che quella dei due Stati può essere forse una fase temporanea, per poi arrivare in futuro, nel caso sia possibile per una migliore interazione geopolitica, culturale, e socio-economica, ad un possibile unico Stato nella Palestina storica (gli attuali Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza). Uno Stato simile al Sudafrica post apartheid nella Palestina storica, così, composta di varie, regioni, sul modello dei cantoni svizzeri, e magari eventualmente con passaporti differenziati.

Tale progetto, sostenuto anche da molti intellettuali, potrà essere fattibile   solo se si arriverà a convivere su un piano di parità: senza apartheid, nel rispetto di tutte le componenti etnico-religiose di quella antica terra, che potrebbe così essere davvero redenta da guerre e soprusi di ogni sorta. Una situazione di vera democrazia costituzionale, mentre attualmente Israele non è democratico anche con gli altri, ed è un dato di fatto che non ha una Costituzione.  

Momenti di speranza vengono già ora da mobilitazioni in tutto il mondo a favore del popolo palestinese: manifestazioni umanitarie e per la giustizia, contro gli atti delittuosi e contro l’indifferenza… anche nei campus americani, nel cuore degli USA, da parte di studenti che dissentono fortemente dalla complicità dei propri governi. Manifestazioni che fanno loro onore, e che, in un certo senso, sono un passo avanti pure rispetto alle proteste del 1968 contro la guerra del Vietnam: anche in quel caso, proteste meritorie, ma in quel caso erano direttamente gli americani ad essere in guerra… Qui si tratta di un sostegno dall’esterno, non meno deleterio, ma, in qualche modo, le proteste sono più libere da altre considerazioni…La guerra del Vietnam non conveniva neanche agli Stati Uniti, e tra i morti, pur in misura molto minoritaria rispetto ai vietnamiti, c’erano anche soldati USA. Le manifestazioni per la Palestina rappresentano un grado particolarmente evidente di elevazione delle coscienze e di opposizione all’ingiustizia, da parte di giovani che nutrono determinati ideali.

Un altro aspetto da analizzare riguarda anche le ripercussioni del conflitto sull’Italia, a proposito delle quali numerose sono le interazioni.  Un tempo, la linea politica italiana aveva avuto momenti di maggiore equilibrio e maggiore coraggio sulla questione; si può accennare alla linea per il sostegno all’indipendenza energetica e politica del mondo arabo con l’ENI di Enrico Mattei, a quella più dialogante di Aldo Moro, a quella prudente ma di mediazione di Giulio Andreotti, a quella coraggiosa di Craxi, nel 1985 difensore de Diritto internazionale e della dignità nazionale a Sigonella, che non volle consegnare agli USA i dirottatori palestinesi della nave Achille Lauro, territorio italiano per la legge internazionale. Venendo a questo tempo, a volte Giorgia Meloni tenta di moderare un po’, aggiungendo, ad integrazione di quanto detto da Netanyahu, ma in realtà in contraddizione, che il cercare la sicurezza non deve essere vendetta, quando lo stesso Netanyahu aveva rivendicato apertamente di volere vendetta…

La stessa Giorgia Meloni aveva affermato categoricamente che siano inaccettabili gli attacchi israeliani all’Unifil, che non deve ritirarsi dal Libano, ed a volte ci sono state iniziative umanitarie di aiuto ai civili, soprattutto bambini palestinesi, del leader di Forza Italia, Antonio Tajani, che ha criticato la mancanza di volontà d’Israele sul cessate il fuoco, e i bombardamenti di obiettivi civili, tra cui ospedali e scuole…di per sé, atti positivi. Tuttavia, complessivamente, da tempo, però, il livello della lungimiranza politica italiana si è abbassato: certamente sono stati quantomeno mediocri l’astensione su “cessate il fuoco” e sul riconoscimento dello Stato di Palestina del governo italiano, votati invece da gran parte dei Paesi del mondo. Addirittura pessima è stata l’iniziativa di Salvini di promuovere una manifestazione in sostegno a Israele, che intanto porta avanti una politica genocida, da fermare.

Questo, nonostante una larga fetta, maggioritaria, della popolazione italiana simpatizzi con la causa palestinese, secondo quanto emerge da sondaggi e sia testimoniato da un numero molto elevato di manifestazioni, di diversi colori politici, ed a volte senza colori politici, ma puramente e liberamente solidali con la martoriata popolazione palestinese. Nonostante, quindi, questioni di giustizia, ed anche nonostante il fatto che converrebbe a politici italiani sostenere i diritti del popolo palestinese, anche per motivi elettorali sul piano numerico, c’è una vicinanza di troppo al governo del criminale di guerra Netanyahu, pur con alcuni distinguo. Si tratta certamente di una posizione, quella troppo vicina a Israele, dovuta ad una politica inquinata da una sudditanza nel rapporto con gli Stati Uniti: in parte imposta dagli USA, in parte dovuta ad auto-sottomissione, che per propria comodità può portare a posizioni pavide. A loro volta, gli Stati Uniti sono condizionati, culturalmente ed economicamente, da interessi economici di esponenti sionisti della comunità ebraica.

Colgo l’occasione, ancora riguardo l’atteggiamento italiano, di fare riferimento ad un episodio del passato, che potrebbe sembrare inizialmente una divagazione forse, ma in realtà è una digressione, connessa al tema dei rapporti Italia- USA-mondo arabo, e che in qualche modo mi aveva vista testimone involontaria; a proprio modo è stato utile, pur nei suoi aspetti dolorosi a farmi intuire qualcosa in più, anche con il senno di poi… Già negli anni ’90, infatti, m’interessavo alla questione palestinese, ed ero impegnata in attività volontaristiche, che mi aiutavano aprire la mente. Ero impegnata, così, anche in attività solidaristiche con detenuti politici, nel mondo, ed anche in Italia, soprattutto con prigionieri palestinesi. Ero in contatto epistolare anche con uno dei palestinesi che erano stati coinvolti nel caso dell’Achille Lauro. Ricordo che erano pronti a morire, e non agivano per guadagno personale, inoltre l’obiettivo non era uccidere civili (l’obiettivo originario era militare: una postazione di paracadutisti israeliani); ancora loro questi giovani palestinesi erano stati vittime del dramma della questione palestinese, e furono presi vivi per un soffio. Il dirottamento, pur deprecabile, avvenne perché scoperti, e comunque l’intento di liberazione, che richiedevano, di prigionieri arabi e per la liberazione della Palestina, erano di per sé scopi giusti.

In ogni modo, tale giovane detenuto per reati politici, Abdellatif Ibrahim Fatayer, che veniva da una famiglia di profughi palestinesi del Libano, era impegnato nel carcere di Voghera in attività riabilitative, tra cui laboratori teatrali, lavorazione del vetro e della ceramica… A seguito dell’evasione di un suo connazionale e coimputato, Majed Youssef Al Molqi (poi ripreso in Spagna, nel 1996), venni a sapere che Abdellatif fosse stato arbitrariamente collocato al 41bis, nonostante tale misura non fosse stato ancora stata estesa, in modo procedurale, a reati politici…estensione che è avvenuta, in modo preordinato, per reati anche politici con l’avvento delle Nuove Brigate Rosse, all’inizio degli anni duemila. Mi era giunto un suo telegramma dall’Asinara, dove era stato trasferito, nel quale lui chiedeva aiuto, e di mettersi in contatto con il cappellano del carcere di Voghera, che teneva contatti con l’avvocato, Gianfranco Pagano. 

Si era trattato, quindi, di un trattamento arbitrario, deciso dal Ministero dell’Interno precipitosamente, e plausibilmente per soggezione verso gli americani, particolarmente irritati dall’evasione da un permesso di Al Molqi, per cui era stata predisposta anche una taglia, solitamente estranea al costume giuridico italiano, dopo che la notizia era stata assimilata dai media americani, che lo avevano associato all’integralismo islamico (benchè Al Molqi rimanesse in realtà un musulmano laico, e tale era il Fronte di Liberazione della Palestina, componente dell’OLP  di cui era militante). La ricerca e l’arresto di una persona latitante sono ovvie, però credo si sia verifica certamente una situazione anomala con l’applicazione del regime di 41 bis ad Al Molqi, una volta ripreso, e soprattutto a Fatayer, che era del tutto estraneo a tale evasione, prima, appunto, dell’estensione generale di questo articolo dell’ordinamento penitenziario a reati politici (qualunque cosa se ne possa pensare) anni dopo.

Si può considerare che l’uso anomalo di tale misura abbia plausibilmente il significato della paura che si poteva avere delle pressioni americane, del timore che qualcosa sfuggisse di mano, e che sia stato qualcosa che ricorda il “perdere la testa” in determinate situazioni.  All’inizio avevo pensato fossero forse solo misure di sicurezza in più (avevo 17 anni nel 1996, ed alcune questioni le conoscevo di meno), sebbene la definizione di “carcere duro per i mafiosi”, che mi era nota, non mi rassicurasse; poi, approfondendo meglio la questione, mi resi conto che erano troppi gli aspetti vessatori della misura, che avevano il sapore dell’abuso.

All’epoca non ero ancora giornalista, ma avevo pensato potesse essere utile una lettera a qualche giornale sulla questione; mi era stato detto potesse essere meglio puntare direttamente sul piano legale, ma un intervento al riguardo   su alcuni giornali ebbi modo di leggerli: nell’estate del 1996, fu pubblicato un servizio sul giornale L’Espresso, con un raro caso di giornalisti ammessi a visitare carcerati all’Asinara, oltretutto al 41 bis; venne brevemente intervistato anche Abdellatif, che si definì “vittima della ragion di Stato”; apparve anche una sua foto.

Il settimanale non si caratterizzava per posizioni particolarmente garantiste, per certi aspetti aveva tendenze giustizialiste, eppure le condizioni estreme di quei prigionieri impressionarono anche i redattori; poco tempo dopo, a commento del servizio, sullo stesso giornale, Giorgio Bocca definì la condizione di quei prigionieri, tra cui Abdellatif, una tortura, pur senza percosse né sangue…ovviamente Giorgio Bocca non lo poteva sapere, ma in qualche caso le pecosse c’erano state: ad esempio, nel caso dello stesso Abdellatif Ibrahim Fatayer.  

Un anno dopo, nonostante si fosse già deciso di prorogare il 41 bis ad Abdellatif, ciò fu impedito meritoriamente da una denuncia in Parlamento dell’avvocato Pisapia, all’epoca di Rifondazione Comunista, che, in una interrogazione parlamentare, rivelò l’uso iniquo di quella misura. Dopo un anno era stato tolto il 41 bis anche al coimputato Majed Al Molqi, con quale successivamente avevo avuto modo di stabilire un contatto che mi era stati utile pure sul piano giornalistico, anche perché avevo conosciuto più dettagli del fatto che si fosse ritrovato con mafiosi vari (nel caso di Al Molqi anche all’Ucciardone di Palermo), nonostante la fattispecie di reato che lo riguardasse fosse di altra tipologia.

Tornando al caso più specifico di Abdellatif, nella sfortuna, in un certo senso, era stato fortunato, nel senso che dopo un anno gli era stato tolto, ma se glielo avessero automaticamente rinnovato, secondo prassi di fatto, gli sarebbero state negate tutte le attenuazioni della pena, perché non mira, almeno orientativamente, alla riabilitazione, diversamente dai parametri costituzionali (che comunque nei fatti quasi non ci furono).  Tuttavia, fu una situazione drammatica, e che fece danno: mi risulta appunto che all’Asinara fosse stato appunto picchiato, per spezzare un suo sciopero della fame di protesta: avevo notato che, in una delle lettere che lui mi aveva inviato (e che portavano tutte il timbro del controllo della censura del 41 bis, che le faceva passare solo dopo tale vaglio) c’era scritto che lo avessero trattato malissimo, e c’era una parola cancellata, ma io intravedevo che c’era scritto “picchiato”: avevo supposto che fosse stata cancellata da lui stesso, per evitare di avere problemi con la censura; conservo tuttora quella lettera, assieme ad altre. 

Tempo dopo, ebbi la conferma dal cappellano del carcere di Voghera che in effetti Abdellatif fosse stato picchiato ed insultato da delle guardie, che lo avevano utilizzato in modo vile una coperta per colpire in gruppo e non farsi riconoscere; il prete aveva aggiunto che se l’erano presa proprio con un “poveraccio”, con una persona già svantaggiata.   Inoltre, Abdellatif non potette vedere i familiari, che già non incontrava da sei anni: poiché il 41 bis prevedeva un solo colloquio al mese, invece che alla settimana, per i familiari era una spesa che non valeva la pena, passare tanti giorni in Italia per vederlo solo una volta, dato che certamente non potevano trattenersi più di un mese in Italia, per problemi economici. Erano persone molto povere, originarie del campo profughi palestinese di Tall Al Zaatar, in Libano, distrutto da forze pro Israele nel 1976, con una strage finale in cui pochi si salvarono; tra le persone uccise c’era stato purtroppo anche il suo anziano padre, che fu appeso ad un lampione. Successivamente madre e sorella erano state costrette a rifugiarsi in un campo vicino Sabra e Chatila, note per il famigerato massacro del 1982. Nel 1996 non potettero così venirlo a trovare, e poco tempo dopo morirono entrambe di cancro.

Pur senza più il regime di massima sicurezza, 41 bis, successivamente lui fu, per il resto del periodo di detenzione, in alta sicurezza, in situazione simile, sia pur di un po’ meno grave isolamento. Molto peggio era andata a Khaled Hussein dirigente palestinese condannato all’ergastolo perché considerato mandante (assieme ad Abu Abbas) del dirottamento della nave, considerato alternativa, secondo ricostruzioni processuali, se non fosse riuscito l’attacco ad un obiettivo militare israeliano: era morto a 79 anni in un carcere campano, senza poter avere accesso ad attenuazioni del grado d’intensità della pena, nonostante richieste di accedere a struttura alternativa al carcere, anche per essere seguito meglio per le condizioni psico-fisiche: una detenzione praticamente ostativa, simile al 41 bis, e non abbastanza rispettosa per le sue difficili condizioni, e di rara durezza per i canoni prevalenti in Italia… Era stato trattato anche più duramente di diversi condannati per mafia, nel non accesso nemmeno ad un centro sanitario alternativo al carcere.  Indubbiamente, contro Khaled Hussein c’era stato un accanimento davvero che non ha fatto onore alla civiltà del Diritto.

Molto più umane delle autorità giudiziarie italiane erano state le parole di Carmelo Musumeci,  all’epoca detenuto di origina siciliana, che un tempo aveva commesso degli errori per reati di stampo mafioso, ma poi si era riscattato con tre Lauree, scrivendo libri e soprattutto aiutando il prossimo; aveva affermato, riguardo la vicenda di Khaled Hussein, che non doveva accadere che un uomo, che aveva lottato per la libertà del suo popolo, morisse incarcerato, senza libertà, lontano dalla sua Patria, incontrando il peggio di una chiusura che sapeva di cattiveria; insieme, Carmelo, Khaled ed altri detenuti avevano infatti partecipato anche ad un altro tipo di cammino di tentativo di  liberazione, quella contro il carcere senza speranza, la detenzione ostativa,  da parte di quella parte di Stato che non sa mettersi in discussione e non segue davvero principi costituzionali.  

Sono vicende che possono far comprendere quanto possa essere utile un pensiero critico riguardo misure oltre leggi ordinarie, che spesso servono a consolidare poteri di troppo, e non davvero più alla sicurezza; vicende la cui conoscenza è utile per una sensibilizzazione su ciò. Mi sono permessa questo approfondimento, più personale, per rendere l’idea in modo più ravvicinato di quanto vengano stravolti anche principi di diritto pure in ambito interno italiano…quando subentrano sudditanza e paura dei “padroni”, rispetto a poteri forti. Spesso, una parte significativa della politica ed in generale tanta parte dei poteri delle “alte sfere”, riguardo la scottante questione israelo-palestinese, sono stati infatti caratterizzati da bizantinismi e servilismi, oltre che da cedimenti su questioni di principio. 

C’è assolutamente da augurarsi che una crescita della coscienza collettiva potrà migliorare certe situazioni, per la libertà della Palestina, per un mondo più equilibrato, ed anche per una maggiore indipendenza ed equità nella nostra Italia.

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