di Ruggero Arenella
“Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie.” K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, 1848.
Negli anni Settanta c’era l’eroina, negli anni Novanta la TV spazzatura, negli anni Dieci i social media.
Stiamo vivendo la più grande piaga sociale di sempre, che rischierà di divaricare irrimediabilmente la nostra società fra un’elite di illuminati col loro seguito di servi e una massa informe di individui atomizzati che non servirà più a niente, se non ad alimentare la loro stessa condizione di passività sociale.
Dopo un secolo di lotte operaie nell’occidente industrializzato si arrivò a un momento cruciale della storia, gli anni Settanta.
L’Unione Sovietica, dissolta solo vent’anni dopo, era all’apice del suo sviluppo. In occidente i partiti comunisti e socialisti, insieme coi sindacati, stavano vivendo la più grande partecipazione di sempre, le masse operaie occidentali stavano ottenendo diritti e salari impensabili fino a qualche decennio prima.
Di qui parte la rivalsa, o meglio la rivoluzione, neoliberista.
Un’orchestrazione colossale, passata dai think thank ai servizi segreti, dalle università ai giornali: la dottrina di Hayek e Friedman nelle vene dei futuri tecnocrati, e l’eroina nelle vene degli studenti e degli operai.
La rivoluzione neoliberista iniziò dai governi Thatcher e Reagan, passando da Mitterand, Kohl, Draghi-Amato-Prodi. L’occidente ne fu subito travolto e la trasformazione sociale colpì subito le classi subalterne creando sacche di povertà estrema nelle zone più povere degli Stati Uniti e del Regno Unito, dai ghetti di Baltimora ai sobborghi di Londra.
L’Europa continentale subì un processo più lento. Di fatto, nel giro di vent’anni, l’infezione neoliberale arrivò a colpire la classe media di tutto l’occidente, abbattendosi con violenza soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2007-2008.
La digitalizzazione, la “Quarta Rivoluzione Industriale”, il Grande Reset, l’Agenda 2030, non sono piani attuabili senza una classe sociale che ne interiorizzi l’esistenza.
La classe media, il prodotto delle lotte operaie e delle socialdemocrazie occidentali, era già stata individuata dai pensatori delle élite come la classe che, per le sue dinamiche sociali e antropologiche, avrebbe interiorizzato i dogmi della nuova società neoliberale (vedi il “Memorandum di Lewis Powell“).
Una classe che però, con tutti i suoi limiti, è ancora radicata all’idea di lavoro e all’idea di proprietà.
Una classe che per esistere deve produrre e comprare.
Una classe le cui dinamiche sociali girano insieme agli ingranaggi della macchina industriale. La classe media ha ben servito gli interessi del grande capitale finanziario negli utlimi quarant’anni, ma gli elementi adulti di tale classe non sono preparati, pronti alla futura trasformazione.
Già pronti sono invece gli elementi più giovani di tale classe, la “generazione Z”, i nostri figli.
La “sottoproletarizzazione” è indispensabile per questa nuova sfida delle élite occidentali.
La classe media, gli eredi dei proletari, deve sparire, e non basta una nuova crisi finanziaria, come quella, colossale, che stiamo per vivere nei prossimi mesi.
Certo, ci penserà il tempo, gli elementi più vecchi moriranno, ma le élite hanno fretta.
Serve velocizzare il processo di sottoproletarizzazione della classe media e per farlo bisogna accellerare il processo di digitalizzazione sociale.
Il mondo digitale offre una maturazione più veloce della passività sociale.
Chi produce contenuti online, su Tik Tok, Instagram, Only Fans vive un mondo chiuso.
Un mondo che si autoalimenta di puro intrattenimento.
“Esisto in quanto intrattengo”, non produco nulla, non posseggo nulla, e non potrei essere più felice – di vedere i like che ho preso con l’ultimo video e contare il totale dei miei follower.
Io, che a mia volta, sono il follower di tanti altri. Che producono la mia stessa immondizia digitale. E che contano i like e gli iscritti tutto il giorno come me. E, come me, si nutrono di quello.
Mi è capitato di vedere un filmato della RAI degli anni Settanta, un report sulla situazione dei tossicodipendenti milanesi. Il servizio si basa sostanzialmente sulle testimonianze di un ragazzo e una ragazza, poco più che ventenni, tossici da anni ormai.
Avevano una proprietà di linguaggio tale che per un attimo ho pensato fosse un servizio costruito, che i due ragazzi fossero attori che interpretavano un copione ben scritto da ottimi autori.
Continuando a guardare il servizio mi sono reso conto che era assolutamente originale.
Ho vissuto un’emozione contrastante, mi sono piacevolmente sorpreso del livello culturale di quegli anni e mi sono seriamente preoccupato del livello culturale di questi anni. Quei due ragazzi erano due anime buone, e ottime menti, spinti nell’abisso della dipendenza corporale, che gli impediva di intervenrire attivamente nel mondo. Impossibile definirli una “putrefazione passiva”.
Definizione che calza perfettamente oggi ai convinti seguaci di Chiara Ferragni e Fedez.
Agli ascoltatori di questo o quell’altro trapper.
Ai consumatori della mondanità che si può vivere solo se in possesso del certificato verde di vaccinazione.
La prima borghesia industriale e finanziaria di inizio Ottocento aveva grande potere, ma non possedeva ancora le informazioni necessarie per plasmare il mondo a loro piacimento con minimi sforzi.
Fu di fatto l’azione sfrenata di quella borghesia a creare i suoi nemici, i proletari.
Gli eredi di quella borghesia oggi non commettono gli stessi errori, riescono a creare nuove classi sociali, agendo con processi sovrastrutturali, oltre che strutturali.
Chissà cosa avrebbe pensato Marx di Tik Tok.
(https://avanti.it/operazione-blue-moon-2-0-dalleroina-a-tik-tok/)