Diego Fusaro
È di nuovo il primo maggio.
E anche quest’anno vi è davvero ben poco da festeggiare.
Addirittura, sembrerebbe per più versi un giorno di lutto, se si considerano al di là del vitreo teatro delle ideologie le reali condizioni in cui versa il mondo del lavoro oggi.
Ciò non vale solo per la sventurata Italia, ma più in generale per tutto l’occidente interno al modo della produzione turbocapitalistica.
Come ho provato a mostrare nel mio studio “Storia e coscienza del precariato”, stiamo vivendo nel tempo della rotta di classe, che ha sostituito la vecchia lotta di classe.
Le classi lavoratrici stanno subendo una controffensiva clamorosa da parte dei gruppi dominanti a partire dal 1989, l’annus horribilis che ha visto trionfare la “liberazione” del capitalismo e delle sue classi di riferimento.
Non per caso, dagli anni novanta parte la riorganizzazione verticistica del mondo del lavoro, gestita autocraticamente dai gruppi egemonici. Detta riorganizzazione si è sviluppata attraverso “riforme” deemancipative del mondo del lavoro che un poco alla volta hanno sottratto i diritti e le conquiste delle classi lavoratrici, ottenuti faticosamente con le lotte e con le proteste.
Questa riorganizzazione verticistica, nella forma di un vero e proprio massacro di classe gestito dall’alto, si è data con la piena complicità delle sinistre, nel frattempo passate dalla parte del capitale e dunque divenute sovrapponibili alle destre.
Il Jobs act in Italia e la Loi travail in Francia ne sono la triste conferma.
La situazione odierna dovrebbe essere ben nota: i lavoratori sono abbandonati alla loro solitudine, martoriati quotidianamente e irrappresentanti politicamente. Il discorso politico si organizza tutto intorno a categorie di altro tipo, quasi sempre utili solo a giustificare i rapporti di forza dominanti, con funzione distrattiva e compensativa rispetto al quotidiano massacro di classe: arcobaleni dei capricci individuali di consumo e green economy, in primo luogo. Il lavoro e i lavoratori sono fuori dai radar di ogni discorso politico, di destra come di sinistra.
E intanto, nel quadro del nuovo tecnofeudalesimo woke, sono sempre più frequenti scene di ordinaria follia nel mondo del lavoro: lavoratori costretti a urinare rimanendo alla catena di montaggio o addirittura lavoratori che muoiono sul posto di lavoro, nelle grandi catene multinazionali e-commerce, e vengono coperti con un cartone affinché gli altri lavoratori non interrompano la produzione.
Anche questo, in effetti è successo, nel civilissimo mondo della libertà capitalistica, dove però i padroni non sono più intesi e combattuti come nemici di classe, ma celebrati come filantropi perché magari indossano magliette e arcobaleno e praticano ipocritamente il greenwashing.
Il solo modo per celebrare il primo maggio consiste nel raccontare gli orrori che caratterizzano l’odierno mondo del lavoro sotto il segno del dominio capitalistico e, insieme, adoperarsi per rimettere al centro del dibattito il lavoro e l’esigenza di emanciparlo.
Non si tratta genericamente di una celebrazione sterilmente retorica del lavoro, ma della rivendicazione della sua centralità nell’ontologia dell’essere sociale.
Con le parole di Hegel, la coscienza giunge a se stessa solo tramite il lavoro. Ed è proprio per questo motivo che la verità del processo, nota ancora Hegel, sta nel servo e non nel signore, poiché solo il servo, lavorando, si oggettiva e acquista coscienza di sé e del mondo esterno.
Come ricordava Marx, l’uomo è il solo animale che lavori, il solo cioè che operi nel mondo consapevole del proprio agire e dei fini con cui operare sulla oggettività del reale.
Il lavoro dunque è formativo della coscienza, a patto che cessi di essere lavoro alienato e sfruttato e torni ad essere luogo della realizzazione delle nostre potenzialità umane.
Per questo, con buona pace degli arcobaleni e delle retoriche green, non vi è emancipazione possibile e non vi è progresso reale se non si rimette al centro il tema del lavoro e della sua emancipazione dai circuiti della alienazione e della reificazione, dello sfruttamento e della barbarie, della precarizzazione e della mortificazione, che dominano oggi nel tempo del nuovo feudalesimo high tech.