di Fabio C. Maguire
Mentre Parigi organizza l’evacuazione dei cittadini francesi presenti in Niger, un comunicato congiunto di Mali e Burkina Faso replica all’ultimatum dell’ECOWAS, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale.
L’organizzazione aveva intimato ai rivoltosi di abbandonare le ambizioni rivoluzionarie e restaurare l’ordine politico estromesso, pena un intervento militare nel paese.
Mali e Burkina Faso hanno espresso solidarietà ai golpisti e riconosciuto il nuovo potere, dichiarando che “un qualsiasi attacco militare in Niger equivarrà ad una dichiarazione di guerra contro di noi”.
Qualsiasi tentativo di reintegrare con l’uso della forza l’ex Presidente Mohamed Bazoum sarà considerato come un attacco diretto ai due paesi confinanti.
Un azione militare, ad avviso del duo africano, potrebbe avere gravi ripercussioni destabilizzanti e conseguenze disastrose sull’intera regione.
Entrambe le nazioni hanno condannato e respinto anche le “sanzioni illegali, illegittime e disumane” imposte dalla Comunità africana ed internazionale perché potenzialmente dannose per i cittadini del Niger.
A reclamare sulle sanzioni sono stati anche i leader di Guinea, Algeria e Libia che hanno, invece, sostenuto e riconosciuto la nuova classe politica del paese.
La Francia potrebbe intervenire per assicurare i propri interessi che, come visto, si individuano nelle ricche miniere di uranio presenti in Niger.
Le autorità africane non possiedono però il controllo sulle cave che vengono direttamente gestite ed organizzate da imprese multinazionali straniere, principalmente francesi come nel caso della Orano.
I rivoluzionari hanno validi motivi per criticare la presidenza ed i suoi collaboratori che hanno permesso a società straniere di arrochirsi a scapito della popolazione del Niger.
Il Niger è uno dei paesi africano meno sviluppati, con un alto tasso di povertà e mortalità.
Il paese soffre di una carenza di ospedali, scuole, pozzi d’acqua potabile e strutture politico-amministrative adeguate.
L’economia è mossa principalmente dall’agricoltura e dall’allevamento di bestiame, mentre non vi sono segni di industrializzazione nella regione.
Con la sua sterminata ricchezza potrebbe assicurarsi una rapida crescita, ricchezza di cui però raramente ha goduto.
La multinazionale francese Orano registra ricavi complessivi che rappresentano il doppio del PIL del paese, pagando il governo locale per lo sfruttamento delle miniere quote infinitamente basse rispetto ai reali guadagni dovuti all’estrazione e alla commercio dell’uranio.
L’uranio in Niger produce circa il 40% dell’elettricità della Francia, dove, una lampadina su tre era alimentata proprio dall’uranio africano.
Eppure l’89% della popolazione del Niger non possiede elettricità.
La Francia, che da quando ha sposato la causa nucleare non ha fatto altro che incrementare le proprie riserve di uranio ed omogeneizzare la propria produzione elettrica, vede nel Niger un paese chiave per lo sviluppo dell’elettricità nucleare, ed è comprensibile perché adesso Parigi sia profondamente turbata.
La Francia è uno dei paesi maggiormente dipendenti dal nucleare, pensare che solo nel 2020 il 70,6% della produzione elettrica è stata di tipo nucleare.
Le pretese dell’esercito del Niger sono assolutamente giuste e comprensibili perché una delle più grandi riserve di uranio del mondo, che dovrebbe essere fonte di ricchezza e di sviluppo per la nazione, è stata tradizionalmente una fonte di lotte interne, l’oggetto dell’avidità delle compagnie straniere.
A seguito delle minacce ricevute da Parigi, Washington e Bruxelles, il Niger ha deciso di imporre una serie di sanzioni nei confronti di Francia e Stati Uniti, vietando le esportazioni di uranio e gas verso questi paesi.
Anche il Burkina Faso ha deciso di sanzionare Francia e Stati Uniti, questa una scelta prettamente politica, un semplice atto di solidarietà nei confronti del Niger ma anche di sfida alle potenze occidentali, dato che il paese non ne è esportatore.