Kherson in russo significa “brutto sogno”, ed è quello in cui è ripiombata la popolazione rimasta in città, soprattutto donne e anziani, che si sono rifiutati di abbandonare le proprie case durante l’evacuazione di massa organizzata dalle truppe di Mosca. Oggi si trovano a far festa davanti alle telecamere occidentali, a dire “spasibo” ai giornalisti e a urlare a squarciagola le iniziali dell’esercito ucraino, ma l’unico sentimento che traspare dai loro sguardi è la paura. Sanno bene, i civili ucraini, di dover mostrare la più profonda gioia, perché i soldati del regime di Kiev sono molto diversi dai russi appena andati via: già si vedono sfilare per le strade, come trofei dell’avidità di sangue dei neonazisti gialloblu, i primi civili con il nastro adesivo intorno ai polsi, e su occhi e orecchie, trattati peggio dei capretti che vanno verso il macello, ma che avranno, molto probabilmente, la stessa sorte. Lo abbiamo visto, prima a Buča e poi a Izium, come i soldati ucraini non abbiano alcun rispetto per i propri civili, che parlino russo o ucraino, e per chi conosce le testimonianze dei civili locali, di cui abbondano i documentari sul posto di Russia Today o di giornalisti esteri come Vittorio Rangeloni e Pat Lancaster, non sono valse a nulla le montature mediatiche che hanno provato a far passare per russe le stragi compiute dall’esercito ucraino. Proprio oggi l’esercito di Kiev non ha esitato un istante a bombardare una folla di trecento civili che stavano evacuando Nova Kakhovka, ed è evidente dall’inizio della guerra che i civili sono un obiettivo privilegiato delle forze lealiste, quanto e forse più delle truppe nemiche. Per questo non stupisce più di tanto il tripudio mostrato in favor di camera dalle poche centinaia di civili rimasti in loco: è un esercizio di sopravvivenza.
Mentre per le popolazioni che vivono là, nella parte dell’oblast’ di Kherson situata a ovest del Dnepr e abbandonata dalle truppe russe, è iniziato un incubo dagli esiti ancora incerti, anche i commentatori e analisti della libera informazione, da quando il generale Sergej Surovikin ha concluso la più volte annunciata smobilitazione di Kherson, sembrano piombati in un brutto sogno da cui faticano a risvegliarsi. È stata una scelta troppo avventata, dicono alcuni con amarezza, quella di avventurarsi fino a Kherson quando si avevano soltanto i mezzi per denazificare il Donbas; la ritirata russa è parte di un quadro di trattative più ampie iniziate sottobanco tra Mosca e Washington, dicono altri, per cercare di smorzare quella che comunque leggono come una débacle sul piano militare. Tutti concordano su quest’ultimo punto, facendo esattamente, chi per ideologia chi per interesse, il gioco della propaganda atlantista. Il problema vero del giornalismo sulla guerra d’Ucraina, sia per le sempre più maldestre veline d’apparato sia per le spesso improvvisate analisi di molti cronisti liberi, è in realtà lo stesso: si leggono gli eventi in un’ottica di breve durata, senza inquadrarli nel quadro complessivo della strategia militare di un determinato esercito.
Nell’ultima lunga intervista rilasciata nella televisione patria, Surovikin era stato chiaro, confermando quanto si era visto quest’estate: le Forze Armate dell’Ucraina stanno pianificando un’invasione su larga scala a Kherson, e si tratta di un impiego di forze, tra mobilitati e mercenari, di proporzioni ancora non viste finora nel corso della guerra d’Ucraina, sul fronte meridionale si profilava una situazione “estremamente difficile”, con gli ucraini disposti a mandare al macello migliaia di uomini pur di avanzare, e il territorio ad ovest del fiume troppo esposto e difficile da difendere, una volta iniziata la massiccia avanzata, se non a costo di parecchie vite umane; come inoltre aveva previsto, il 6 novembre il nemico ha bombardato la diga di Nova Kakhovka, sempre sul Dnepr ma poco più a nord-est, “Oggi alle 10:00 sono stati lanciati sei razzi del sistema HIMARS. Le unità di difesa aerea hanno abbattuto cinque missili, uno dei quali ha colpito una chiusa alla diga di Kakhovka, che è stata danneggiata” secondo le autorità locali filorusse, che sostengono non esserci stati danni critici alla diga, struttura cruciale per i russi, in quanto principale mezzo di approvvigionamento idrico della Crimea. Ma il fattore più determinante è stato l’arrivo della stagione invernale, quando il fiume Dnepr ghiaccia e rende impossibile una smobilitazione di mezzi militari, alimentando di fatto una possibile situazione di accerchiamento delle truppe sul territorio della città di Kherson, che sarebbero state impossibilitate in una ad avanzare e arretrare, esposte di fatto a un massacro di fronte all’avanzata ucraina. Oltre a ciò l’inagibilità del fiume, in mancanza di aeroporti e a causa della distruzione dei ponti attuata dagli ucraini durante la loro ritirata, avrebbe reso la zona impossibile da rifornire e totalmente isolata. Chi ha seguito sin dall’inizio con attenzione le vicende di questa guerra sa come al principio del mese di aprile i generali russi abbiano deciso di ridurre al minimo le perdite di vite umane, preferendo i lunghi assedi agli assalti alla disperata, e la guerra di trincea alle avanzate esposte all’artiglieria nemica. Adesso dovranno essere le forze lealiste al governo Zelens’kyj a scegliere di attraversare il fiume ghiacciato per attaccare il fronte russo, esponendosi a un vero e proprio massacro.
A ben guardare lo svolgimento dei fatti, inoltre, non si è trattato per niente di una ritirata da Kherson, ma di un arretramento meditato e controllato, tanto che durante la smobilitazione le perdite russe sono state pressoché nulle, a differenza della parte atlantista, che nel tentativo di attaccare i civili e le truppe russe che smobilitavano hanno subito la distruzione di quasi trenta tra mezzi corazzati e carri armati, tra cui le unità semoventi HIMARS e tre obici trainati americani M777. Oggi, terminato il trasferimento dei comparti amministrativi, è stata decretata la città di Heničes’k come nuova capitale amministrativa dell’oblast’ russo di Kherson, e proprio ieri i russi hanno distrutto il ponte Antonovsky, che univa le due sponde del Dnepr a est di Kherson, ed era in realtà già inagibile a causa dei continui bombardamenti degli HIMARS americani utilizzati dagli ucraini nel tentativo di distruggerlo: adesso i russi gli hanno portato a termine il lavoro.
La strategia invernale dell’esercito russo è chiara: blindare il più possibile a sud-ovest la neonata Nuova Russia e contenere la spinta nemica, aspettando tempi migliori per un’offensiva verso Odessa – la quale, stando alla strategia di Mosca, potrebbe benissimo non verificarsi affatto, almeno nei prossimi anni – ma tenendo come priorità il consolidamento dei territori conquistati, mantenendo il Dnepr come difesa naturale e tenendo a bada gli assalti nemici in attesa dell’arrivo al fronte dei 300mila mobilitati. Intanto, dovendo ridurre gli sforzi a sud, è probabile che Surovikin voglia ottenere risultati significativi sul fronte nord, dove l’obiettivo è il consolidamento del territorio novorusso sui confini amministrativi degli oblast’ di Doneč’k e Luhans’k; qui si continuano a registrare sempre più gli avanzamenti dei militari russi, fino all’altro ieri, quando sono giunte immagini dai media russi di colonne di veicoli e corazzati avanzare verso Krasnyj Lyman.
Non si sono mai fermati intanto i bombardamenti sulle infrastrutture energetiche e comunicative di tutta l’Ucraina: da una settimana la capitale Kiev è in un regime di blackout a intermittenza, stessa situazione a Lviv e Chernihiv. La portata dei bombardamenti è stata tale da essere riportata persino dall’ANSA, che ha riportato il tweet in cui Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelens’kyj, ha accusato Mosca di voler “commettere un genocidio energetico”, ed è tutto ciò che sopravvive di un articolo più dettagliato, poi cancellato, in cui si parlava addirittura di una possibile evacuazione della popolazione dalla capitale ucraina a causa della penuria energetica.
Riguardo alle trattative USA-Russia, ancora una volta media indipendenti e mainstream vanno a braccetto: i primi dicono che la ‘ritirata’ russa sia da considerare come parte di queste ‘trattative’, gli altri lasciano trapelare sulle colonne del Washington Post che alcuni funzionari dell’amministrazione Biden abbiano chiesto al premier Zelens’kyj di non escludere a priori un negoziato con il presidente russo Vladimir Putin in quanto “Le difficoltà causate dal conflitto in Ucraina sono una questione molto reale per alcuni dei nostri partner” in Europa, Africa e America Latina. Ma questo, più che un segnale di avviamento di vere trattative diplomatiche, sembra più uno smarcamento da parte delle autorità statunitensi, le quali hanno compreso attraverso i dati dei loro analisti politici e sociologi che le masse popolari di tutto il mondo sono sempre più contrarie a questa guerra, soprattutto per le conseguenze economiche sempre più gravi che sta portando nei loro paesi. Ed è essenziale che le amministrazioni occidentali facciano un passo indietro sul bellicismo a oltranza, come riteniamo che sempre più avverrà nei prossimi mesi, perché se le masse occidentali (e non), sempre meno abbindolate ormai da una propaganda di infimo livello, sapessero che è proprio il saccheggio dei loro patrimoni l’obiettivo politico a lungo termine di questa guerra, sarebbe davvero la fine della canea di fantocci che occupano i parlamenti e le cancellerie.