di Ramona Castellino
Esultanti e tronfalistiche le parole di Netanyahu il giorno successivo al martirio di Siwar.
La battaglia per il regime sionista non è assolutamente finita, guarda un po’, ma terminerà solamente quando Hamas sarà estirpata e gli ostaggi tornati a casa.
Nulla di nuovo, niente che possa far immaginare ad un ritiro delle truppe da Gaza.
Immediato anche il plauso degli amici a stelle e strisce, con il capo del Pentagono, Austin, che vede nella morte di Sinwar “un’opportunità per il progresso”, indicandolo come il responsabile della mancata pace tra Israele e Palestina e preoccupato oltre modo per gli ostaggi israeliani che “hanno vissuto l’inferno”.
E puntuale arriva la risposta di Hamas che attraverso Basem Naim, membro dell’ufficio politico, afferma che nonostante l’uccisione del suo leader il gruppo palestinese non potrà mai essere eliminato in quanto movimento di liberazione guidato da persone che cercano libertà e dignità.
Morto un Papa, quindi, se ne fa sempre un altro.
Dall’Iran arrivano parole prive di fraintendimento per Israele e per il mondo tutto.
Attraverso il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, sulla sua pagina X, l’elogio a Sinwar definito “una fonte di ispirazione per i combattenti della Resistenza in tutta la regione, palestinesi e non palestinesi. Rendiamo omaggio alla sua lotta altruista per la liberazione del popolo palestinese. Non temeva la morte, ma ha cercato il martirio a Gaza. Ha combattuto coraggiosamente fino alla fine sul campo di battaglia. I martiri vivono per sempre e la causa per la liberazione della Palestina dall’occupazione è più viva che mai”.