di Ramona Castellino
Viene diramata la notizia che il leader di Hamas, Yahya Sinwar, sia morto, ucciso durante un’operazione a Gaza.
A riportarlo è L’Idf, dopo aver dichiarato che i test sul corpo di Sinwar hanno dato esito positivo.
Da qui le notizie si susseguono, tutte poco chiare.
Poi però rimane la verità.
Dopo che per mesi ci hanno raccontato che Sinwar era nascosto nei tunnel di Gaza, che utilizzava gli ostaggi del 7 ottobre come scudi umani, compresi di bambini, il suo corpo viene ritrovato per puro caso da un soldato israeliano, in terra, dopo uno scontro tra Idf e combattenti di Hamas.
Accanto due delle sue guardie del corpo. Al suo fianco un AK.
È morto così Sinwar. Combattendo. Come combattono ogni giorni i palestinesi che si rifiutano di lasciare le loro case perché l’occupante glielo ordina.
Come i bambini, che con l’orrore negli occhi giocano tirando sassi ai militari israeliani.
Per questo la Resistenza, che oggi perde uno dei suoi figli più cari, è fiaccata ma non vinta. Perché finché avrà vita anche un solo palestinese, il seme della Resistenza sarà vivo e continuerà a germogliare.
Discorsi che il nostro ormai viziato e degenerato Occidente non può e non vuole comprendere.
In un mondo in cui un genocidio è commesso dai “buoni” e chi combatte per la propria terra e il proprio popolo è un terrorista, non possiamo che essere ancora dalla parte dei “cattivi” e considerare Yahya Sinwar un uomo di coraggio e di popolo, un martire per la libertà dall’occupazione sionista.