di Fabio C. Maguire
Le dimostrazioni di piazza delle ultime settimane in Moldavia, che hanno spinto l’ex primo ministro Gavrilita a dimettersi, erano chiara espressione di un sentimento anti-europeista e avverso alla politica sanguinaria dell’Occidente.
Nonostante sia stato più volte chiesto dalle delegazioni popolari di indire nuove elezioni e di discostarsi dalla strategia guerresca di Bruxelles, il presidente di Stato ha nominato Dorin Recean nuovo capo dell’esecutivo, incaricato di costituire il nuovo governo e di ottenere la fiducia in parlamento.
Recean è stato definito il Mario Draghi moldavo perché fedele sostenitore dell’atlantismo e con posizioni pro-NATO ancora più oltranziste del suo precedessore.
Avendo già ripetutamente tradito le richieste dei cittadini, il neo governo filo-occidentale sta dando i primi frutti e, invece di impegnarsi ad offrire una risposta adeguata alla povertà e all’innalzamento dei prezzi, si è posto come primario obbiettivo quello di affrontare la questione transnistriana e la sua relativa smilitarizzazione.
Bisogna ricordare come la Transnistria sia una regione di confine tra la Moldova e l’Ucraina; dichiaratasi indipendente dal 2 settembre 1990, chiese nel 2014 l’adesione alla Russia dopo l’annessione della Crimea.
La gente infatti qui si sente molto più legata e vicina alla cultura russa che a quella europea, subendo purtroppo per questi motivi feroci rappresaglie dai nazionalisti moldavi; una caccia alle streghe terminata solo dopo il decisivo intervento di Mosca.
Inoltre nella città di Tiraspol è custodito il più grande deposito di armi e munizioni in Europa, appartenente all’ex URSS e oggi salvaguardata da regolari soldati russi.
La particolare attenzione mostrata per la piccola striscia di confine dagli agenti NATO Recean e Zelensky, quest’ultimo che ha definito le ultime contestazioni anti-governative come dei “piani russi per destabilizzare il Paese, ”sarà dovuta alle 20.000 tonnellate di armamenti e ricariche lì conservate; una vera e propria miniera d’oro specie se si considera l’enorme urgenza di equipaggiamenti di Kiev che, nonostante i costanti aiuti offerti dagli europei, è sempre e continuamente a secco.
Quindi la possibilità di un allargamento del conflitto e di un nuovo fronte in Europa appare ora più che mai concreta, considerando la rilevanza strategica e simbolica della zona d’interesse che porterebbe molteplici guadagni in termini politici e militari alle leadership occidentali.
La Transnistria rappresenta un feudo russo nel cuore d’Europa, oltre che l’ultimo baluardo al processo di de-russificazione attuato nell’est europeo dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
La cooperazione tra Kiev e Chisinau, capitale moldava, è finalizzata alla disgregazione della regione autonoma filo-russa e alla conquista del gigantesco arsenale che potrebbe essere celermente ri-utilizzato e messo a disposizione delle forze ucraine, considerando che i mezzi e le armi lì presenti sono di facile uso e non richiederebbero uno specifico addestramento per l’utilizzo.
In concomitanza con la crescente retorica di un attacco congiunto, Putin ha abrogato il decreto che riconosceva la sovranità della Moldavia sulla provincia autonoma, dichiarando di essere pronto a tutelare la sicurezza dei transnistriani con qualsiasi mezzo.
Il nuovo premier Recean ha già mostrato in questi pochi giorni tutta la sua propensione nel attuare i piani dei superiori del Nord Atlantico, preparando con il suo vicino di Kiev l’ennesima vigliacca e mancina aggressione ad una piccola comunità resistente all’imperialismo NATO.
Questi piani per il fedelissimo di Washington sono prioritari e prevalenti alle istanze di lavoro e libertà del popolo moldavo, un popolo che non demorde e continua la sua lotta.