L'Italia Mensile

MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICO

Come a suo tempo ha chiarito Marx, che resta a tutt’oggi insuperato.

Flavio Viriato

Il MPC ha ovviamente bisogno, da un lato, di agenti imprenditoriali della produzione capitalistica, e dall’altro di un esercito industriale di lavoratori che fornisca la forza-lavoro necessaria allo scambio fra lavoro e capitale.
Il capitalismo si riproduce tutt’ora, ed anzi ancor più di prima, attraverso lo scambio ineguale fra lavoro sfruttato e capitale. Ma, appunto, gli agenti imprenditoriali della produzione capitalistica non coincidono necessariamente con una classe sociale unitaria denominata “borghesia”, esattamente come l’esercito industriale di lavoratori non coincide necessariamente con una classe unitaria denominata “proletariato”.

Nella loro lotta, il proletariato e la borghesia indeboliscono la normale riproduzione capitalistica, a causa delle ragioni “ideali” esposte prima, e allora bisogna ficcarsi bene in testa che la logica della riproduzione capitalistica solo superficialmente risiede nella cosiddetta “vittoria” della borghesia sul proletariato, ma nella sua più intima essenza consiste nella progressiva sparizione di entrambe le fastidiose classi in lotta.

Guardandosi allo specchio il modo di produzione capitalistico non vuole più vedere due personaggi in perenne rissa, e cioè la borghesia e il proletariato, ma vuole vedere unicamente se stesso in forma finalmente purificata, e cioè la Merce. La merce, naturalmente, c’era già nelle fessure economiche di tutti i modi di produzione precedenti, a cominciare dalle antiche città mesopotamiche studiate da Karl Polanyi.
Ma solo in questa terza ed ultima fase dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, la Merce diventa finalmente l’unica sostanza che tiene insieme la sintesi sociale complessiva.

Ora la merce pura non è né borghese né proletaria. Per questa ragione il vero sviluppo del capitalismo non è alla lunga compatibile con il mantenimento di scissioni sociali extra-mercantili, tipo il razzismo bianco discriminatorio. Queste scissioni sociali extra-mercantili indeboliscono il libero scorrimento totalitario della merce stessa, e devono quindi essere via via eliminate.

E’ questa la ragione per cui il politicamente corretto, che rende illegale eticamente ogni forma di sessismo e di razzismo in nome di un egemonia incontrastata della merce pura, asessuata e priva di pregiudizi razziali, sostituisce gradatamente ma anche implacabilmente tutto il precedente contenzioso dialettico che aveva nutrito nel secondo stadio dello sviluppo capitalistico il liberalismo del censo, la democrazia diretta popolare, il fascismo, il comunismo, ecc…ecc…

Il politicamente corretto, infatti, è per sua natura un pensiero integralmente privo di dialettica, perché intende impedire anche solo l’enunciazione verbale di possibili contraddizioni , e promuove un mondo simbolico normalizzato in cui tutte le discriminazioni, all’infuori di quella derivante dagli spaventosi differenziali di potere, consumo e reddito, vengono demonizzate.

Il capitalismo punta dunque a specchiarsi esclusivamente nella merce. Certo, siamo soltanto all’inizio di questo processo, ma esso è già ben visibile. Non ha dunque molto senso continuare a ripetere i vecchi mantra sociologici per cui il proletariato “si imborghesisce” attraverso i modelli consumistici , oppure la borghesia “si proletarizza” attraverso la concentrazione oligopolistica delle imprese. Certo, questo è ciò che appare in superficie se ci limitiamo a definizioni puramente “catastali” della “borghesia” e fiscali del “proletariato”. In realtà, ciò che superficialmente appare come un doppio convergente processo di proletarizzazione (dall’alto) e/o di imborghesimento (dal basso) è qualcosa di ben diverso, e cioè la fusione progressiva delle due precedenti classi in opposizione.

Ancora una volta, a scanso di pittoreschi equivoci, questo non significa per nulla, al contrario, un progresso verso una maggiore eguaglianza.
Il capitalismo senza classi, post-borghese e post-proletario è forse, ma anche senza forse, la società più diseguale, feroce e disumana della storia dell’umanità, quella con i differenziali di consumo, reddito e potere più vergognosi e provocatori. Ma, appunto, i differenziali non sono identità classiste collettive.

Il cosiddetto pensiero unico di impronta economica neoliberista, amato soprattutto dalle cosiddette “destre”, ed il cosiddetto politicamente corretto di impronta politico-culturale, amato soprattutto dalle cosiddette “sinistre”, sono in realtà una sola ed unica cosa, più esattamente una sola ed unica aggregazione ideologica di tipo sistemico, che deve appunto riflettere simbolicamente una società privata della contraddizione dialettica fra due opposte entità dicotomiche.
Nella sua fase speculativa, il Capitale può finalmente guardarsi allo specchio senza che il vetro di questo specchio sia oscurato o sporcato da macchie come le comunità precapitalistiche, la coscienza infelice borghese, la rivendicazione tradizionale religiosa, il conflitto di classe proletario, ecc….ecc… Questo tipo di “disturbi” certamente rimane, ma rimane come insieme fastidioso di “disturbi di fondo”, ponendo così un problema puramente tecnico di “riduzione del rumore sociale”.

Il capitalismo ha sempre avuto la tendenza a cancellare tutte le differenze sociali e culturali uniformandole al solo profilo astratto della forma di merce. Oggi però sembra essere riuscito a portare molto avanti questo processo, ed a trasformare l’uomo concreto in una sorta di “involucro” da riempire volta a volta, a seconda del suo sempre più differenziato potere d’acquisto con i beni ed i servizi promossi dall’apparato pubblicitario, la cui integrale colonizzazione della vita quotidiana sta modificando antropologicamente la stessa tradizionale distinzione fra bisogni e desideri

Riassunto ispirato da Storia dell’Etica di Costanzo Preve, libro da leggere assolutamente.

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