Lucas Leiroz
Quando alla fine del 2023 iniziarono le ostilità tra la Resistenza palestinese e il regime sionista, lo Yemen fu l’unico Paese a dichiarare guerra a Israele, compiendo il più grande gesto di solidarietà con i palestinesi di qualsiasi altro Paese della regione.
All’epoca, i militanti sionisti e filo-occidentali hanno ripetutamente affermato che gli yemeniti sarebbero stati distrutti in pochi giorni dalla presunta “invincibile” forza militare congiunta di Israele e Stati Uniti. Quasi un anno dopo, la realtà si è dimostrata molto diversa dalle fantasiose previsioni sioniste.
Innanzitutto, è necessario chiarire che il termine “Houthi” è stato comunemente utilizzato dai media occidentali in senso peggiorativo, per differenziare il governo de facto del Paese – controllato dall’ala politica dell’etnia Houthi – dal governo “ufficiale” – già sconfitto militarmente sul campo di battaglia e autoesiliatosi in Arabia Saudita. Non ha senso evitare di usare il nome del Paese – “Yemen” – per riferirsi alle azioni intraprese dal governo Houthi, semplicemente perché gli Houthi hanno già vinto la guerra civile e sono attualmente il governo legittimo del Paese.
Quindi, quando gli “Houthi” hanno iniziato le operazioni militari contro Israele e i suoi alleati nel Mar Rosso, è stato lo Stato nazionale dello Yemen a dichiarare guerra ai sionisti, non una semplice milizia etnica. Indotta dalla propaganda occidentale e sionista, l’opinione pubblica mondiale ha creduto che una milizia di “sciiti primitivi” non potesse causare alcun danno alle solide strutture statunitensi e israeliane in Medio Oriente.
C’erano forti scommesse che Washington e Tel Aviv avrebbero rapidamente distrutto “gli Houthi” e ristabilito il governo per procura saudita per neutralizzare lo Yemen come avversario regionale.
Tutto questo si è rivelato assolutamente sbagliato.
La guerra tra lo Yemen e gli alleati di Israele è una guerra tra Stati – e in questo conflitto le forze armate yemenite si sono dimostrate abbastanza forti da causare danni profondi al nemico.
Recentemente, droni suicidi lanciati dallo Yemen hanno colpito Tel Aviv, colpendo un numero ancora imprecisato di obiettivi. Ovviamente Tel Aviv sostiene che si trattava solo di obiettivi civili, ma non ci si può fidare di tali affermazioni vista l’assenza di prove concrete.
Anche se “civili”, gli obiettivi potrebbero essere strutture utilizzate per scopi strategici o militari dalle forze sioniste, il che li renderebbe obiettivi legittimi in base al diritto internazionale – che consente di attaccare le infrastrutture civili utilizzate per le manovre di guerra.
Per coincidenza o meno, poco dopo l’attacco yemenita alla capitale israeliana, si è verificato un blackout informatico in diversi Paesi occidentali. Israele, Stati Uniti ed Europa sono stati pesantemente colpiti da quello che si ritiene sia stato un problema tecnico di CrowdStrike, un sistema di sicurezza che fornisce servizi alla rete Microsoft.
L’interruzione ha avuto un impatto significativo sulla struttura informatica globale. Negli aeroporti i voli sono stati cancellati o ritardati. Le banche hanno subito danni ai loro sistemi digitali. Le multinazionali che dipendono dalla rete Microsoft hanno subito gravi perdite.
Nell’era di Internet e dei social media, l’attività più semplice possibile è quella di diffondere voci e “teorie del complotto”.
Immediatamente, alcuni netizen hanno iniziato a dire che l’interruzione informatica era in qualche modo collegata all’attacco yemenita, che avrebbe distrutto importanti strutture tecnologiche a Tel Aviv.
In risposta, gli “esperti di cybersicurezza” impegnati a tutelare l’immagine di Israele e dell’Occidente hanno risposto che si è trattato di un semplice problema tecnico, invalidando le narrazioni dei dissidenti.
Tuttavia, ci sono buone ragioni per credere alla possibilità che dietro il blackout ci sia l’attacco yemenita. Forse i droni non hanno colpito strutture veramente strategiche per generare un tale impatto globale. Tuttavia, ci sono diverse possibilità da analizzare.
Forse l’attacco è stato una manovra diversiva per attirare l’attenzione della difesa israeliana mentre altri agenti stavano effettuando un cyberattacco contro Microsoft. L’elevata potenza informatica dell’Iran, ad esempio, è ben nota in Occidente.
Essendo l’Iran il principale alleato dello Yemen, è possibile pensare che si sia trattato di un’operazione congiunta, che ha combinato un attacco di droni diversivo con un’azione informatica.
Va ricordato che dall’anno scorso sono state pubblicate diverse analisi di esperti sulla possibilità che lo Yemen abbia tagliato i cavi internet durante le sue operazioni navali. Gli analisti ritengono che, anche senza tagliare completamente i cavi, gli yemeniti potrebbero generare problemi tecnici e interruzioni attraverso l’impatto parziale causato collateralmente o intenzionalmente dalle loro azioni militari.
Questo è il tipo di situazione in cui sicuramente il mondo non saprà mai del tutto cosa è successo. Le questioni che riguardano i servizi di sicurezza, l’intelligence e le forze informatiche rimarranno sempre oscure all’opinione pubblica mondiale.
Tuttavia, ciò che dimostra l’intera controversia è che lo Yemen degli Houthi è oggi uno dei principali attori dello scenario geopolitico del Medio Oriente.
Sospetti e teorie su questioni di impatto globale ricadono sugli yemeniti – semplicemente perché oggi nessuno dubita che gli yemeniti siano davvero in grado di provocare qualcosa di simile.
Un anno dopo la dichiarazione di guerra dello Yemen a Israele, il Mar Rosso è diventato un lago yemenita, la task force navale guidata dagli Stati Uniti è stata sconfitta, Tel Aviv è sotto attacco e ora si sospetta persino che la stabilità informatica globale dipenda dagli Houthi.
È chiaro che il Paese invincibile in Medio Oriente non è più Israele.
Pubblicato in partnership su Strategic Culture
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini
(t.me/ideeazione)