L’Italia, il bel paese, una delle nazioni più amate al mondo, la nostra Patria si sta rivelando un laboratorio a cielo aperto per le grandi sperimentazioni di massa. Potrei citare cento esempi, che prefigurano uno scenario del genere, ma mi limito ad uno: il lavoro.
di Emanuele Fanesi – Responsabile Italia Libera – Umbria
Il lavoro è parte essenziale della nostra vita, è la realizzazione dei nostri interessi, di ciò che siamo più predisposti a fare, lo sviluppo delle nostre potenzialità in quanto esseri pensanti: cogito, ergo sum!
Tralasciando la parte più etica, strettamente legata a cosa intendiamo per “lavoro”, (non perché irrilevante, tutt’altro) tratterò più concretamente di un fenomeno tutto italiano: l’immigrazione interna forzata. Questo evento (negativo a mio parere) è tutto italiano e pare riproporsi ad ogni crisi economica che l’Italia ha subito dal dopoguerra ad oggi.
Ovviamente non si ripropone sempre allo stesso modo, anzi tutt’altro, e pertanto è sintomo e allo stesso tempo un palliativo di un malessere sistemico. Le cause sono da ricercarsi lontane nel tempo, fino ai tempi dell’Unità d’Italia (1870), ma le conseguenze sono esplose in maniera dirompente con la fine della Seconda Guerra Mondiale, che vedeva un Nord fortemente industrializzato e un CentroSud prevalentemente agricolo.
Da ciò ne è conseguito una prima immigrazione forzata, per motivi economici, dal Sud al Nord, dove ferveva maggiormente l’attività di ricostruzione e di re-industralizzazione post bellica. Al Sud furono creati alcuni poli industriali, ma, essendo sprovviste di grandi arterie di comunicazione, furono come tante cattedrali nel deserto (e lo sono tutt’ora).
Questo massiccio spostamento e di sradicamento dalla propria terra natia è accaduto solo in Italia: infatti essendo il Sud, a prevalenza agricola, la maggioranza delle famiglie non aveva la possibilità di sfamare la propria prole, con il fatto aggiuntivo, ma determinante, dell’effetto carovita post bellico.
Per la maggior parte degli immigrati fu un vero trauma, in quanto utilizzati per lavori di manovalanza o in lavori alienanti come le catene di montaggio, che se pur permettevano loro di poter sfamare le famiglie rimaste a casa, lontane centinaia di chilometri, li vedevano comunque sfruttati e senza nessun tipo di sicurezza sui luoghi di lavoro (alcune normative in materia erano state promulgate, ma il “corpus” vede la luce solo nel 1994, con la legge 626).
A ciò va aggiunto che la media e alta borghesia industriale del Nord, trattava quasi in maniera razzista coloro che venivano dal Sud, i quali abitavano in condizioni igienico-sanitarie spesso precarie. Il quadro del dopoguerra vedeva così un massiccio spopolamento del Sud a favore del Nord, oppure per altri paesi europei.
Se alcuni degli analisti dell’epoca fossero stati intervistati, avrebbero risposto che quello era un momento storico-sociale particolare e che l’immigrazione forzata era all’epoca necessaria per far ripartire il Paese. Purtroppo così non è stato.
Ciclicamente il “film” è stato rivisto ,soprattutto negli ultimi 20 anni, ma come ogni film di una serie che si rispetti, solo il primo è quello più originale, gli altri diventano delle farse, nel nostro caso tragedie in quanto investono vite umane. Se infatti nel dopoguerra, un lavoratore immigrato, poteva contare su una quasi sicura prospettiva lavorativa vita natural
durante, oggi si suona tutt’altra musica.
Con l’entrata nella zona Euro e con la globalizzazione capitalista, oggi un giovane disoccupato del Sud, oltre le mille difficoltà per trovare lavoro al Nord, va a scontrarsi con una burocrazia e con un costo della vita abnormi per poi avere eventualmente un salario, che gli permettesse non di vivere ma di sopravvivere.
Si sono registrate in Italia tre grandi crisi economiche: 2005-2009,2015- 2019, l’ultima iniziata nel 2020, non si sa quando finirà. In tutte vediamo, la chiusura di centinaia di stabilimenti, con la perdita progressiva di posti lavoro soprattutto al Nord, ma anche la chiusura di qualche cattedrale nel deserto al Sud, nonostante ciò sia sotto gli occhi di tutti, sono molte le voci dei nostri pseudo governanti e dei molti commentatori del main stream che affermano: “se una persona ha voglia di lavorare deve spostarsi al Nord, non vivere di sussidi al Sud!” Come se al Nord ci fosse il bengodi…
Analizzando, forse la più grande piattaforma italiana sulla rete (Infojobs), che raggruppa la maggior parte delle offerte lavorative (non dei Centri per l’Impiego, questi ormai non più funzionanti) delle maggiori agenzie interinali, si può notare il dato macroscopico riguardante il numero delle offerte in tutta Italia, circa 40mila, e più dettagliatamente che la maggior parte sono a tempo determinato.
Ora con tutta la buona volontà del mondo abbiamo circa 5 milioni fra disoccupati e inattivi, con circa 40mila offerte di lavoro su tutto il territorio nazionale, ma si continua a dire che un giovane del Sud deve trasferirsi al Nord? Deve lasciare la propria terra, la propria famiglia per poi cosa avere? Un contratto di 3 mesi? 6 mesi? 1 anno? E dopo?
I nostri pseudo governanti e i loro lacchè si dovrebbero impegnare a rilanciare un grande piano industriale ed occupazionale invece che prendere ordini da Washington e Bruxelles, ma ovviamente ciò implicherebbe un cambiamento di paradigma del modello di sviluppo che andrebbe a cozzare con quello esistente, e dato che siamo una “colonia” ciò avverrebbe solo in virtù di una Rivoluzione.
Questo breve scritto vuole soltanto sottolineare come la lotta di classe è ancora viva, e che purtroppo viene portata avanti dalla classe dei dominanti, mentre i dominati subiscono passivamente, nella stragrande maggioranza dei casi, ciò che viene loro propinato: non avendo coscienza della propria condizione sociale, si lamentano, ma si adattano e vivono giorno per giorno, senza alcuna prospettiva.
Solo con una ripresa della lotta di classe da parte dei dominati si può invertire la fase! Questo è il nostro scopo! Questa è la nostra missione! Ridare coscienza ai dominati!