di Marco Travaglio
Siamo talmente mal messi che ci tocca difendere Povia. Invitato a presiedere la giuria di un talent a Nichelino e a esibirsi in un concerto, s’è visto annullare tutto dal sindaco per “la sua posizione sui diritti civili e la sua contrarietà ai vaccini, diverse dalla mia amministrazione”. Ma, sia chiaro, “non è una questione politica”. E invece è proprio una, anzi “la” questione politica.
Tantopiù che quello è il 40° concerto che annullano al cantante. Se fosse per le sue qualità artistiche (secondo noi scarse, malgrado il primo posto a Sanremo 2006), nulla quaestio: se un cantante non ti piace, non lo inviti e morta lì. Ma se lo inviti e poi lo rimandi a casa per ciò che dice o pensa, si chiama censura. Che in una democrazia liberale non ha cittadinanza, altrimenti la democrazia liberale smette di essere tale.
Noi siamo vaccinati e vaccinisti (senza obblighi, però) e sosteniamo i diritti civili: ma fra questi c’è la libertà di espressione, di dissenso e pure di scempiaggine, purché non si torca un capello ad alcuno. E un cantante si giudica da come canta, non da ciò che pensa. Ma da quando esportiamo la democrazia, in casa ce ne resta sempre meno.
Tutti fremono di sdegno per un elenco di “agenti sionisti” da boicottare pubblicata sul web da un sedicente “Nuovo Pci”: giusto, non si fanno liste di proscrizione.
Il guaio è che molti degli indignati speciali, e persino dei personaggi citati, dal 2022 compilano liste di proscrizione di “agenti putiniani” che non sono né agenti né putiniani, ma hanno il grave torto di non pensarla come loro sulla guerra russo-ucraina. Poi c’è l’arresto, nella patria dei Lumi e della Liberté, del fondatore della app Telegram, Pavel Durov, imprenditore russo con vari passaporti.
Può darsi che sia il nuovo Barbablù, ma se l’accusa è che le chat del suo social network sono utilizzate, grazie alla loro particolare segretezza, da organizzazioni criminali, oltreché da milioni di russi, di occidentali e persino da Zelensky, il suo arresto ci ripugna.
E ci fanno scompisciare i giornaloni furiosi con “l’internazionale sovranista” dei Musk e dei Salvini che difendono Durov, ovviamente per conto di Putin.
Durov fuggì proprio dalla Russia, che nel 2018 voleva bloccargli Telegram. Solo che allora l’Occidente protestò e Amnesty urlò: “Giù le mani dalla libertà di espressione”.
Ora invece tutti tacciono quando il commissario macroniano Ue Thierry Breton minaccia di bandire X perché Musk è trumpiano e non fa come Zuckerberg, che mette le censure e le fake news di Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp al servizio dell’altra banda: quella “democratica” dei Biden e delle Harris, i “buoni” che possono fare come o peggio dei “cattivi” in ragione della loro innata bontà. Più combattiamo la Russia e più le somigliamo.