Gli applausi a scena aperta tributati al meeting di Rimini per Mario Draghi ci dimostrano una volta di più il servilismo d’alcune aree che si definiscono cattoliche, ma che ci fa anche capire come la propaganda del Ventennio sia infondo stata poca cosa rispetto a quella “totale” portata oggi avanti dal globalismo e dalla tecnocrazia
di Pamela Testa
Nella mia ancor giovane militanza politica mi domando ogni giorno e con angoscia come l’Italia e gli italiani possano essersi ridotti a questo modo, per questo rinverdisco ed approfondisco le mie conoscenze storiche per cercare di capirne le ragioni, per sapere se questo disgraziato momento possa averne avuti di analoghi nel passato, e la riposta posso già trovarla in questa parola: Propaganda.
Probabilmente avete visto tutti, soltanto pochi giorni fa, quale accoglienza sia stata riservata al Presidente (dimissionario) del Consiglio, Mario Draghi, durante il Meeting 2022 di Rimini il quale, al di là della sua rassicurante intitolazione “Una passione per l’Uomo”, ha riservato caldi applausi per uno dei maggiori esponenti del globalismo tecnocratico, il quale non ha certo l’Umanità, perlomeno come l’abbiamo conosciuta ed intesa fino ad oggi, al centro dei suoi interessi.
Andando oltre le continue evoluzioni parolaie che sempre più contraddistinguono l’operato dei c.d. manager, precisiamo subito che il meeting in questione altro non è che il punto di massima espressione annuale del movimento d’ispirazione cattolica “Comunione e Liberazione” (CL), fondato agli inizi degli anni ’50 con l’intento di dare un netto orientamento politico a giovani che non rientravano tra gli attivissimi movimenti della destra e della sinistra post-bellici, in altre parole creare e mantenere per il futuro quell’indispensabile bacino di voti da destinare alla Democrazia Cristiana di Don Sturzo, avvalendosi allo scopo della capillare distribuzione sul territorio delle sezioni DC, oltre che dei circoli parrocchiali a loro “affiliati”.
Il profilo medio del “ciellino” (termine fin troppo bonario con il quale comunemente si appellano gli appartenenti a CL ma che una volta si chiamavano “baciapile”) è dunque quello del giovane cattolico osservante, molto spesso in cerca di prima occupazione ed al quale sta bene pressoché tutto, tanto lui confida ciecamente nell’intervento “divino” pur sapendo benissimo che tale intervento sarà molto più “terreno” e che, difatti, si concretizzerà nei buoni uffici di qualcuno che – dopo un congruo periodo di volontariato all’interno di CL – gli troverà l’agognato “posticino” in Vaticano oppure in qualche ente o cooperativa collegata alla Santa Sede, ovviamente con la domenica libera perché deve andare a Messa.
Detto in altre parole giovani “contentoni” che sono più da disprezzare che non da compatire per la loro spudorata ignavia (che è però sempre benevola verso i potenti di turno della politica), una politica dalla quale si dichiarano equidistanti salvo poi manifestarsi ogni santo agosto come squallide claque plaudenti a comando, e che danno degli “italioti” – dei quali sono lampante espressione – un’immagine ancor più imbecille e servile di quanto non abbiano già.
Ovviamente tutto questo spendersi in sorrisi, strette di mano, applausi e finanche improbabili incitazioni al grido di “grazie Presidente” è stato ripreso da sapienti angolazioni di telecamera dal mainstream di regime, che non ha ovviamente perso l’occasione per riverberare le suddette macchiette all’opinione pubblica descrivendole però come pure ovazioni.
Nulla di più e nulla di diverso rispetto a quanto già avvenuto a luglio scorso con le dimissioni del citato “Dragone”, allorquando furono quattro accoliti quattro vicini a Calenda & Co. a scendere sotto i palazzi del potere romano per manifestare solidarietà all’uomo di Goldman Sachs.
Anche in questo caso scene grottescamente patetiche ma spacciate a profusione dai media come “straordinarie manifestazioni di popolo”.
Nulla di cui sconcertarsi troppo, giacché stiamo trattando delle più “scolastiche” quanto ricorrenti espressioni della PROPAGANDA DI REGIME, e basta andarsi a guardare uno degli innumerevoli documentari realizzati sul Fascismo per trovare similitudini e parallelismi che allo stato attuale risultano perlomeno imbarazzanti, a maggior ragione se rapportati ad ottant’anni di distanza e con una popolazione che dovrebbe (il condizionale ci sta tutto) essere più “evoluta” rispetto a quella che l’ha preceduta nelle generazioni precedenti.
Sul punto è però necessario fare alcuni distinguo, se non altro per comprendere quanto la propaganda di oggi – oltre ad essere molto più potente e capillarizzata di quella del Ventennio – sia anche infinitamente più subdola.
Bisogna infatti considerare che sia Mussolini, sia il suo Ministro della Cultura Popolare Pavolini, erano stati entrambi giornalisti, per questo sapevano bene come manovrare le leve dell’informazione con il fine di acquisire il consenso della gente.
Un consenso che allora fu due volte fondamentale, primo per consolidare il governo fascista in Italia con una società ancora molto ancorata alla Monarchia quanto al Clero, secondo per evitare che il Paese implodesse prima del tempo quando fu ormai evidente che le sorti della guerra gli erano ormai contro, peraltro con una popolazione provata a livelli che difficilmente possiamo oggi immaginare.
Le note “veline” di Pavolini, ovvero quei veri e propri ordini di servizio che Palazzo Venezia impartiva ai giornali per indicargli i modi con i quali andavano redatti titoli ed articoli, nonché quali fossero notizie e foto da pubblicare o da non pubblicare, sono un chiaro esempio di come il potere già allora sapesse annullare l’indipendenza della stampa e dei giornalisti, tuttavia questo fa quasi sorridere rispetto ai mezzi economici oltre che coercitivi che il potere globalista sta adottando per profondersi senza riserve in quella che possiamo senz’altro definire sua “propaganda totale”.
Oggigiorno non c’è più bisogno che un ministro faccia pervenire a direzioni e redazioni le “desiderata” del Capo poiché sono stati più che sufficienti gli oltre 880 milioni di euro che il Governo italiano ha “devoluto” nel triennio 2019-2021 sotto forma di contributi per l’editoria, soldi versati dal Popolo e che sarebbero serviti per le necessità del Popolo ma sono invece finiti nelle casse dei media allineati, oltre che per continuare a garantire i lauti stipendi dei loro Direttori, Vicedirettori e Capiredattori.
Una vera e propria mercificazione dell’informazione e che, come se ancora non bastasse, è andata in magnifico abbinamento con il salvataggio che lo stesso Draghi ha operato nei confronti dell’INPGI (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani), una manovra che sulle casse dello Stato peserà qualcosa come 2,5 miliardi di euro fino al 2031.
Un intervento che costituisce un pericoloso precedente e che molti osservatori politici ed economisti hanno senza mezzi termini giudicato come inattuabile persino di fronte al fallimento d’una banca di primissima importanza.
Ora come allora c’è però ancora una speranza nell’avere un’informazione che sia realmente indipendente e che non si perciò fa comprare da nessuno, una speranza che al momento risiede proprio in poche testate come L’Italia Mensile.
Voci di Popolo, voci di vita, voci di sacrosanta ribellione dalle quali ripartire per costituire una Resistenza oltre che un Identitarismo che siano realmente consapevoli di cosa sono, da dove provengano, ed in quale direzione vogliano andare per liberarsi finalmente della tirannide del globalismo e di tutte le sue laide declinazioni.