Il sindacalismo rivoluzionario guida popolare
di Giulio Saraceni
I valori del sindacalismo nazionale erano propugnati all’inizio del ‘900 soprattutto per iniziativa di personalita’ politiche come Michele Bianchi (futuro quadrumviro della Marcia su Roma) e numerosi sindacalisti tra i quali primeggiava, per coraggio e intelligenza, Filippo Corridoni che aderì all’Unione Sindacale Italiana in contrapposizione alla Confederazione Generale del lavoro.
I postulati culturali di questa componente sindacale erano una lettura originale del sindacalismo rivoluzionario che si era sempre opposto ad una visione classista e statalista della risoluzione della “questione operaia”, opponendosi al “marxismo” della CGL (spalleggiata dal partito socialista) e il sogno di una grande Nazione italiana basata sulla collaborazione tra le classi sociali e l’autonomia dei lavoratori.
Tutte queste idee erano figlie delle riflessioni di Giuseppe Mazzini: il veggente nemico della nefanda utopia marxista in nome della difesa degli interessi della Nazione. Allo stesso tempo, il grande patriota, incitava la classe lavoratrice ad unirsi per uscire dalla povertà e per rendere l’Italia un paese più forte. Corridoni e i suoi sodali opponendosi all’ “opportunismo” dei socialisti, lottavano per un autentico rinnovamento della società italiana nella quale la classe lavoratrice “contasse” di più.
Questo duro conflitto che provocava spesso “movimentate” manifestazioni (il Nostro fu spesso incarcerato) esplose con la Grande Guerra. Filippo Corridoni sostenuto dall’interventista Benito Mussolini, ebbe la conferma della giustezza della sua visione “nazionale” poiché i lavoratori dei paesi belligeranti mostrarono subito il loro patriottismo rifiutando l’internazionalismo marxista che avrebbe dovuto creare il paradiso in terra.
Diceva Corridoni: “Date al popolo la libertà ed esso la difenderà vittoriosamente perché per il popolo il problema della patria è essenzialmente un problema di libertà: toglietela e gli togliete la patria, non la sentirà più, si disinteresserà delle sue sorte” … e ancora: “I proletari di Germania hanno dichiarato di essere prima tedeschi e poi socialisti. Ecco un fatto nuovo che noi ignoravamo e che abbiamo avuto il torto di non intuire”.
Fu quindi naturale per quei “combattenti” auspicare l’entrata dell’Italia nel conflitto anche come forza levatrice di una maggiore giustizia sociale. Purtroppo la guerra non risparmiò la vita di quegli eroici sindacalisti a cominciare dal carismatico leader che morì come volontario in trincea sul Carso il 23 ottobre del 1915. Ma il pensiero, la visione sopravvisse alla sua dipartita.
Finita l’epopea bellica iniziò un altro conflitto, più subdolo, all’ interno del corpo sociale della Nazione. Innanzitutto i paesi alleati in guerra con l’Italia non rispettarono gli accordi a suo tempo stabiliti mediante il riconoscimento dei territori di influenza italiana. Poi vi erano i rappresentanti delle vecchie classi dominanti che volevano continuare a governare il paese ignorando i grandi mutamenti socioeconomici determinati dal conflitto mondiale.
Infine il mito comunista da applicare anche in Italia con i metodi violenti della sanguinosa rivoluzione bolscevica. I sindacalisti nazionali seguaci di Corridoni crearono una nuova organizzazione sindacale chiamato, Unione italiana del lavoro che in quegli anni complicati fece un grande capolavoro: Dalmine! Il 16 marzo 1919 in quel piccolo comune della bergamasca, organizzata dai sindacalisti “corridoniani”, si verificò la prima occupazione con autogestione operaia nel nostro Paese. Il fatto entusiasmante però fu soprattutto la continuazione della produzione.
Gli operai continuarono infatti il lavoro issando sulla fabbrica il Tricolore Nazionale. Lo stesso Benito Mussolini raggiungerà gli stabilimenti per mostrare il suo entusiasmo. Un nuovo mondo stava per nascere. Da qualche parte Filippo Corridoni sorrideva al suo popolo.