Giuliano Castellino e Giuseppe Provenzale
Inutile fare tanti giri di parole: in Italia si conferma il modello finto democratico – fondato sulla multiforme pseudo emergenza permanente – di un regime senza opposizione.
Se la destra di governo – premiata per aver – “responsabilmente” – interpretato il ruolo, necessario a far credere si fosse in democrazia, dell’anti Draghi – mostra la sua faccia più squallida (atlantismo ortodosso, benzina sul fuoco dell’estensione della guerra, il tutto a spese dei poveri e di chi dissente, minacciato con leggi liberticide), è la sinistra a continuare un lunga, e ormai inesorabile, “eutanasia politica”, che ha origini assai lontane…
Già i bisnonni giacobini, che pure della parola “popolo” riempivano le proprie pagine e bocche, ben conoscevano l’odio viscerale verso quel popolo francese (non vi furono solo Vandea e Bretagna ad insorgere) che si ostinava a non piegarsi dall’astratta ragione illuminata.
Ma, per avvicinarci ai tempi nostri, imploso il Muro di Berlino quello che era il fronte dei partiti del popolo e dei lavoratori si è convertito facilmente al nichilismo liberale che ha rimpiazzato la lotta di classe con la lotta di sessi cancellando ogni riferimento ai diritti popolari, sostituiti a loro volta da, sedicenti e assai instabili, percepiti diritti individuali.
La moderna matrice liberale e liberal ha ben presto condotto le sinistre ad abbandonare le periferie per rinchiudersi nei salotti borghesi e radical chic degli studi televisivi e dei palazzi di un potere sempre più commissariato ed eterodiretto; del resto questo era stato il destino di tanti già citati nonni illuministi e giacobini: sostituire un’aristocrazia di sangue con una di rapina.
L’interesse esclusivo per le minoranze è stato nei fatti un tradimento degli interessi della maggioranza popolare, come è avvenuto per il sostegno incondizionato – e molto ben remunerato – all’invasione immigratoria che, non dimentichiamolo, è letale anche per tutta l’area mediterranea, nord Africa compreso, e per l’intero continente africano, che si vorrebbe svuotato progressivamente ad esclusivo vantaggio del nuovo capitalismo, che è anche più schiavista del vecchio.
Già mentre il Muro crollava, queste sinistre, inoltre, via via abbandonavano picchetti, fabbriche e posti di lavoro per occupare la magistratura, scalare banche e assicurazioni e ricoprire ruoli nel deep State globalista nazionale ed internazionale, cercando ricovero tra le braccia degli americani e della Nato e sostenendo ogni guerra imperialista; lo scandalo “armato” che coinvolge D’Alema dimostra che quando si bombarda a comando il “cattivo” di turno si è più facilitati ad entrare, “armi e bagagli”, nel settore.
E, all’elenco delle storiche, sinistre sostituzioni, aggiungiamo, dunque, quella che coinvolge l’internazionalismo proletario barattato con il più confortevole globalismo.
Il governo Meloni, che non saremo certo noi a difendere, mostra una perfetta continuità non solo con Draghi, come dalla stessa premier affermato, ma con quelle sinistre di governo che (ricordiamo – e ben ricordano in Serbia) erano rappresentate da comunisti dichiarati come Cossuta, Diliberto e lo stesso Rizzo, tutti privi di apparenti problemi di coscienza quando, era il 1999, si trattò di portare la guerra nel cuore di quell’Europa che oggi sarebbe Putin a minacciare.
E, le stesse sinistre “di lotta e di governo”, con la complicità criminale dei sindacati, Cgil in testa, furono utilizzate affinché l’abrogazione dell’articolo 18 e le idee marchiate Biagi/D’Antona potessero condurre a più “evoluti” attacchi contro il diritto al lavoro, come il Jobs Act.
Non crediamo sia un caso che agenda Davos, dittatura sanitaria e relativa carta verde abbiano avuto come front man alla Sanità il compagno (Fabian-Dalemiano) Speranza.
Non solo, ma in piena tirannia terapeutica, maledettamente memorabili rimarranno le richieste di obbligo vaccinale per tutti, gli abbracci vassallatici tra Draghi e Landini, la presenza della Cgil come parte civile nei processi contro i dissidenti e l’Anpi che provò a fare lo stesso.
Ma, anche la sinistra radicale fece la sua parte in pieno delirio salutista: non possiamo dimenticare gli striscioni contro i “no vax” ai cortei Usb o i comunicati di condanna di Patria Socialista, Fronte della Gioventù Comunista e centri sociali (all’epoca i ragazzi di Rizzo!) contro le piazze che difendevano lavoro e libertà.
Anche oggi, sembra una corsa a mostrarsi più atlantisti della Meloni: il responsabile Esteri del Pd si dichiara più filo ucraino delle destre, le prime pagine de Il Manifesto, quotidiano comunista, sono a favore di Kiev, la Cgil fa selfie con i soldati di Azov… persino i più pacifisti, in stragrande maggioranza (leggere il mensile Lotta Comunista), sono contro la Russia.
C’è poi il capitolo delle politiche ambientaliste, del fanatismo trans ecologico e delle follie segregazioniste delle Città 15 minuti e delle nuove Ztl: da Marx ad Al Gore e Re Carlo, da Leningrado a Davos, dalle bandire rosse a quelle fucsia e arcobaleno, dalle Br alle Brigate Rolex, dalle feste dell’Unità al festival di Sanremo… non c’è una sola tappa del percorso sinistro che non sia stata anti-popolare.
Anche in quella che viene chiamata militanza territoriale e di base non mancano compagni questurini e confidenti, vigliacchi e spioni, più amici della Polizia che delle lotte sociali.
Qualcuno dirà, anche giustamente, che non tutti i “compagni” sono così.
Grazie a Dio, aggiungiamo noi, che non solo auspichiamo dialogo e collaborazione con questi “sopravvissuti”, in nome di una vera resistenza al capitalismo 4.0, per la costruzione di un vero fronte del dissenso che possa guidare una lotta di liberazione popolare, ma che saremmo pronti a lottare insieme; anche se, oggettivamente, ci sembrano la minoranza di una minoranza…
A che pro rimanere attaccati ad un carrozzone che va alla deriva, in compagnia delle destre e del fallito nuovo ordine mondiale, quando il mondo multipolare è già una realtà?
A che pro continuare a vivacchiare dentro un ambiente, oggi sempre meno radicato ed aggregativo, lontano anni luce dal popolo e dai lavoratori?
“Compagni che sbagliano”? Sarà… ci ricordano alcuni “camerati in buona fede” che per anni hanno perduto tempo, forze ed energie per spiegare al proprio mondo (che forse tanto loro non era) che il “nostro fascismo” non era quello americano, borghese e reazionario, quando il 99% di quel mondo sosteneva ogni guerra e governo atlantici, Pinochet era il vero modello, (altro che D’Annunzio, lo Stato Sociale del Ventennio, Bombacci o De Ambris…).
Oggi per 59 milioni di italiani – sempre meno rappresentati anche quando finiscono per votare “il meno peggio” e sempre più distanti dal dibattito politico – le destre sono Meloni e La Russa alla parata e le sinistre Fedez Ferragni o Damiano dei Maneskin; si tratta di un dato che è irragionevole non considerare.
Non dimenticando, però, che se destra e sinistra sono identiche su guerra, Nato, banche, Bruxelles, Wef e liberismo… la sinistra si distingue sempre più su su gender, green e sanità… tutti temi che accelerano l’abbandono del sentire popolare.
Il risultato è che le sinistre non solo sono riuscite ad odiare il popolo, ma che, ormai, hanno ottenuto l’odio del popolo.
A questo proposito, fanno sorridere l’indignazione di una parte, ma anche il gaudio dall’altra, nel vedere i miliardari Fazio, Littizzetto o Annunziata migrare verso altri lidi dopo il cambio cavalli alla TV di Stato.
CONCLUSIONI
Ci piacerebbe che i conti con la nuova realtà – e le analisi, con relativa presa di distanza – che abbiamo affrontato e che affrontiamo noi ogni giorno, maturassero anche a sinistra: è quello che abbiamo già fatto e facciamo dimostrando la nostra equidistante (anche se per ragioni differenti) lontananza da destre di potere o radicali.
Ormai, in Italia e nel mondo, le uniche opposizioni non sono né di destra né di sinistra, ma patriottiche e popolari e guardano al futuro, vogliono realmente chiudere col ‘900 e difendersi dall’oppressione globalista; per affrontare adeguatamente una nuova, differente lotta di classe contro i dominanti (di fatto da questi ultimi dichiarata contro tutti noi in modo ormai palese), dove le uniche bandiere che si innalzano sono quelle nazionali e delle storiche identità locali, serve, infatti, la più ampia unità possibile.
Se ne prenda atto, giacché tempus fugit.