Giuseppe Provenzale
“Abbiamo sanzionato la sede di ProVita&Famiglia, espressione del patriarcato becero”, già questa rivendicazione in stile B.R. la dice lunga sulle donnine del Me too di casa nostra, che, come tante altre, si ostinano a non voler comprendere che il nascituro non è come una fastidiosa appendice da buttare, una volta rimossa, tra i rifiuti ospedalieri.
Donnine, sì, perché chiamarle donne è davvero troppo, specie dopo l’ennesimo assalto – stavolta in forze perché nel bel mezzo di un corteo – alla sede romana di Pro Vita, associazione certamente benemerita se non fosse per il suo “matrimonio” di interesse con FdI e il centrodestra in genere, lo stesso centrodestra che definisce la 194 “una conquista di civiltà”.
Non mi risulta che le succitate donnine abbiano avuto nulla da ridire quando la libertà di tutti veniva messa in sicurezza dai governi precedenti, né mi è capitato di imbattermi in una qualche loro dichiarazione contro l’invasione gender nello sport femminile, eppure la cosa fa riflettere da tempo anche le femministe della vecchia guardia.
In loro non si insinuano dubbi di sorta: “Il corpo (fastidiose appendici comprese ndr) è mio…” eccetera eccetera e il patriarcato è al massimo della sua, oppressiva, potenza.
Dissonanza cognitiva galoppante, quando, ha ragione il compagno Cacciari: il mostro “è in crisi da cinquecento anni e non esiste più da duecento”, una dissonanza che crea violenza intollerante e fanatismo in un’epoca in cui la cultura dominante tutto è tranne che legata a presunti schemi patriarcali.
Molto è stato scritto dopo l’ultimo, gravissimo episodio di cronaca, quello che, spero che anche Coghe se ne sia accorto, ha spinto la destrina di governo a lanciare l’ora di “educazione sentimentale” (sic), a cura di psicologi e influencer, nelle scuole.
La stessa destrina che schiera Piantedosi all’Interno, l’ex prefetto di Roma che gestì la strumentalizzazione dei fatti del 9 ottobre (fu usato il metodo Cossiga?) e la cui Polizia, pur abbondantemente presente, nulla ha fatto per garantire dalla possibile devastazione (posso chiamarla così o quella è roba per no vax?) i locali romani dell’associazione filogovernativa.
Forse, Coghe pensava di essere garantito dai tanti “conservatori” o, chissà, dal presidente della Camera, ma così non è stato, anzi…
Cose che possono accadere, del resto… la sede di Pro Vita non è mica la CGIL! E che diamine!