di Fabio C. Maguire
L’operazione russa ha plasmato radicalmente i rapporti di forza all’interno dell’Unione Europea.
La crisi che ne è conseguita ha determinato uno nuovo scenario interno al panorama comunitario, stabilendo equilibri politici differenti e senza alcun dubbio curiosi e sorprendenti.
La vecchia guardia europea ha visto perdere gradualmente il suo potere decisionale e la sua influenza deliberativa a beneficio di nuovi establishment governativi relegati ad una posizione marginale fino a pochi mesi fa.
Il Paese emblematico di questa “rivoluzione” profonda a Bruxelles è la Polonia, che ha assunto un ruolo di primo piano dallo scoppio del conflitto e ha partecipato attivamente ed energicamente alla campagna sanzionatoria, o meglio dire persecutoria, ai danni della Russia.
La leadership polacca ha risanato quel buco politico creato dallo scetticismo interventista e dalla reticenza di governi illustri come quello tedesco, che colpiti dall’emergenza e dal timore di una possibile escalation bellica hanno indugiato dinanzi agli aiuti richiesti da Kiev , mostrandosi insufficienti e impreparati a fornire una risposta decisa all’offensiva russa.
Varsavia, au contraire, ha posto in essere una condotta del tutto sprezzante e provocatoria nei confronti di Mosca, ribadendo fortemente come la scelta di armare e finanziare l’esercito ucraino sia l’unica soluzione per vincere e giungere ad una pace duratura.
Il fatto che i rapporti di forza siano cambiati lo si può evincere chiaramente dalla vicenda dei carri armati Leopard2.
Il cancelliere Scholz esitò a elargire i suoi gioielli all’Ucraina, la Polonia rispose minacciando di esportare dozzine di carri armati sfidando le restrizioni tedesche alla riesportazione, alla fine il Reichstag dovette cedere e spedire i tank.
Una serie di consecutivi di piccoli ma simbolici incidenti come il sopracitato, hanno concesso alla Polonia di assumere anche il ruolo di guida morale sulle questioni di sicurezza europea, rimpiazzando una Germania poco incisiva e determinata.
Varsavia sembra poco intimorita dalla possibilità che il conflitto trasmodi dai confini attuali e forse si potrebbe supporre che la volontà polacca sia proprio questa.
Infatti i fondi stanziati per un rimodernamento e un miglioramento delle forze armate sono notevoli e fuori dal comune; circa il 4% del PIL del Paese sarà destinato alla difesa e all’incremento di armamenti bellici.
Una domanda sorge spontanea: la Polonia è disposta alla guerra contro una delle più grandi potenze mondiali per difendere il popolo ucraino e quindi spinta da un puro sentimento di solidarietà, o per meri fini affaristici e militari?
Infatti il Modern Diplomacy, autorevole testata belga, ha fornito informazioni sull’eventualità che Varsavia stesse armando e preparando il suo esercito per occupare i territori occidentali ucraini, qualora la resistenza nel Donbass fosse sconfitta.
Se ciò accadesse la Polonia si impadronirebbe delle regioni di confine, tenendo poi un referendum tra la popolazione per annetterle a se, dato che il numero di polacchi residenti in Ucraina sono circa 2 milioni.
Il cuore geopolitico dell’Europa si sta spostando verso est e nuovi Paesi oggi animano il tanto tormentato e ingarbugliato palcoscenico politico europeo.