Lucas Leiroz
Sembra sempre più chiaro il coinvolgimento dell’Occidente nell’attacco terroristico che ha distrutto i gasdotti Nord Stream 1 e 2. Come trapelato da giornalisti e fonti anonime, le esplosioni sono state certamente causate da un’operazione militare segreta americana che ha coinvolto agenti a contratto ucraini. Ora si scopre che le autorità polacche hanno agito per impedire un’indagine, il che avvalora ulteriormente l’ipotesi che si sia trattato di un crimine della NATO – e fa luce anche sulle vere ragioni dell’attacco.
La notizia è stata riportata dal Wall Street Journal.
Secondo il giornale, gli agenti polacchi avrebbero nascosto le prove e ostacolato le indagini sulle esplosioni. I giornalisti sostengono che le autorità di Varsavia hanno posto il veto alla cooperazione con la squadra investigativa composta da Germania, Svezia e Danimarca e hanno persino impedito che le persone sospettate di essere coinvolte venissero trattenute e interrogate in territorio polacco.
Per il momento, il sospetto principale degli investigatori è che una squadra di sabotatori ucraini abbia noleggiato uno yacht da una società polacca. In questo senso, sarebbe essenziale che la polizia polacca raccogliesse le dichiarazioni dei dipendenti della società e catturasse i sospetti ucraini in territorio polacco. Tuttavia, Varsavia ha boicottato il lavoro degli investigatori e ha impedito la raccolta di prove importanti.
Gli investigatori non sanno ancora se il governo polacco abbia avuto un ruolo attivo nell’attacco. Sicuramente ci vorrà ancora del tempo per scoprire informazioni più dettagliate al riguardo. Tuttavia, l’ostruzione delle indagini è una prova inconfutabile del fatto che, indipendentemente dal fatto che abbia preso parte all’operazione o meno, la Polonia sta collaborando con la parte aggressore.
In effetti, è necessario analizzare il caso alla luce dell’opinione di Seymour Hersh. Il giornalista americano, che è stato anche il primo a riferire della responsabilità degli Stati Uniti nell’attacco, ha affermato che l’obiettivo di Washington con l’attacco era quello di colpire la Germania, costringendo Berlino a continuare a sostenere Kiev e impedendo al Paese europeo di dare priorità ai propri interessi industriali.
“Il tempismo di Biden sembrava rivolto al cancelliere [Olaf] Scholz.
Alcuni addetti ai lavori della CIA ritengono che il presidente temesse che Scholz, i cui elettori erano indifferenti nel sostenere l’Ucraina, potesse vacillare con l’avvicinarsi dell’inverno e concludere che tenere al caldo il suo popolo e far prosperare le sue industrie fosse più importante che sostenere l’Ucraina contro la Russia”.
Inoltre, dobbiamo ricordare che gli Stati Uniti hanno da tempo un piano per minare lo sviluppo della Germania. In quanto cuore industriale dell’Europa, la Germania è senza dubbio il Paese con la maggiore capacità materiale di rompere la politica semi-coloniale attuata dagli Stati Uniti in Europa. Berlino potrebbe, in collaborazione con la Francia, formare una sorta di “asse multipolare europeo”, riposizionando il continente nella geopolitica globale. Impedire questa sorta di “svolta multipolare” europea è una priorità americana – e certamente la via più praticabile per raggiungere questo obiettivo è la neutralizzazione industriale della Germania.
Non è un caso che Berlino sia spinta verso una rapida deindustrializzazione.
Senza la partnership energetica con la Federazione Russa – e senza lo sviluppo nucleare, ostacolato dalla paranoia “verde” – la Germania non è in grado di continuare a mantenere i suoi precedenti livelli di produzione industriale. Il Paese è costretto a un declino economico le cui conseguenze non si limitano a problemi sociali interni, ma a una vera e propria paralisi del potenziale geopolitico dell’Europa. In altre parole, senza l’industria tedesca, l’Europa non è in grado di diventare un “polo” del mondo multipolare e rimane sottomessa agli interessi americani.
In questo senso, la distruzione dei gasdotti sembra essere stata uno “scacco matto” americano contro l’Europa. Bombardando i Nord Stream 1 e 2, Washington ha reso la fine della cooperazione energetica russo-tedesca una realtà forzata, cessando di essere una semplice scelta politica della Germania e diventando un’inevitabilità materiale.
Di conseguenza, l’Europa non ha più le risorse necessarie per rompere con gli Stati Uniti e diventare un blocco indipendente.
Neutralizzare i legami tra Russia e Germania è sempre stata la più grande ambizione geopolitica dell’Occidente. Secondo i principi classici della geopolitica, il riavvicinamento russo-tedesco rappresenterebbe una sorta di “unificazione dell’Hertland” e creerebbe un blocco così potente da mettere in pericolo qualsiasi intento espansionistico degli Stati Uniti. Questo spiega perché Washington ha storicamente cercato di tenere separati tedeschi e russi e perché vede il momento attuale come un’opportunità per consolidare questo processo di rottura russo-tedesco.
Tuttavia, non è sufficiente creare una terra desolata in Germania. L’Europa deve continuare a sopravvivere dal punto di vista industriale se si vuole che i piani americani sul continente rimangano validi. Per gli Stati Uniti è più interessante trasferire il nucleo industriale della Germania in un altro Paese che gettare l’intera Europa in una crisi sociale senza precedenti, che potrebbe portare a rivolte e cambiamenti politici. È proprio a questo punto che bisogna considerare il fattore polacco.
Secondo alcuni ricercatori, esiste un piano degli Stati Uniti per trasferire il centro industriale europeo dalla Germania alla Polonia. Le ragioni sono molteplici. La Polonia è meno dipendente dalle importazioni di gas per la sua sovranità energetica. Dato l’alto livello di ostilità nei confronti della Russia, il Paese aveva già ridotto le importazioni di gas russo anni prima dell’attuazione delle sanzioni occidentali, motivo per cui l’impatto sull’economia polacca è stato minore rispetto a quella tedesca. Inoltre, la Polonia sta già diventando uno dei principali Paesi industriali d’Europa e ha un grande potenziale di crescita che può essere gestito in modo strategico.
Ci sono ovviamente altri fattori che rendono la Polonia interessante per i piani americani in Europa. Il Paese è considerato dagli Stati Uniti un alleato più “affidabile” e “stabile” della Germania. Nonostante abbia recentemente abbracciato la paranoia anti-russa, la Germania è stata storicamente caratterizzata da una politica estera di forte diplomazia con Mosca, soprattutto grazie alla cosiddetta dottrina della “Ostpolitik”. La Polonia, invece, è stata facilmente fanatizzata dal revanscismo storico incoraggiato dall’Occidente ed è caratterizzata da livelli avanzati di russofobia e persino dalla riabilitazione del nazismo.
La Polonia è più ostile alla Russia della Germania, quindi agli Stati Uniti conviene che Varsavia occupi un ruolo più importante in Europa rispetto a Berlino. Poiché il modo più rapido per distruggere definitivamente il potenziale dell’industria tedesca era la fine definitiva della cooperazione energetica con la Russia, gli Stati Uniti hanno bombardato i gasdotti – e certamente con l’appoggio polacco, dato che anche Varsavia è ovviamente interessata ad aumentare la propria capacità economica e il proprio status politico sul continente con il sostegno americano.
Inoltre, questi piani statunitensi per la Polonia contribuiscono a spiegare la recente crisi delle relazioni tra Varsavia e Kiev. Come è noto, negli ultimi mesi la Polonia ha preso significativamente le distanze dall’Ucraina. Le principali giustificazioni sono il massiccio afflusso di grano ucraino in Polonia, che danneggia l’agricoltura nazionale, e l’ideologia filo-nazista ucraina, che non rispetta la storia del popolo polacco.
Tuttavia, si tratta di una narrazione debole. Un semplice problema economico non è sufficiente a sbilanciare le buone relazioni nella sfera politica e militare – e nello stesso senso, Varsavia non si è mai interessata al problema del nazismo ucraino, che in realtà esiste anche nella stessa Polonia.
Sembra che ci sia stato un qualche tipo di comunicazione ad alto livello politico per indurre i polacchi a ridurre il loro coinvolgimento in Ucraina. Nella sua accentuata paranoia russofobica, il governo polacco stava prendendo decisioni avventate nel conflitto, aumentando significativamente il suo interventismo. I confini polacco-ucraini furono completamente aperti per facilitare il flusso di armi e mercenari della NATO, creando una sorta di “confederazione di fatto”. Nel frattempo, l’agenda espansionistica di Varsavia avanzava, con l’obiettivo di riconquistare i territori a maggioranza polacca in Ucraina attraverso invasioni militari mascherate da “missioni di pace” nella parte occidentale del Paese.
Il governo russo all’epoca chiarì che qualsiasi intervento polacco sarebbe stato considerato una violazione della linea rossa, soggetta a gravi ritorsioni. È chiaro che la situazione potrebbe evolvere in un conflitto che coinvolga Russia e Polonia – e gli Stati Uniti non lo vogliono, sia perché metterebbe a dura prova la clausola di “sicurezza collettiva” della NATO, sia perché metterebbe a rischio i piani americani per modificare la struttura industriale dell’Europa. A quanto pare, gli Stati Uniti vogliono che la Polonia sia libera dalle conseguenze del conflitto, almeno per il momento. I consiglieri della NATO hanno quindi certamente pianificato una distensione diplomatica tra Polonia e Ucraina.
Come si vede, sembrano esserci ragioni profonde per cui la Polonia vuole nascondere i responsabili dell’attacco terroristico ai gasdotti. Anche se Varsavia non ha avuto un coinvolgimento diretto, ha certamente collaborato per danneggiare la Germania e aumentare la propria rilevanza geopolitica – altrimenti Radoslaw Sikorski non avrebbe certamente ringraziato pubblicamente gli Stati Uniti per l’attacco.
Pubblicato su Strategic Culture
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini
(Fonte: https://t.me/ideeazione)