“Tra l’uomo e l’umanità”, scriveva Cesare Battisti (1875-1916), “c’è un anello di congiunzione che non si puó spezzare, nè dimenticare: la patria”. Eppure oggi la patria (la “terra dei padri”) è un concetto che suscita divisione se non, in alcuni casi, un senso di strisciante fastidio. Dopo la fine del sistema di Bretton Woods (1971) e l’avvio della globalizzazione, si è affermato un modello contraddistinto dal primato del finanziario sul politico per cui le grandi multinazionali hanno plasmato dal di dentro le istituzioni, sia nazionali, sia sovranazionali, e “creato” un loro proprio apparato normativo.
Ordinamenti statali, Unione Europea ed organizzazioni internazionali sono passate da entità endogene, cioè collocate al di fuori delle logiche di mercato per assicurare il libero incontro tra domanda ed offerta, ad entità esogene, ossia perfettamente integrate nel meccanismo degli scambi. In questo contesto interconnesso e funzionale ad assicurare primariamente stabilità al sistema finanziario, la patria si è “deterritorializzata” e si è imposto sempre di più il tentativo di portare a compimento, attraverso le forze cosmopolite, quella scollatura tra Stato e dispiegamento del mondo già preconizzata da Antonio Gramsci (1891-1937) e causata dall’affermarsi del pensiero nichilistico e dalla negazione dell’uomo come sostanza.
Al cosmopolitismo borghese “gassoso”, che snatura l’essenza dell’uomo quale “animale politico” per pervenire all’individuo “solo” e “monadico”, si deve, allora, contrapporre l’appartenenza concreta ad una comunità con la sua storia, il suo impianto assiologico, la sua tradizione e la sua costante ricerca della Verità.
Scriveva, a riguardo, il grande poeta Giacomo Leopardi (1797-1837) nello “Zibaldone”: «L’amore universale, distruggendo l’amor patrio, non gli sostituisce verun’altra passione attiva. […]
Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma, divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria».
di Daniele Trabucco