di Alessandro Cavallini
Nell’attuale modello capitalistico, il lavoro è considerato unicamente un costo.
E’ solo una voce negativa che, in quanto tale, comporta una riduzione del profitto dell’azienda.
Per questo motivo il lavoro, e di conseguenza il lavoratore, non hanno alcuna dignità né tutela reale.
Queste sono le regole del libero mercato che oggi, soprattutto a causa dell’immigrazione massiccia ed incontrollata, tutti quanti abbiamo finito per accettare.
Eppure non è sempre stato così.
Il Sistema capitalistico ci frega obliandoci anche della memoria. Il Lavoro, nella storia dell’umanità, non è sempre stato considerato semplicemente un numero. Anzi, in un passato nemmeno troppo remoto, ha avuto una funzione di elevazione sociale e di tutela della dignità della persona.
Pensiamo ad esempio all’ideologia socialista che, soprattutto nel pensiero di Marx, prevedeva l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione (e non il diritto a possedere come erroneamente crede una certa vulgata reazionaria ferocemente anticomunista). E qual era il motivo di questa posizione ideologica?
Leggiamo direttamente quanto scritto dal filosofo di Treviri: ” Quel che contraddistingue il comunismo non è l’abolizione delle proprietà in genere, bensì l’abolizione della proprietà borghese. Ma la proprietà borghese moderna è l’ultima e più perfetta espressione della produzione e dell’appropriazione dei prodotti che poggia su antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni da parte degli altri.
In questo senso i comunisti possono riassumere la la loro teoria nella frase: abolizione della proprietà privata”.
Non a caso Costanzo Preve parlava di “lavoratore collettivo cooperativo associato”, una figura idealtipica che comprendeva tutti i lavoratori, dal direttore di fabbrica all’ultimo manovale.
Questo perché nel pensiero socialista il Lavoro aveva una funzione emancipativa e non era considerato un puro mezzo di sostentamento come nell’ideologia capitalistica.
Anche nella Repubblica Sociale Italiana che, a differenza di quanto sostiene la retorica antifascista è stato l’unico tentativo di realizzazione di uno Stato socialista nella storia italiana, si tentò di dare vita alla socializzazione, cioè una forma di cogestione delle aziende dove Capitale e Lavoro collaborassero e non fossero in antagonismo tra loro.
Idea che peraltro è stata poi ripresa nell’articolo 46 dell’attuale Costituzione italiana: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alle gestione delle aziende”.
Articolo che però, come tanti altri, è rimasto lettera morta e non ha mai trovato applicazione, per la gioia dei nostrani capitalisti e con l’avallo indiretto del Pci.
Ma c’è anche un’altra dottrina, per quanto anch’essa dimenticata, che assieme al socialismo propone una visione positiva del Lavoro, cioè quella cristiana.
Avete presente il noto motto dei monaci benedettini, “ora et labora” cioè prega e lavora? Queste due parole indicavano i due momenti che scandivano in modo equilibrato le giornate delle comunità religiose monacali del Medioevo. I monaci benedettini, infatti, durante la loro giornata non dovevano mai avere momenti di ozio poiché lo stare senza fare niente era considerato la causa di tutti i vizi dell’uomo, allontanando quest’ultimo da Dio.
Il Lavoro era quindi inteso da un punto di vista etico, come strumento di innalzamento verso il Creatore.
Riteniamo che una moderna teoria del Lavoro realmente anticapitalista dovrebbe ripartire dall’unione della visione emancipativa del socialismo e da quella etica del cristianesimo.
Il problema però è cogliere all’orizzonte un soggetto politico in grado di fare ciò: la sinistra fucsia si occupa unicamente di (pseudo)diritti civili mentre la destra bluette è completamente prona ai diktat del liberismo più sfrenato.
Rimane un’unica soluzione: creare un Partito rivoluzionario che, al di là della destra e della sinistra, riaccenda la fiaccola ormai spenta dell’anticapitalismo.
Un Partito quindi che faccia sue le istanze del Popolo ormai schiavo dei Poteri Forti.
Il tutto, ovviamente, senza sterili nostalgismi novecenteschi incapaci, ed incapacitanti, di cogliere le sfide dell’oggi.
Per poter finalmente vedere quel sol dell’avvenire capace di prevalere sulle nebbie del presente.