di Fabio C. Maguire
Sale la tensione in Kosovo dopo i risultati delle amministrative di aprile.
Nel nord del paese, si sono registrati duri scontri tra la comunità serba e le forze dell’ordine durante l’atto d’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese.
Infatti, alle scorse votazioni, la comunità serba, in maggioranza in queste cittadine, boicottò le elezioni come atto di protesta contro il rifiuto di Pristina di concedere loro maggiore autonomia.
L’affluenza alle urne fu meno del quattro per cento, con l’astensione collettiva che finì per giovare alla coalizione di sponda albanese.
La polizia kosovara è intervenuta nelle città di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok scortando i sindaci eletti nei rispettivi municipi.
Le forze dell’ordine hanno con ciò occupato gli edifici comunali, respingendo a più riprese i manifestanti con gas lacrimogeni e spray urticanti.
Nel corso delle manifestazioni sono stati esplosi anche diversi colpi di arma da fuoco e il bilancio della giornata ci parla di oltre venti feriti tra serbi e poliziotti albanesi.
Pristina ha imposto con forza i risultati delle amministrative, disconosciute dalla stragrande maggioranza della popolazione.
Le forze armate albanesi che sono intervenute sul posto per sedare la rivolta non hanno fatto altro che provocare costantemente gli abitanti locali, rimuovendo la bandiera serba dal palazzo municipale per sostituirla con quella kosovara.
Inoltre l’esercito, in ausilio alla polizia, ha occupato militarmente diversi insediamenti e ha represso ferocemente, con l’uso di violenza indiscriminata, presidi e barricate.
La tensione si è nuovamente accesa in una regione dagli equilibri etnici molto labili e sensibili.
Belgrado ha fermamente condannato l’arbitrarietà della polizia, mobilitando l’esercito lungo tutto il confine con il Kosovo.
Il presidente Vucic ha parlato apertamente al pubblico affermando di trovarsi dinanzi alla peggiore crisi della storia recente del paese.
Il primo ministro ha espresso pubblicamente anche la sua preoccupazione per un possibile colpo di stato, una rivoluzione colorata che sovvertirebbe l’attuale governo.
Vucic ha informato di essere stato avvertito da alcuni partner dell’Europa orientale della possibilità che la Serbia potesse essere vittima di un attentato politico.
“Temo e mi aspetto il peggio perché so con chi abbiamo a che fare”.
Il Presidente ha poi programmato una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale proprio per discutere degli ultimi fatti avvenuti in Kosovo.
Nel frattempo le strade di Belgrado sono state inondate da un mare di persone, scese per sostenere il governo in un momento di dura crisi.
Nella capitale serba è giunto anche il Ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto che si è rivolto alla folla durante la manifestazione convocata dal partito progressista.
Il diplomatico ungherese ha affermato che “l’Ungheria considera i serbi suoi fratelli”, ricordando come questa fratellanza tra i due paesi sia stata possibile grazie al duro lavoro del presidente Vucic.
“Sotto la guida del vostro presidente, ha proseguito, la Serbia sta proteggendo la comunità ungherese in Vojvodina e ciò rappresenta un modello per il mondo intero. Noi ungheresi vi siamo grati per questo.”
“Il mainstream liberale internazionale ci sta attaccando perché vogliamo la pace in Ucraina e rifiutiamo di partecipare a un’escalation della guerra.”
Nel primo pomeriggio di stato ci è pervenuta la notizia che il Presidente in carica Vucic ha rassegnato le sue dimissioni e ha proposto per la presidenza il Ministro della Difesa Milos Vucevic.
Non si sa se effettivamente se vi sia o no in corso un colpo di stato in Serbia, ciò che è certo è che gli equilibri nella regione balcanica stanno nuovamente per saltare, rischiando un nuovo conflitto civile.
Gli Stati Uniti hanno condannato con un comunicato social le azioni della polizia kosovara, questo ci sembra la solita parte recitata egregiamente dai signori d’oltreoceano che saranno in attesa, come avvoltoi, di poter sfruttare, ovviamente dopo aver creato, l’ultima crisi per distruggere anche l’ultimo baluardo anti-liberista nel cuore d’Europa.