di Giuseppe Provenzale
È la quarta rivoluzione industriale, signori, la 4.0; certo non mancano le implicazioni etiche, ma chi sa cosa è meglio per noi ci sta lavorando e la Commissione europea ha già diffuso le proprie linee guida…
La cosa è pesante. Il transumano è già alle spalle e i disastri dell’invasione tecnologica nelle nostre vite sono sotto gli occhi di tutti.
Sto parlando di quella che chiamano “intelligenza artificiale”, uno dei tanti ossimori che questi tempi disgraziati hanno prodotto in questi anni, tema che certamente non credo di poter esaurire con questo articolo, che ha la sola pretesa di illustrare il punto di vista di scrive.
Ma, da qui vorrei cominciare (e forse anche finire) , cosa si intende per “Intelligenza”?
Il fatto è che la recentemente (mai troppo) divinizzata “comunità scientifica” “sebbene abbia sviluppato (come apprendiamo da Wikipedia ndr) dei modelli per la valutazione dell’intelligenza […] non concorda universalmente su una definizione unica di cosa essa sia”. Ed è proprio qui che sta il punto: cos’è l’intelligenza? Certo, non solo l’essere umano ne è portatore, tuttavia, nessuno può negare che si tratti di un dono che fa pensare al noto titolo di Nietzsche: “Umano, troppo umano”.
Questa la definizione che, nell’ambito della dichiarazione editoriale Mainstream Science on Intelligence, ne hanno fornito cinquantadue ricercatori nel 1994, : “Una generale funzione mentale che, tra l’altro, comporta la capacità di ragionare, pianificare, risolvere problemi, pensare in maniera astratta, comprendere idee complesse, apprendere rapidamente e apprendere dall’esperienza. Non riguarda solo l’apprendimento dai libri, un’abilità accademica limitata, o l’astuzia nei test. Piuttosto, riflette una capacità più ampia e profonda di capire ciò che ci circonda – “afferrare” le cose, attribuirgli un significato, o “scoprire” il da farsi”.
Evidente in queste parole la (deleteria) influenza anglo-sassone, l’intelligenza come “problem solving” è cosa loro, ma è su quel “tra l’altro” che mi concentrerei: “Ma quante cose, enormemente diverse tra loro, fa l’intelligenza?”, pensa in maniera astratta eppure risolve problemi pratici; c’è chi tenta di misurarla, di attribuirle un quoziente, ma come si fa a misurare qualcosa che “riflette una capacità più ampia e profonda di capire ciò che ci circonda”?
Hanno un problema, non c’è dubbio, e non solo a Houston.
Ma, come la pensavano gli antichi? Scrive Le Goff, a proposito di come stavano le cose in questo campo nel tanto vituperato Medio Evo: “Ogni oggetto materiale era considerato come la figurazione di qualcosa che gli corrispondeva su un piano più elevato e che diventava così il suo simbolo. Il simbolismo era universale, e il pensare era una continua scoperta di significati nascosti, una costante ‘ierofania’ “. L’intelligenza del simbolo, la sua comprensione, erano il naturale terreno di pascolo dell’insieme complesso di qualità intellettive che costituisce l’intelligenza – e nel suo livello più elevato quella umana – un terreno ormai deserto, se non per chi, nei secoli che ci hanno immediatamente preceduto, ha lavorato per crearlo. È, come minimo, dunque, un’intelligenza depotenziata quella di cui ci stanno parlando, un’intelligenza non molto intelligente insomma… mancante di quella caratteristica essenziale del pensare come “continua scoperta di significati nascosti”.
Evidente il fatto che ci si debba esprimere al plurale, che si debba, quindi, parlare, gerarchizzandole”, di intelligenze, come del resto ben sapevano gli antichi che con esattezza ne delineavano ambiti e specifiche facoltà, così come facevano con le Scienze, e prima tra esse quella Metafisica il cui parricidio sta alla base della filosofia di quegli ultimi secoli a cui accennavo.
Niente paura, non voglio tornare al Medio Evo… Voglio dire, però, che, al netto di quanto alberghi nelle intenzioni e negli intelletti (non d’Amore) di chi spinge per un uso sempre più invasivo e totalizzante dell’ IA, le capacità “umane, troppo umane” di quest’ultima sono davvero scarse, sì: è stupida, pericolosamente stupida e assassina del pensiero e della conoscenza. L’utopia (per le élite) rassicurante, e sostitutiva dell’essere intelligente per eccellenza, la rivoluzione industriale definitiva nega alla base la propria sedicente natura intelligente: è stupidamente “enciclopedica”, viziata, quindi, dalla medesima mentalità onnicomprensiva – e assassina, appunto, del pensiero e della conoscenza – che caratterizzò gli illuministi parrucconi, e massoni, del ‘700.
Leggendo tra le righe dei documenti mainstream è lampante. Perché non siamo animali, capaci come l’uomo di risolvere problemi quotidiani, ma siamo la Divina Commedia, ben al di sopra, e al di sotto, di una questione da problem solving; né, ancor di più, siamo macchine… siamo una battuta di Skakespeare ispirata da una immaginata tempesta, un verso di Marino, una pennellata di Caspar David Friedrich… una Sindone forse, un permanere, nonostante tutto, di quell’interesse “umano, troppo umano”, e sommamente intelligente, che continuiamo ad attribuire alla “continua scoperta di significati nascosti”, di cui parlava Le Goff, e alle innumerevoli conseguenze di tutto questo. Non siamo di fronte ad una sorta di frammento di roccia da buttar giù in quella inesistente galleria dell’evoluzione che è solo la creatura ideologica della mente di Darwin e dei suoi epigoni anti scientifici.
Nessun prodotto della Tecnica può, di fronte all’uomo, reggere il confronto: ciò che è veramente intelligente non può essere artificiale, ed è pur sempre un’ intelligenza umana ad aver pensato che, invece, ciò sia realmente possibile. L’incubo distopico (e dispotico) che per aiutare l’uomo, e magari guarirlo, lo sostituisce in ogni campo facendone una brutta copia va dunque combattuto a tutti i livelli, non ultimo quello culturale: e non è certamente un caso (cfr Scuola 4.0) che sia proprio la Scuola uno dei principali campi di sperimentazione e di battaglia sull’intera faccenda.
Citazioni
I virgolettati sono tratti da: “https://it.wikipedia.org/wiki/Etica_dell%27intelligenza_artificiale” e Jacques Le Goff: “La civiltà dell’Occidente medievale”, 1964.
constructing an artificial mind, we drive ourselves into prison. maybe in order to stop another “bomb” we need to take up farming and crafts… it also sounds phantasmagoric…
I totally agre with you!….Dedicating yourself to agriculture and handicrafts , in my opinion, it’s not phantasmagorical, but the only possible choice for humanity ,if it wants to offer itself a chance…