Considerando la grande popolarità del gioco del calcio nella Penisola Araba e nei deserti in genere, i Mondiali in Qatar erano l’Evento del Secolo. Quasi come le future (chissà) Olimpiadi Invernali alla Mecca, sostenute da formidabili impianti di innevamento artificiale.
Non tutto però è andato liscio.
A pochi giorni dall’inaugurazione è circolata ovunque la notizia – già pubblicata dal Guardian nel febbraio 2021 – degli oltre 6000 operai soprattutto asiatici morti nei dieci anni di cantieri. Le condizioni disumane in cui la manodopera importata si trova costretta a vivere e lavorare in quei climi non sono del resto una novità, e non solo ovviamente per i cantieri del Mondiale.
Se però i dati allarmanti erano noti da almeno un anno e mezzo, i Grandi Paladini dei Diritti umani non hanno mosso un dito (come per il Donbass massacrato da Kiev per otto lunghi anni), e ci si domanda perché la notizia venga diffusa con grande clamore proprio adesso, alla vigilia, diventando fatalmente «virale», con una cascata di macabri «meme» dove i palloni diventano teschi umani presi a calci da odiosi emiri inturbantati.
C’è insomma il sospetto che la pubblicità improvvisa di questo dramma nascosto e reale sia come dire «pelosa».
L’Emirato, che le vicende ucraine hanno indotto a spostarsi dall’area di influenza angloamericana alle «potenze emergenti», è ormai sulla lista dei reprobi. Per dare una legnata al Qatar infedele il grande Capitale angloamericano e affini cavalca senza scrupoli anche la più sacrosanta delle proteste umanitarie.
Flavio Piero Cuniberto.