di Aginform
Il 5 novembre si terrà finalmente la manifestazione annunciata da Conte e via via condivisa da vari soggetti il cui apporto rende però complesso il giudizio sull’evento.
Il fatto che sia stato Giuseppe Conte a lanciare una grande mobilitazione per la pace dopo che sindacati e partiti dell’ex centro sinistra sono rimasti immobili fino adesso o hanno condiviso fino in fondo le scelte di guerra del governo Draghi, è stato un segnale importante che ha avuto una grossa eco e creato aspettative per il peso che il risultato della mobilitazione può avere negli equilibri italiani, in un senso o nell’altro.
Dunque in piazza il popolo della pace ci deve essere tutto senza se e senza ma esprimendo le due esigenze che la maggioranza degli italiani condivide, fuori dalla guerra e fuori dagli embarghi.
Ogni altro modo di stare in piazza non avrebbe senso.
Per gli italiani pace significa difatti rispetto dell’art.11 della Costituzione, quindi si invoca la pace, ma sopratutto la fine di una condizione di illegittimità costituzionale che le scelte di Draghi ha creato e che il presidente della Repubblica ha avallato.
L’adesione alla manifestazione del 5 novembre è stata anche annunciata da varie associazioni, in particolare di area cattolica e pacifista che per loro natura hanno una impostazione non direttamente politica che comunque avranno sicuramente un peso anche se la loro posizione non coincide con gli obiettivi prevalenti del movimento contro la guerra.
Ma questa non può costituire una contraddizione e un elemento di divisione.
Uniti per la pace è anche il nostro slogan!
Quello che invece preoccupa è che in piazza ci saranno anche rappresentanze politiche e sindacali che si sono sempre dichiarate per l’invio di armi in Ucraina e per le sanzioni.
PD in testa.
E allora qui bisogna chiarire che non si può mettere assieme il diavolo e l’acqua santa.
Da una parte chi vuole la pace rifiutando l’invio di armi e lottando per imporre la trattativa per la fine del conflitto e il rispetto dell’art.11 della Costituzione e dall’altra chi invece condivide le scelte della NATO e dei governi italiani.
Questa è una contraddizione incompatibile con chi vuole scendere in piazza contro la guerra.
Per essere espliciti bisogna dire che la presenza del PD alla manifestazione del 5 è non solo inquinante, ma anche ne depotenzia il valore rispetto agli effetti che essa deve avere.
Chi lotta contro la guerra e chiede la fine delle ostilità non può stare insieme a chi sostiene i governi della guerra e le posizioni USA-NATO in quanto il messaggio che si darebbe è equivoco.
La pace è un obiettivo concreto e invocarla diventa una copertura per chi, come il partito democratico, vuole darsi una verginità dopo la sconfitta elettorale per poi riproporre le scelte NATO.
La questione si pone anche per le organizzazioni sindacali confederali le quali hanno annunciato la loro presenza in piazza, in particolare la CGIL.
Questi sindacati non hanno certamente le carte in regola perchè dopo un primo balbettio contro l’invio di armi sono andati a purificarsi alla manifestazione indetta dal sindaco piddino di Firenze Nardella a sostegno dell’Ucraina nella guerra.
Poi è calato il silenzio.
E grave è anche che rispetto alle conseguenze economiche e sociali della guerra non si siano messe in atto azioni di lotta contro l’inflazione e l’aumento dei costi energetici e di molte materie prime rivendicando l’adeguamento dei salari e delle pensioni.
In realtà i confederali stanno mantenendo una sostanziale subalternità politica e rivendicativa rispetto ai governi e soprattutto non hanno chiesto che sia rimossa la causa del peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, cioè la partecipazione dell’Italia alla guerra e alle sanzioni.
Per questo il 5 novembre bisogna sì manifestare uniti, ma anche far emergere che chi vuole la pace non ha nulla da spartire con chi sostiene la guerra o non difende i lavoratori con la lotta aggrappandosi alla richiesta di aver un tavolo di trattativa con il nuovo governo.
Tutto questo andrà detto nel corso della manifestazione, salvaguardandone il carattere unitario, ma non accettando trasformismi e coperture di responsabilità.