Il 5 ottobre scorso il quotidiano statunitense “New York Times” ha pubblicato la notizia secondo cui, stando gli 007 americani, a compiere l’attentato terroristico in cui ha perso la vita la figlia del filosofo russo Aleksandr Gelyevich Dugin siano stati agenti del regime ucraino.
Gli USA non ne sarebbero stati preventivamente informati e, anzi, avrebbero ammonito i loro omologhi di Kiev.
Sono così gli stessi americani a fare chiarezza su alcune tesi complottiste che erano girate in Occidente subito dopo l’assassinio del 20 agosto scorso.
Nell’ottobre 2017 mi trovavo a Sochi in Russia: accompagnavo la delegazione svizzera al Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti.
Erano presenti esponenti di spicco del movimento operaio internazionale a partire da Gennady Zyuganov, presidente del Partito Comunista della Federazione Russa fino all’ex-deputato greco George Mavrikos, allora segretario generale della Federazione Sindacale Mondiale, passando per Hilda Guevara, la figlia del Che e Iraklis Tsavdaridis, segretario esecutivo del Consiglio Mondiale della Pace.
Una sera mi chiamò una compagna turca e, con mia sorpresa, mi invitò a cena in città con Darya Aleksnadrovna Dugina.
A causa di altri programmi con la delegazione svizzera declinai però l’invito.
Pochi giorni dopo un compagno tedesco presente a sua volta al Main Media Center di Sochi, mi coinvolse in una riunione ristretta con alcuni analisti di geopolitica, per discutere di multipolarismo ed integrazione eurasiatica. A poca distanza da me – invitato a presentare la linea dei comunisti svizzeri sul tema della cooperazione multilaterale – si trovava proprio Darya Aleksandrovna.
Con lei mi confrontai ovviamente da posizioni diverse: io marxista e ateo, lei conservatrice e ortodossa.
Fu una discussione franca ma rispettosa: Darya, persona molto preparata e per nulla banale, era disponibile al dialogo coi comunisti ed era interessata a costruire un mondo multipolare e ascoltava con curiosità le tesi sul ruolo che la Svizzera – proprio per la sua neutralità – poteva avere nel contesto di declino dell’atlantismo.
Discutemmo fino a notte fonda, poi ci salutammo e da allora non ci siamo più sentiti.
La notizia della sua morte mi ha quindi umanamente scosso, ma ancora di più mi ha turbato come i media occidentali abbiano demonizzato le memoria di una filosofa e di una giornalista nel tentativo quasi di “legittimare” l’attentato terroristico di cui è stata vittima.
Un clima indegno della cultura democratica europea!
Hanno detto di lei che era “ultra-nazionalista”.
In realtà Darya Aleksandrovna, per quanto fosse certamente una patriota e sostenesse l’attuale governo russo, non aderiva a un’ideologia strettamente “nazionalista”. Era semmai una sostenitrice di una visione filosofica secondo cui la nuova civilizzazione eurasiatica avrebbe unito i popoli superando proprio i confini nazionali e riteneva superate tutte e tre le dottrine politiche storiche (liberalismo, comunismo e fascismo), e su questo ovviamente mi trovava in disaccordo.
Non era nemmeno fascista, come ho letto più volte: considerava anzi il fascismo come un retaggio passatista e – come recentemente ha ricordato il sito dell’Associazione Svizzera-Cuba – fu proprio lei a promuovere la Fondazione Fidel Castro di Mosca: difficile credere che una “fascista” possa arrivare a celebrare un gigante internazionalista come il leader rivoluzionario cubano, uno dei più coerenti comunisti del ‘900.
Le hanno persino attribuito una frase ignobile: «gli ucraini sono subumani da riconquistare».
Stupito da questa volgarità ho cercato la fonte che, ovviamente, non sono riuscito a trovare.
Peraltro persino il sostenitore del regime ucraino, Sergej Sumlenny, su Twitter ha ammesso che «non è una citazione diretta ma fedele al contenuto».
Insomma è una fake news che però i giornalisti occidentali hanno diffuso in un virgolettato inventato di sana pianta.
Nel video che circola a suffragare la finta traduzione, Darya Aleksandrovna però non parla del popolo ucraino ma dei neo-nazisti del Battaglione Azov la cui ideologia razzista e guerrafondaia lei stigmatizzava.
Peraltro, nel 2021, in un’intervista Darya Aleksandrovna aveva anticipato i rischi di guerra in Ucraina condannando le provocazioni americane «per indurre allo scontro bellico due popoli storicamente fratelli».
Russi e Ucraini sono dunque due popoli fratelli: non proprio la frase che ci si attenderebbe pronunciata da una presunta ultra-nazionalista assetata di sangue che …”se l’è cercata” come qualcuno ha lasciato intendere!
Il contesto è grave: non solo si sta facendo di tutto per cercare un’escalation con il continuo rifornimento di armi e con la recrudescenza delle sanzioni, ma sembra quasi che una filosofa e giornalista come Darya Aleksandrovna, che non aveva responsabilità né politico-istituzionali né tantomeno militari, ma che si limitava a esprimere un’opinione – condivisibile o meno che fosse! – debba mettere in conto di finire uccisa.
Aberrante, soprattutto da quel punto di vista liberal-democratico di cui l’Europa si fa vanto.
Come disse Darya Aleksandrovna, laureatasi con una tesi su Platone: «è estremamente importante capire che è iniziata una nuova fase ricca di sfide, di provocazioni e di complessità. Il processo di creazione del multipolarismo, di strutturazione dei blocchi civili e di dialogo tra di essi è il compito principale di tutti gli intellettuali di oggi. Invito tutti i lettori a pensare in modo critico e a mettere in discussione le notizie pubblicate dai media occidentali. (…)
Questo è un principio importante che ci permette di mantenere uno sguardo sobrio. Nella società dello spettacolo (…) il dubbio è un passo fondamentale per uscire dalla caverna».
di Massimiliano Ay