di Fabio C. Maguire
Quando una persona viene arrestata in un paese sgradito al pubblico occidentale, la stampa e la politica iniziano un incessante attività di propaganda per criminalizzare quel potere e offrire un’immagine eroica della persona fermata.
Quando a violare i diritti di una persona o a commettere violenza e brutalità sono regimi amici all’Occidente, la notizia non viene riportata dal circo mediatico, ignorando totalmente il caso e le sofferenze dell’interessato.
Infatti, in Israele è stato recentemente arrestato uno studente italo-palestinese, in viaggio con la famiglia per necessità personali.
Khaled Al Qaisi è stato preso dalla polizia israeliana durante un controllo in una zona di confine davanti alla moglie e al figlio di quattro anni.
La compagna ha raccontato la storia a La Sapienza, descrivendo passo dopo passo i momenti del drammatico arresto del marito.
“Tutto è iniziato con il ripetuto controllo dei bagagli a mano, poi sequestrati, telefonini inclusi. Più volte è stato chiesto a Khaled di avvicinarsi e allontanarsi al nastro del controllo bagagli, finché una guardia di frontiera non lo ha ammanettato con i polsi incrociati. Alla moglie è poi stato ordinato di stare seduta e aspettare, e quando il bimbo ha iniziato a piangere, le è stato intimato, in modo brusco, di fare silenzio. In seguito anche lei è stata interrogata sugli orientamenti politici del marito e su altre informazioni personali, proprie e di Khaled.”
Nei giorni successivi, la moglie, una volta rilasciata, privata del suo denaro e del suo cellulare, con l’aiuto di alcune donne palestinesi che le hanno donato dei soldi, è riuscita a raggiungere l’ambasciata italiana.
L’avvocato, intervenuto alla conferenza, ha spiegato il trattamento riservato ai prigionieri in Israele, illustrando le modalità d’interrogatorio a cui ricorrono le autorità locali.
Secondo il difensore, Khaled si trova in una forma detentiva di isolamento, sottoposto a estenuanti interrogatori che mirano al collasso fisico e psicologico del detenuto.
“In Israele, per i prigionieri palestinesi, è previsto l’interrogatorio fisico che prevede la brutalizzazione del detenuto”, ha spiegato l’avvocato.
Khaled, sottoposto a disumane forme di coercizione, è stato privato di sentire la famiglia e di contattare il suo difensore, quest’ultimo almeno nei primi quindici giorni.
Per lo studente italo-palestinese non è stata formulata alcuna accusa e si trova al momento in custodia senza un capo d’imputazione, situazione che rende difficile anche il lavoro per la difesa.
L’avvocato ha poi spiegato la cosiddetta “detenzione amministrativa” in vigore in Israele che prevede un rinnovo della pena carceraria di sei mesi in sei mesi, anche senza capo d’accusa.
Dalle istituzioni italiane non si è ancora avvertita nessuna costernazione o sentimento di sdegno e solidarietà.
Roma dovrebbe impegnarsi per il ritorno di Khaled con la stessa determinazione e coraggio con cui ci si è battuti per il rilascio di Zaki.