Largo ai giovani. I giovani da sempre ribelli, quelli che dicono sempre no, quelli ai quali la protesta scorre nelle vene. Si perché la paura era che i nostri ragazzi avessero perso quella scintilla di disubbidienza insita nella natura di un ragazzo sano.
Di Ramona Castellino
La forte preoccupazione era venuta non vedendo partecipazione da parte dei ragazzi a tutte le proteste popolari di libertà dell’era covid, a tutela dei diritti di ogni singolo cittadino italiano, dove a scendere in piazza al grido “lavoro e libertà” erano state persone sicuramente non più giovanissime e quindi il dubbio che i nostri figli fossero ormai completamente persi, appartenenti già a quel nuovo mondo auspicato nel progetto del Great Reset e della nuova figura di uomo sognato e scritto nell’agenda di Davos nonostante fossero stati tra i più vessati, più isolati, ci era venuto forte e chiaro.
Soprattutto quando l’avvento del ricatto del green pass non aveva trovato nessuna resistenza, ma un’imbarazzante condiscendenza da parte di zelanti giovani, vogliosi di apparire “buoni cittadini”, ubbidienti e resilenti, che per una lezione in palestra o un aperitivo, si erano accalcati davanti agli hub vaccinali.
Invece per nostra fortuna eccoli, i ragazzi, finalmente a far sentire la loro voce, a gridare la loro insoddisfazione.
Lo fanno bloccando strade per ore, impedendo ad altri cittadini di recarsi a lavoro, interrompendo eventi sportivi, vandalizzando opere d’arte nelle strade e nelle mostre.
Queste azioni, vengono prontamente riportate da stampa e tv, dando alle loro proteste la cassa di risonanza che meritano ed anche una strana e non criminalizzante comprensione.
Sicuramente il nostro presente e il nostro futuro non sembrano favorire questi “dissidenti” che di motivi per protestare ne hanno davvero tantissimi.
Dall’occupazione, ai salari, dalla scuola al diritto all’abitare, da una guerra scellerata, che il nostro paese sta appoggiando, ai rincari che stanno portando le famiglie ad un impoverimento senza precedenti, per la pace.
Nessuna delle motivazioni sopra indicate sono invece il motivo della rabbia e allora ci chiediamo per cosa mai lottano questi ragazzi indomiti?
Presto detto. Questi nuovi “guerrieri”, sulle orme della ormai sovraesposta Greta, si battono contro i cambiamenti climatici e vengono battezzati “i nostri figli guerrieri del clima”, perché vandali idioti sembrava brutto.
Peccato che a muovere le loro gesta non sia un profondo senso di giustizia, di verità e di uguaglianza sociale, ma come ormai è consuetudine, il vile denaro, muovendosi come marionette nel perimetro del dissenso che viene loro concesso e a patto che lo facciano per le ragioni dettate dallo stesso stato che accusano.
Seguendo il profumo dei soldi possiamo vedere come dietro le loro azioni ci sia una regia precisa, che ne esalta e finanzia le gesta, diventando lo strumento di chi al collo ha già messo loro le nuove catene, in nome di una nuova ed ennesima emergenza e cioè quella climatica.
Annusando arriviamo a Beverly Hills, nella sede dell’organizzazione “no profit” chiamata 501C e al Climate Emergency Found.
Attraverso organizzazioni come questa, vengono preparate, sostenute e pubblicizzate le attività degli attivisti, preparandoli, grazie anche ad una rete di contatti internazionali e scegliendo quali di queste proteste finanziare prevedendo anche eventuali spese legali, fino ad un ammontare di 80.000 dollari a gruppo.
Dal 2019 solo questa organizzazione ha finanziato 94 organizzazioni, con oltre 22.000 attivisti e oltre 1 milione di attivisti mobilitanti.
Tutto questo fiume di denaro ci porta casualmente ad illustri nomi come ad esempio il regista premio oscar Adam Mckay, o Aileen Getty ereditiera della famiglia di petrolieri Getty, che tra trascorsi di droga e Aids, mette a disposizione i miliardi di famiglia attaccandosi al petto la nota medaglia di “filantropa” per arrivare a Rory Kennedy, figlia del democratico Bob Kennedy.
La lista è molto lunga, quasi tutti i membri del gruppo provengono e orbitano nell’ambiente del cinema e dello spettacolo, quindi non stupisce la grande sceneggiatura di cui gli attivisti diventano attori.
Attori e strumenti di un piano preciso che in nome della nuova emergenza climatica, stravolge le nostre vite, tra cavallette a pranzo, giri in monopattino e piani energetici coatti per le abitazioni private che come fine unico hanno solo quello di renderci tutti più poveri, di spogliarci delle nostre culture, delle nostre tradizioni, a favore di un essere gender, fluid, senza terra, senza fede, rimbecillito davanti a Netflix, a guardare quello che è stato deciso sia giusto da guardare e a pensare secondo un pensiero unico dominante, per diventare finalmente quell’uomo nuovo sognato e deciso dai grandi potenti della terra, intorno ad un tavolo e dove si è stabilito che il vecchio mondo, come noi lo conoscevamo, non debba più esistere.
Peccato che i nostri ragazzi siano caduti in questa trappola, diventandone strumento attivo e non pensante, dimostrando già di appartenere al post Great Reset, a quel trans umanesimo discusso proprio in questi giorni a Davos dove, mentre loro giocano a fare i ribelli in monopattino elettrico, imbrattando magari qualche statua,
Oltre 200 jet privati, che di green o di filantropico non hanno davvero nulla, scaricano loschi e miliardari figuri che hanno deciso il mondo che verrà.
Largo ai giovani…