di Giuseppe Provenzale
Credo sia necessario comprendere – guardando, perché è altrettanto necessario farlo, ahimè, al di là delle umane, moderne tragedie – che l’ideologia delle quote e delle innumerevoli “specie” protette è fallimentare e molto pericolosa.
Fallimentare, perché profondamente divisiva nei confronti di quella che essi stessi chiamavano “opinione pubblica” – oltre che controproducente proprio nei confronti degli interessi delle suddette “specie” – e assai pericolosa perché contiene in sé il seme dell’imitazione ad oltranza e senza limiti, che non può che condurre alla moltiplicazione senza fine di innumerevoli categorie con il corredo di inevitabili contrapposizioni sociali tra questi e quegli altri in un’atmosfera che ricorda quella di un grande, grottesco “Ciao Darwin”.
Bisogna capire che definire e punire la gravità dell’omicidio di un essere umano in base al sesso della vittima – e di conseguenza dell’aggressore – (oltre che dietro la spinta di una battente campagna mediatica) è solo l’esasperazione di un concetto sacrosanto, per altro molto malamente interpretato: il corretto, commisurato esercizio della giustizia quando si tratta di punire chi offende, spesso fino a procurarne la morte, una persona in condizione di particolare difficoltà o impossibilità a difendersi per ragioni fisiche e/o psicologiche, pensiamo ad un anziano o a un bambino (si guardi come tragico esempio quello francese).
Si tratta di quella particolare condizione di inferiorità dell’essere umano aggredito che costituisce già pesante aggravante nella pena commisurata al reato – e in quest’ultimo campo nulla vieta di intervenire nelle sedi opportune e deputate – e costituisce, inoltre, motivo di tradizionale riprovazione – retaggio sempre presente di un sano e naturale buon senso comune, ben sviluppato dal Cristianesimo – persino in ambienti come quei bracci carcerari che ospitano gli assassini.
Scavando più in profondità, infine, non può non essere presa in considerazione la questione – che, per, tuttavia, semplificare, definirei post sessantottina, matrice Scuola di Francoforte – relativa alla cosiddetta rivoluzione sessuale e al diffuso nichilismo di fondo che la permeava.
Il cosiddetto femminismo fu lo strumento utile a demolire lo stesso ruolo dell’uomo come tale e come padre, a delegittimarne la funzione guida; oggi a ciò si aggiunge l’ulteriore spinta svelata dall’utilizzo sempiterno dell’espressione “società patriarcale” applicata alla realtà dei nostri tempi che tutto è fuorché patriarcale.
Del resto, non dovrebbe essere impossibile comprendere, per chi è un minimo addentro a cose niente affatto segrete, che, ad esempio, la medesima ideologia della “specie protetta” si applica, e si vorrebbe ulteriormente applicare, nei confronti delle variamente colorate sfumature di un usurpato arcobaleno.
Riequilibrare ruoli e rapporti tra i sessi è l’unico modo per affrontare un problema che coinvolge nei fatti, e uccide, vittime e carnefici, senza dimenticare le famiglie, e che è senza dubbio sintomatico di un degrado sociale fondato su quello individuale.
Ritorno al reale, credo sia ancora la formula giusta. Delle modalità possiamo parlarne, ma penso a riadattati modelli ripresi da epoche antiche assai vituperate.