Alessandro Cavallini
Ci sono due parole tra loro simili, con la stessa lettera iniziale e spesso considerate tra loro quasi sinonimi: ribellione e rivoluzione.
Eppure, ad uno sguardo più attento, non è proprio così. Anzi, le due parole in realtà rappresentano due modalità completamente opposte di opposizione allo status quo.
Il ribelle, di solito, è tale in quanto si oppone in contrapposizione a qualcosa o qualcuno.
Il rivoluzionario, al contrario, non si oppone ma propone.
Facciamo alcuni esempi chiarificatori.
Il ribelle è sempre pronto a scendere in piazza contro le ingiustizie del momento e/o per denunciare qualcuno o qualcosa. La sua presenza è molto importante poiché dimostra che vi sono ancora persone che non subiscono passivamente le azioni del potente di turno e che sono pronte a lottare. Il problema, però, è che spesso la sua attività si ferma qui. Fondamentalmente, al di là di quello che può pensare il ribelle di sé stesso o di come possa apparire a prima vista, nei fatti si comporta da reazionario: semplicemente reagisce alle malefatte altrui, le contesta ma quasi sempre si ferma lì.
Ma per incidere nella realtà, è necessaria non solo la protesta ma anche la proposta.
Ed è quello che fa esattamente (o almeno dovrebbe farlo…) il rivoluzionario.
Ma questa figura, purtroppo, oggi sembra essere quasi scomparsa dagli orizzonti politici di quasi tutto il mondo cosiddetto occidentale.
Ed è proprio da qui che dovrebbe ripartire chi volesse realmente cambiare lo status quo cioè, appunto, rivoluzionarlo.
Pensiamo ad esempio a quanto successo durante l’emergenza pandemica.
In molti sono scesi nelle piazze (e purtroppo finiti anche nelle patrie galere) per opporsi a quella che è stata chiaramente una dittatura. Però non si è preso spunto da quella situazione per proporre un’alternativa.
(Ad eccezione di Dsp e del Sovranismo Popolare, teoria politica figlia di quella stagione che oggi trionfa in molte parti del mondo e che inizia a crescere anche in Italia. Ndr).
Come abbiamo scritto, la liberaldemocrazia in quel frangente ha dimostrato la sua vera natura totalitaria andando a punire tutti coloro che si ribellavano alle varie imposizioni dettate dall’altro.
Per questo motivo, sarebbe stato importante proporre una forma di democrazia alternativa a quella liberale. Per esempio quella partecipativa, in grado di dare maggiore possibilità di scelta ad un popolo realmente sovrano e non suddito com’è nell’attuale Sistema capitalistico.
Oppure pensiamo al fenomeno immigratorio. Oltre che scendere in strada per opporsi allo stesso e lanciare slogan contro le deleterie politiche immigrazioniste degli ultimi decenni, si potrebbe proporre una raccolta di firme per chiedere direttamente al popolo italiano cosa ne pensi dell’immigrazione, se sia disposto a continuare a subirla e nei numeri esorbitanti con cui il fenomeno si sta sempre più allargando nelle nostre società.
Per non parlare del mondo del lavoro che sembra essere tornato alle modalità schiavistiche dell’Ottocento in virtù della visione capitalistica unicamente indirizzata al profitto.
Anche qui si potrebbero predisporre opzioni alternative con le quali mettere al centro dell’attività d’impresa il lavoratore e non il Capitale.
Sono solamente piccoli e banali esempi per dimostrare come, nonostante la narrazione oggi dominante dica il contrario, ci siano ancora spazi nelle società postmoderne per ipotesi rivoluzionarie.
Si tratta però di cambiare atteggiamento da parte del mondo “radicale”.
Meno urla e più proposte, unica strada per arrivare realmente alla rivoluzione o, quanto meno, per tentare di dirigersi verso la stessa.
Così facendo, inoltre, sarebbe possibile anche instaurare un rapporto diretto ed organico con il popolo, stufo di decenni di chiacchiericcio sterile da parte dei politicanti di turno, ed in attesa di qualcuno che proponga una reale alternativa che non sia la solita pagliacciata di finta opposizione modello Cinque Stelle.
Il cammino è lungo ed impervio ma se non iniziamo a percorrerlo, la vetta sarà sempre distante ed irraggiungibile.