di Fabio C. Maguire
Nella notte un raid dell’esercito israeliano ha colpito il villaggio di Jenin, in Cisgiordania.
Una vasta operazione che ha coinvolto centinaia di militari supportati da droni kamikaze che hanno attaccato deliberatamente centri e abitazioni civili.
Nel corso dell’incursione si sono registrati diversi scontri a fuoco in cui hanno perso la vita sette ragazzi palestinesi.
Si tratta dell’ennesima operazione militare di Tel Aviv nell’insediamento di Jenin da gennaio, al centro di una crescente spirale di violenza che ha coinvolto tutta la Cisgiordania.
Il Ministero della Salute palestinese ha informato che nel corso degli incidenti sette persone sono state uccise e oltre trenta sono rimaste ferite.
Durante le operazioni l’esercito israeliano ha colpito una moschea, spacciata da Tel Aviv come centro di comando per i combattenti palestinesi nell’ambito di quello che viene definito “un ampio sforzo antiterroristico volto a distruggere le infrastrutture e impedire ai militanti di utilizzare il campo profughi come base.”
L’attacco è stato un vero massacro come testimoniano anche le parole di un infermiere che ha definito quello che sta succedendo nel campo come “una vera e propria guerra”.
Khaled Alahmad ha raccontato che “ci sono stati scioperi dal cielo che hanno preso di mira il campo, ogni volta che entriamo, circa cinque o sette ambulanze e torniamo pieni di persone ferite”.
Nel frattempo il dirigente della Jihad Islamica Ziad Nakhalah ha dichiarato che davanti all’orribile aggressione sionista, l’Ayatollah Khamenei in persona ha dato l’ordine di armare la Cisgiordania, rafforzando i profondi legami e la solidarietà di Teheran alla resistenza palestinese.
Tensioni si sono registrate anche al confine con il Libano, dove il primo ministro israeliano ha minacciato ritorsioni militari contro Hezbollah, reo di aver organizzato un campo militare in territori rivendicati dal regime di Tel Aviv.
La risposta del movimento libanese è stata inequivocabile che ha dichiarato di non intendersi ritirare.
Movimenti di centinai di combattenti sono stati registrati al confine con la Cisgiordania come possibile rappresaglia per l’ultimo sanguinoso raid militare di Tel Aviv.
La situazione, secondo i reporter locali, rimane molto tesa come ribadito anche dal Ministro dell’Energia, e membro del gabinetto di sicurezza, israeliano Israel Katz che ha dichiarato che “un’operazione non finisce in un giorno” e che sarebbe durata per tutto il tempo necessario.
Ulteriori incidenti potrebbero verificarsi nei prossimi giorni.