L’approccio marxiano alla storia è dialettico, presupponendo lo sviluppo dinamico delle correlazioni fra i principali soggetti del divenire storico.
Di Aleksandr Dugin
Questi due soggetti furono definiti da Marx come Lavoro e Capitale.
Marx considerò il Lavoro come l’impulso creativo costruttivo, come l’asse centrale della vita e del movimento, come un principio positivo, solare. Impiegando espressioni darwiniane immaginifiche, il Marxismo afferma che “il Lavoro creò l’Uomo dalla scimmia” […]
Il Lavoro, secondo Marx, è un principio positivo, luminoso. Estraneo all’etica della Bibbia, dove il lavoro rappresenta il risultato della Caduta e di una sorta di dannazione di Adamo per aver violato i comandamenti divini (una simile attitudine nei confronti del Lavoro è caratteristica anche di altre tradizioni religiose), Marx senza dubbio proclamò il carattere sacro, integralmente positivo del Lavoro, la sua natura primaria, il suo carattere di valore in sé, autosufficiente.
Ma nel suo stato primordiale il Lavoro, in quanto impulso primario allo sviluppo e punto di partenza della Storia (al pari dell’Idea Assoluta di Hegel) non realizza ancora se stesso, non riesce a conseguire la completezza della sua inerente natura luminosa.
Per raggiungere ciò, è necessario il lungo e complesso processo di movimento attraverso i labirinti della dialettica storica. Solo dopo prove tremende e terribili fatiche, il Lavoro sarà in grado di pervenire al suo stato trionfante, vittorioso nel corso di una serie di autonegazioni dialettiche, divenendo completamente cosciente, felice e libero.
L’uomo divenne uomo dopo essersi calato nell’elemento del Lavoro.
Ma diviene uomo completo solo dopo che sia capace di realizzare il valore assoluto di quell’elemento, liberandolo da tutte le impurità del principio negativo – ossia nell’epoca del comunismo.
Qual è dunque, secondo il Marxismo, il polo negativo? Che cosa si oppone alla natura luminosa del Lavoro?
Marx lo chiama “sfruttamento”, e istintivamente svela la forma suprema e perfetta di tale sfruttamento nel Capitale.
Capitale è per il Marxismo il nome del male del mondo, del principio oscuro, del polo negativo della storia.
Il Capitale non compare improvvisamente, esso si palesa gradualmente via via che gli strumenti ed i meccanismi dello sfruttamento dell’elemento luminoso del Lavoro da parte della forze oscure degli usurpatori si perfezionano.
Lo sviluppo del Lavoro contribuisce allo sviluppo dei modelli di sfruttamento.
Il lavoratore primordiale è il germe del proletariato industriale.
L’élite tribale è il germe del Capitale. Con il trascorrere dei millenni della storia umana, i due soggetti del dramma mondiale pervengono al loro stato di massima purezza, di piena realizzazione, nel quale si riassumono tutti gli stati precedenti.
Il proletariato, in quanto classe, è l’incarnazione del risultato dello sviluppo economico e storico dell’elemento Lavoro, e la borghesia concentra in sé il polo assoluto, più perfetto, completo e cosciente del puro sfruttamento.
Il polo luminoso conclude la sua tragica traversata lungo i labirinti dell’alienazione, il polo oscuro si avvicina alla sua completa vittoria. Il Proletariato e il Capitale. Il Puro Lavoro, ossia il proletariato che non ha proprietà (“tranne le proprie catene”) – il Puro Capitale, trasformatosi da ciò che è posseduto a ciò che possiede, nell’elemento della Pura Alienazione, dello Sfruttamento Assoluto.
La formula suprema e perfetta del Capitale è, secondo Marx, l’economia politica liberale inglese – specie il “libero scambio” ed il “mercato universale” di Adam Smith e dei suoi seguaci.
Ma, a controbilanciarla, viene formandosi il corpo dottrinario della classe lavoratrice stessa.
Marx proclamò una sorta di “Vangelo del Lavoro”. Affermò che il Lavoro, giunto al punto di svolta della sua storia politica ed economica, divenuto il Puro Lavoro, avrebbe dovuto temporaneamente realizzare se stesso e la sua storia, iniziare a svolgere la funzione di uno solo dei due poli teleologici della storia, svelare il meccanismo dell’inganno e dell’alienazione alla base di ogni sfruttamento, smascherare la funzione negativa, vampiresca, di minus, del Capitale (con la spiegazione della produzione di plusvalore e della logica dell’espropriazione) e condurre a termine la Rivoluzione proletaria, che avrebbe rovesciato il Capitale, gettandolo nell’abisso della non-esistenza, e sradicato il male del mondo.
Alla soglia del terzo millennio, possiamo affermarlo, il Capitale ha sconfitto il Lavoro, si è dimostrato capace di sottrarsi alla Rivoluzione imminente, dissolvere la compiuta manifestazione storica del Lavoro quale soggetto rivoluzionario, sventare il pericolo del concentrarsi della filosofia proletaria in una concezione del mondo unitariamente e compiutamente strutturata.
E tuttavia il Lavoro, ispirandosi a Marx, ha tentato di ingaggiare “l’ultima e decisiva battaglia” con il suo primordiale nemico. Il Lavoro è stato sconfitto, ma il fatto della grande battaglia non può essere negato.
Questa battaglia costituisce niente meno che il contenuto principale della storia politica e sociale del ventesimo secolo. Tutto è avvenuto secondo la previsione di Marx, eccetto l’esito diverso, e sfavorevole. Il male del mondo ha vinto. Il minus si è rivelato più forte e più scaltro del plus. Il Capitale, assunta la forma di soggetto, ha dimostrato la sua superiorità rispetto al Lavoro, anch’esso fattosi soggetto.
Questa vittoria del Capitale sul Lavoro mostra inoltre l’alto grado di consapevolezza di quel polo storico, che ha saputo, costantemente e coerentemente nel tempo, mantenersi aderente al suo obiettivo primario e che è pronto a trarre insegnamenti dai modelli concettuali e dalla prassi del nemico – studiandone ed ammettendone nella pratica modelli e paradigmi, rivelati dal genio rivoluzionario, a fine di prevenzione.
Il Capitale in quanto soggetto si è rivelato non solo più forte, ma anche più intelligente del Lavoro in quanto soggetto. Esso non ha consentito la piena realizzazione storica dello “spirito-fantasma-ombra del comunismo”, condannandolo a restare fantasma in perpetuo.