DOCERE ET DECERE
Prof.ssa Vincenza Nassa
INSEGNARE NELLA CORRETTEZZA
“Fino a che punto, Catilina, abuserai della nostra pazienza? Quanto a lungo ancora questo tuo furore si prenderà gioco di noi? Fino a che punto la tua sfrenata audacia si spingerà?” (Cic. Cat. I, 1).
Sono passati parecchi anni dall’8 novembre del 63 a.C., giorno esatto in cui Marco Tullio Cicerone pronunciò di fronte al senato romano la prima delle quattro orazioni contro Lucio Sergio Catilina, eppure il carico emotivo e morale delle sue parole risuona ancora ai giorni nostri, seppur in contesto politico completamente diverso. Non parliamo più del senato romano che Catilina mette sotto pressione, ma l’intero popolo italiano, sia come insieme di cittadini sia come classe di lavoratori.
In Italia, in cui la forma democratica ormai è solo un pallido ricordo, coloro che non si sono piegati alle ingiuste minacce di chi governa hanno subito ogni sorta di discriminazione e vessazione. “Così grande è l’ira nel cuore dei Celesti?”, scrisse il poeta. Affatto. Semplicemente colpevoli di non aver obbedito alle ingiuste leggi di un governo tirannico.
Tralascio di enumerarle, perché l’elenco sarebbe troppo lungo e perché l’ingiustizia ormai è giunta anche agli occhi di coloro che non vogliono vedere. Vorrei soffermarmi, invece, sui docenti, alla cui categoria appartengo anche io. L’insegnamento non è solo un lavoro, ma è anche una missione. Il docente dovrebbe insegnare (attraverso l’arte della comunicazione) e avere un certo decoro (dando l’esempio).
Questi stessi docenti, che ancora sentono il senso del dovere, prima sono stati allontanati dal loro lavoro senza stipendio, dopo sono stati assegnati ad altri compiti, che non hanno niente a che vedere con l’insegnamento, costretti a lavorare il doppio delle ore ogni settimana, con lo stesso stipendio, rispetto a quanto stabilito nel contratto di lavoro. Qual è stata la causa di questo infame e ingiusto scempio? Il rifiuto di un farmaco sperimentale, dicono; in realtà, la volontà di resistere a leggi che non sono leggi, la volontà di opporsi ad un sistema che non ha una logica, la volontà di difendere, con coraggio e valore tipici della gente italica, la Costituzione della Repubblica Italiana, che sancisce la libertà di scelta del singolo individuo e che non permette che esso venga sacrificato per il bene comune. Ma chi sconterà le conseguenze di tutto ciò? Lo vedremo a tempo debito e tra non molto tempo… Intanto, chi come me, paga il prezzo per non avere un prezzo, continuerà ad essere immotus nec iners[1], come diceva il famoso poeta latino Orazio, nell’attesa che venga fatta giustizia.
Vincenza Nassa
(docente inadempiente e cittadina disobbediente)
Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?
Aliquantum tempŏris intercessit ex die sexto ante Idus Novembres anno DCXCI (sescentesimo nonagesimo et uno) ab Urbe condĭta , dies exactus quo ante senatum Romanum primam ex quattuor orationĭbus in L. Sergium Catilinam M. Tullius Cicero pronuntiavit. Se tamen eius verba, plena onĕris animi quod facĭle mentes commovet, his temporĭbus, etsi in diversis rei publicae condicionĭbus, adhuc resonant.
Non dicĭmus iam de senatu Romano cui Catilina instat, sed de cuntō populō Italicō, et sicut civitate et sicut industriōrum operosōrumque hominum numerō. In natione Italicā, in quā imperium popŭli iam pallĭda memoria est, ii qui civitatis rectorum iniustis minationĭbus non se flexērunt, omne genus discriminĭs et vexatiōnis passi sunt. Tantaene animis caelestibis irae? , poeta scripsit. Omnīno. Simplicĭter noxii fuērunt iniquīs legĭbus imperii tyrannici non obtemperandi… Omitto eas recensēre, quoniam ipsōrum index nimis longus sit et quoniam iam iniūria etiam ad oculīs vidēre nolentĭbus pervēnit. Animun autem in magistros, in quōrum numerō etiam ego ascripta sum, intendĕre velim. Institutio non tantum opus, sed etiam munus est. Magister docēre (arte dicendi) et decēre (exemplum praebendo) debeat, ut discentes educi et meliores se ipsos efficĕre possint.
Hi ipsi magistri, qui usque ad hoc tempus officii sensum sentiunt, antea ab eorum opere sine stipendio abducti sunt, postea adsignati sunt aliis muneribus, quae minĭme pertinent ad docendī et erudiendī artem, coacti laborandī geminatas horas octāvo quoque die, non variata mercede, pro quanto quod statutum erat opĕris pactione. Quae fuit causa tanti infamis et infandis sceleris? Recusatio medicamenti quod experiendo fit, dicunt; verum tamen voluntas resistendi iis legĭbus quae leges non sunt, voluntas oppetendi eam rationem cui ratio non est, voluntas defendendi, animo atque virtute Italicae gentis, Italicae Rei Publicae Constitutionem, quae sancit eligendi optionem signuli hominis et quae non concedit ut is immoletur communi utilitati. Sed quis poenas expendet isto scelere? Id cognoscemus in tempŏre et brevi tempŏre… Interea, qui, similis mei, pretium pendi, quia pretium non habet, non desinuit esse immotus nec iners, sicut dicebat clarus poeta Latinus Q. Horatius Flaccus, ut ius obtineatur.
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