Per rispondere a questa domanda, tenendo presente il tema dell’incontro a porte chiuse, bastano poche parole: il prossimo teatro di guerra.
Lorenzo Maria Pacini,
Pochi giorni fa si è tenuta a Trieste una riunione segreta a cui hanno partecipato autorità di vario tipo: membri della NATO, membri dell’Atlantic Council, membri del think tank ungherese Danubio legato a Viktor Orbàn, membri dell’entourage di Donald Trump, membro delle Forze Armate e di polizia italiane, rappresentanti del governo cittadino e rappresentanti della massoneria locale. Questa informazione non la troverete altrove. L’argomento della riunione è stato la militarizzazione del porto di Trieste. Per quale motivo?
Il ruolo strategico di Trieste nella dottrina del Trimarium
Era il 1942: negli Stati Uniti d’America veniva pubblicato un libro destinato a diventare un caposaldo della scienza strategica marittima americana, intitolato America’s Strategy in World Politics, scritto dall’accademico geografo Nicholas John Spykman, uno dei padri della geopolitica a stelle e strisce, allievo spirituale di Sir Halford Mackinder.
Apparentemente, il libro in questione non ebbe successo presso il grande pubblico, mentre divenne una vera e propria bibbia della strategia “via mare” per tutte le potente talassocratiche, introducendo il concetto di Rimland che oggi utilizziamo in geopolitica.
Nel testo si trova un capitoletto dedicato ad un particolare argomento: la Trimarium doctrine, oggi meglio nota col nome modernizzato di Three Seas Initiative (3SI or TSI). Si tratta di una strategia che diventerà la regola d’oro per il mantenimento del potere americano sul continente Europa.
La 3SI, nota anche come la dottrina dei mari Baltico, Adriatico e Mar Nero, viene oggi considerata come una iniziativa strategica a cui partecipano 13 Stati aderenti, ovvero Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, più 2 Stati de facto aggiunti che sono Moldavia ed Ucraina, ed è stata ufficialmente lanciata come progetto nel 2015 per voce del presidente polacco Andrzej Duda e della presidente croata Kolinda Grabar-Kitarovič sotto l’attento coordinamento del Dipartimento di Stato americano.
Una casualità? Decisamente no.
Quando gli americani giunsero in Europa durante la Seconda guerra mondiale, non avendo intenzione di far una semplice vacanza estiva bensì di restarci e stabilire un potere duraturo, dovettero studiare un modo per tenere sotto controllo il continente, non soltanto dal punto di vista militare – cosa ben riuscita grazie all’enorme quantità di basi militari americane diffuse su tutti i Paesi europei – ma anche dal punto di vista finanziario e commerciale, oltre che politico.
In quel momento, l’Europa si trovava in una fase di divisione fra Est e Ovest, fra influenza atlantica e influenza sovietica.
L’Europa centrale o, più precisamente, la Mitteleuropa, era il fulcro geografico su cui stabilire l’esercizio di questo potere. Bisognava trovare un modo per controllare il continente in maniera stabile e duratura, esigenza che si era fatta pressante alla fine del primo conflitto mondiale e con la disintegrazione dell’impero asburgico, vero e proprio cuscinetto geopolitico che aveva attutito non poche frizioni e pretese fra russi, ottomani, tedeschi.
Le geografia politica che si era venuta a configurare con i 14 punti del programma di Woodrow Wilson non bastava per garantire la governabilità. Anche Winston Churchill era ben consapevole della necessità di un blocco solido e impenetrabile dalle potenze ad Est.
Venne quindi lanciata l’idea, di comune accordo fra Churchill e il subentrato Franklin Delano Roosevelt, di trovare una soluzione geoeconomica: con l’aiuto di tre Club federali, il Club di Londra, il Club di Parigi e il Club di Roma, nel 1945 venne pubblicata la Carta Intermarium, un documento elaborato a partire dalle teorizzazioni dell’americano Spykman, che proponeva l’unione di tutti i popoli che dal Mar Adriatico inferiore (Mar Egeo in particolare) fino ai Mari del Nord Europa, con la convinzione che la stabilità della regione fosse di fondamentale importanza per una duratura pace in tutta Europa.
Bisognava in particolare tenere in scacco una serie di porti di enorme importanza, come quello di Amburgo in Germania e quello di Costanza in Romania, e fra cui in particolare il porto di Trieste.
Da allora, la dottrina del Trimarium è stata perseguita con coerenza e determinazione, attraverso vari accordi internazionali multilaterali che hanno coinvolto rotte commerciali, istituti bancari, fondi di investimento e settore strategico. Tutto questo è stato favorito dal crollo dell’URSS, che ha significato un indebolimento significativo delle entità politiche dei Paesi coinvolti nel cuore dell’Europa dell’Est.
Se ci pensiamo, il Trimarium geograficamente crea una sorta di triangolo ad Est, andando a ridosso del confine con la Federazione Russa.
Esattamente ciò che la NATO ha fatto in 75 anni, ovvero espandersi ad Est per provocare ed aggredire la Russia. La prassi è stata coerente con la dottrina.
Di fatto, si tratta di uno strumento di controllo per tutta quella macroregione dei Balcani che sono oggetto di speculazioni, missioni militari e continui problemi politici e sociali, volutamente mantenuta sotto scacco e instabilità.
Il nuovo nome di Three Seas Initiative non varia la geometria strategica del vecchio Trimarium: sono stati aumentati i porti coinvolti ed è stata implementata la presenza militare americana nelle zone di interesse, fra cui la più importante e continuamente sotto l’attenzione degli USA è ancora Trieste. Come mai?
Il porto franco di Trieste e il Territorio Libero di Trieste
Non molti conoscono lo stato giuridico di Trieste, davvero singolare e meritevole di un approfondimento (che non svolgeremo in questo articolo, forse successivamente). Dopo la seconda guerra mondiale, la zona triestina venne designata ad essere uno spazio franco che doveva garantire un equilibrio di potere fra le Potenze contendenti, come spazio demilitarizzato e neutrale, dotato di un governo autonomo e di una coesistenza fra le varie etnie presenti.
Nel 1947 venne siglato il Trattato di Parigi, dove veniva stabilita la pace e venivano assegnate le ripartizioni di influenza fra i Paesi vincitori e quelli sconfitti. Con la 16° risoluzione, viene istituito il Territorio Libero di Trieste (TLT). Nel 1954 il Memorandum di Londra affida l’amministrazione civile provvisoria della Zona A all’Italia e della Zona B alla Jugoslavia. Nel 1975, però, con il Trattato di Osimo, Italia e Jugoslavia stabiliscono un confine tra territori che non possiedono, violando l’autonomia del TLT e il Trattato di Parigi.
Al crollo della Jugoslavia e alla successiva divisione delle terre in più Stati, il TLT si ritrova diviso fra tre Paesi – Italia, Slovenia e Croazia – che lo occupano illegittimamente, violando i Trattati precedenti e scatenando contese, lotte politiche e giudiziarie, scandali e proteste che ancora oggi proseguono.
La cosa più interessante è l’approccio italiano. Trieste è posta sotto occupazione amministrativa e militare, essendovi presenti forse armate e di polizia della Repubblica Italiana… e americane, in quanto l’Italia è una colonia degli USA sotto occupazione militare, come dimostrano le più di 120 basi statunitensi presenti su tutto il territorio.
Proprio a Trieste, gli americani hanno posto la scuola di intelligence dell’ONU e un particolare controllo di polizia, con presente anche l’Eurogendfor, che tiene sotto persistente controllo militare non soltanto la città ma anche le rotte commerciali.
Il porto di Trieste, che dovrebbe essere porto franco internazionale, è il porto per eccellenza che permette l’accesso della Mitteleuropa al Mar Mediterraneo, che si apre sull’Oriente e sull’Africa, con un 73% di convenienza rispetto agli altri porti europei.
La sua posizione è strategica sotto tutti i punti di vista. Ecco perché gli americani hanno voluto prenderne il controllo per realizzare la dottrina del Trimarium.
Governare Trieste e il suo porto significa governare l’Europa del Sud e dell’Est.
Da Trieste fino al Baltico, si crea una linea retta che definisce una “cortina di ferro” immaginaria, ma anche un corridoio nord-sud a livello di gasdotti ed oleodotti, di rotte commerciali terrestri e di singolare amministrazione militare dei territori.
Tutto ciò violando la sovranità del TLT e gli accordi internazionali con cui venne istituito, commettendo un doppio atto di violenza.
Nel frattempo, su Trieste sono intervenuti anche la Cina e la Russia, la prima con importanti investimenti, pesantemente rallentati con la retrocessione dell’Italia dalla Silky Way nella primavera del 2024, la seconda già presente dal periodo sovietico e ora, dopo anni di investimenti, bloccata a causa delle sanzioni europee dal 2022.
La via del Cotone passa per Trieste
Torniamo alla riunione segreta di pochi giorni fa. L’argomento era la militarizzazione del porto, che è già sotto un controllo militare de facto, ma che verrebbe totalmente messo sotto assedio al momento dell’avvio della Via del Cotone da parte dell’Italia. Si tratta di una rotta commerciale alternativa dalla Via della Seta, realizzata con una partnership fra USA, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Israele, Giordania ed Unione Europea, consistente in due collegamenti, uno ferroviario e uno portuale, con fondi del Global Infrastructure and Investiment creato dal G7 nel 2002 e dal Global Gateway dell’Unione Europea. Lo scopo è, appunto, fare concorrenza alla Cina e, in generale, ai partenariati eurasiatici e ai BRICS+, dai quali i Paesi europei sono esclusi in virtù della sottomissione anglo-americana.
A questo corridoio economico fra India, Medio Oriente ed Europa, l’Italia parteciperà in virtù del memorandum firmato nel settembre 2023 proprio tramite il porto di Trieste.
Peccato che la situazione geopolitica europea – per non parlare di quella economica che è totalmente disastrosa per tutti gli Stati del continente – non sia esattamente favorevole: il conflitto russo-ucraino sta durando più di quanto la NATO avesse previsto e ciò determina una forte instabilità in seno proprio al triangolo del Trimarium – dove è stata aggiunto l’Ucraina nel 2023, con la scusa di rafforzarne la indipendenza militare -; la situazione in Medio oriente è uno scempio epocale; l’economia di guerra non ha favorito la ripresa dei Paesi europei, anzi li ha gettati uno dopo l’altro in un lungo inverno di inflazione; l’appoggio internazionale è venuto meno con l’avvento di un mondo multipolare a guida orientale, sgretolando giorno dopo giorno, accordo dopo accordo, l’egemonia americana in tutto il mondo.
Che fare, dunque, del Trimarium e di Trieste?
La militarizzazione di un porto franco internazionale appare come una provocazione ben precisa e congeniata. In violazione del diritto internazionale e con l’uso prepotente della forza, il blocco dell’Atlantico vuole alzare la voce nei confronti di Russia e Cina, cercando di limitarne gli interessi sui territori occupati. Ma, cosa ancor più probabile, ciò che tentano di fare è consolidare quella “cortina di ferro” dal Mediterraneo ai Mari del Nord, in modo da poter gestire (o quasi) l’eventuale disallineamento geografico del conflitto russo-ucraino.
Proviamo ad immaginare il seguente scenario: l’Ucraina cade, la NATO e la sua protesi nota come Unione Europea, costretta a combattere una proxy war suicida, non mollano la presa ed accettano di estendere il conflitto nel cuore dell’Europa. Dove andrebbero a combattere?
Considerando come valido un approccio convenzionale di conflitto, i territori più ottimali sarebbero Polonia e Germania, passando per l’Ungheria.
Arrivare già fino alla Germania, però, vorrebbe dire far collassare la Deutsche Bank, già in terribile crisi, che è la prima fonte di flusso danariale per la Banca Centrale Europea, e questo non è ammissibile perché farebbe implodere il sistema politico UE e l’Euro come moneta, con disastrose conseguenze per il già martoriato dollaro.
Bisogna pertanto respingere il nemico e tenerlo oltre un certo confine. Da Trieste al Nord, dunque, serrando la Mitteleuropa con l’ausilio di Moldavia e Romania, è possibile stabilire un teatro di battaglia circoscritto e gestibile, già denso di presenza militare NATO da decenni ed in costante aumento negli ultimi anni, con esercitazioni e scuole di guerra in Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania che stanno preparando i soldati allo scontro con la Russia. Si tenga presente che la Croazia ha reintrodotto il servizio di leva obbligatorio e che l’Italia lo farà a breve, come già è in discussione in Parlamento da mesi.
Cosa diavolo sta succedendo a Trieste? Per rispondere a questa domanda, tenendo presente l’argomento della riunione a porte chiuse, bastano poche parole: il prossimo teatro di guerra.
E non verranno certamente a chiederci il permesso per cominciarla.
Lorenzo Maria Pacini. Professore Associato in Filosofia Politica e Geopolitica, UniDolomiti di Belluno. Consulente in Analisi Strategica, Intelligence e Relazioni Internazionali
Fonte: https://strategic-culture.su/news/2024/08/21/what-the-hell-is-happening-in-trieste/