(Urge organizzare la resistenza. Ndr)
E’ necessario distinguere nettamente fra il processo rivoluzionario, dai moti insurrezionali caratterizzati dall’assenza di una visione politica complessiva, da uno “spontaneismo” distruttivo che alla fine danneggia i subalterni e gli stessi insorti e da una furia cieca che esclude il perseguimento di obbiettivi razionalmente stabiliti.
Lo “spontaneismo” nutrito da una rabbia non dominata e diretta verso obbiettivi propriamente rivoluzionari è la tomba di ogni vera possibilità di cambiamento, non avendo mai scalfito i sistemi di potere e di repressione esistenti e non avendo mai colpito in modo significativo gli interessi dei dominanti.
L’insurrezione non richiede, infatti, la precisa individuazione del Nemico da affrontare, esplode d’improvviso senza attendere la maturazione di condizioni storiche favorevoli, non ha alle spalle un vero processo di elaborazione teorica, un lavoro di analisi necessario per interpretare la realtà fuori degli schemi sistemici, individuando un percorso storico alternativo, nella confutazione piena delle teorie dominati, e non fonda il consenso su ideologie alternative legittimanti.
L’insurrezione non richiede il consenso dei subordinati, la loro adesione profonda e razionalmente decisa, ma origina direttamente dal dato emotivo, essendo il riflesso sociale dell’esplosione improvvisa di una rabbia a lungo compressa, e l’adesione dell’insorto non può essere per tale motivo che l’adesione puramente irrazionale di chi non si interroga sugli esiti possibili delle sue azioni e non persegue degli scopi prestabiliti.
Di fatto, l’insurrezione è la via percorsa da chi risponde alle iniquità al di fuori di uno specifico progetto di cambiamento politico e sociale, pur cruento quanto e più dell’effimera fase insurrezionale, è la risposta all’”ordine costituito” e ad un livello intollerabile di oppressione di colui che rifiuta sia la realtà impostagli sia la sua comprensione, oppure è una mera occasione di sfogo per violenti patologici, ed è per questo destinata ad esaurirsi lasciando dietro di sé macerie fumanti, oppure a sfociare in un caos endemico.
L’insurrezione è l’esatto contrario delle aspirazioni di chi milita coscientemente in una forza rivoluzionaria, appartiene perciò ad un “modo di sentire” anarcoide, che fonda la totalità della sua azione sulla pars destruens, ignorando la necessaria e complessa pars constuens o lasciandola al caso, o è già implicita e latente nella rabbia, cieca e implacabile, delle pericolose e ingestibili sotto‐classi urbane.
L’insurrezione è altresì la fallace, apparente alternativa al percorso rivoluzionario in assenza di una vera coscienza di classe dei subalterni, in assenza dell’aspetto soggettivo coscienziale che anima lʹoggetto‐classe, elemento “muto” sociale se privo di consapevolezza, e rappresenta quindi un mancato passaggio, da intendersi propriamente nei termini hegeliani, da l’In Sé al Per Sé.
La rapida e scomposta mobilitazione di forze antagoniste, o in certi casi apparentemente antagoniste perché espressione della triste incoscienza di nuove e antiche sotto‐classi urbane, che l’avvio insurrezionale comporta, avviene nella più completa cecità tattica e strategica, alimentando distruzioni visibili ed invisibili che colpiscono inevitabilmente i più esposti, i subordinati, i dominati, e porgendo il destro ai sistemi di potere per mettere in campo i loro apparati repressivi più tradizionali.
Flavio Viriato