L'Italia Mensile

Contro la guerra… senza essere “pacifisti”

di Giuseppe Provenzale

Nell’Occidente ormai scristianizzato, persino la stessa dimensione verticale pare essere del tutto assente. Poco o nulla di logico e/o naturale viene affermato e profondamente compreso di fronte ai temi fondamentali: vita o morte, guerra o pace non fa differenza alcuna; tutti, in astratto, si dicono senza difficoltà a favore della vita contro la morte o della pace contro la guerra, ma, entrando nel merito delle singole questioni, abbondano i distinguo e le eccezioni e non sempre vengono percepite esattamente le contraddizioni di quello che è davvero il risultato di un brain washing in grande stile, nemmeno da chi Oltretevere ne avrebbe, direi “per definizione”, gli opportuni strumenti.

Per illustrare, quindi, con la maggiore semplicità possibile una posizione favorevole ad un futuro di pace e cooperazione tra i popoli nell’ambito di un mondo ormai multipolare – che non possa essere confusa, dunque, a certi riflessi arcobalenpacifinti di pavloviana memoria – è necessario preventivamente precisare che, pur nel corso della sua storia millenaria, nemmeno la Chiesa ha mai assunto, se non in ambienti marginali e/o ereticali, posizioni “pacifiste” di principio.

Senza addentrarmi al centro del lungo e animato dibattito sui concetti di ‘guerra giusta’ o ‘guerra difensiva’ (cito a quest’ultimo proposito solo l’esempio delle Crociate, precedute dall’invasione islamica dei regni cristiani di Terra Santa) via via definiti, mi limito ad osservare che fino a pochi decenni fa nei residui palazzi vaticani, alla luce dell’evoluzione tecnologica della guerra, ci si confrontava proprio su questi temi. È necessario risalire ai tempi non lontanissimi delle scuse di Giovanni Paolo II per le già menzionate Crociate per imbattersi in una posizione ufficiale sull’argomento che pare essere diventata antimilitarista come un tempo solo negli ambienti socialisti era consueto riscontrare, giungendo infine a dover constatare la poco cristiana conseguenza – una sorta di odierna eutanasia della verità di fronte alla cosiddetta verità fattuale di machiavellica impronta – che perfino il deposito della fede sarebbe soggetto alle darwiniane leggi di un’inarrestabile evoluzione o, cosa non molto differente, di una presunta “tradizione vivente”, sposa (in)fedele per definizione di un pensiero fin troppo infiltrato dalle idee di certi filosofi acattolici, quando non anti cattolici addirittura. Ma quest’ultimo sarebbe, forse, un altro discorso che non è qui il caso di intraprendere…

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Il linguaggio della guerra e della milizia, al di là di ogni dubbio, è sempre stato, dai tempi apostolici almeno, il linguaggio caratteristico della dottrina tradizionale della Chiesa che – “Militia est vita homini super terram” (1) – proprio al combattimento ha assimilato la condotta di vita del cristiano nel tempo e nel mondo. Il “Dio degli eserciti” è stato da poco emendato dal “Sanctus”, molto più rassicurante un generico “Dio dell’universo”, e la festa dell’Arcangelo guerriero è stata solo recentemente annacquata, riducendo il 29 settembre ad una festa collettiva dei tre santi arcangeli, tutti insieme in tal modo evidentemente sminuiti.

Il fatto è che Gesù stesso disse di essere venuto non per portare la pace, bensì la spada, Gesù stesso – che pure guarisce Malco – non mostrò certo orrore per la spada che Pietro portava con sé e gli ordinò di riporla nel fodero, non certo di buttarla via: “Nessuna religione spinge alla lotta e all’azione così come la religione cristiana: ma si tratta della lotta e dell’azione che non si pascolano certo di miti irrazionali, ma prorompono da una profonda ispirazione morale, e scorrono sulle guide sicure delle verità rivelate da Dio stesso mediante la ragione e la fede” (2). L’attivismo cristiano, si pensi in tempi più vicini anche ai soli sant’Ignazio di Loyola e san Francesco Saverio, per non citare i numerosissimi santi militari di ogni epoca, nulla ha a che vedere con le recenti derive pacifiste; la vita stessa è una guerra e “l’essenziale del cattolicesimo” è d’essere “religione d’incarnazione, di fermento di tutte le strutture temporali e, necessariamente, della politica, essenziale all’uomo naturalmente sociale” (3).

Ma, parafrasando Marx, è forse la Storia stessa una storia di guerre, di continui scontri tra popoli, necessari alla sussistenza e al progresso? O, ancora, si tratta di un fenomeno naturale come, ad esempio, la migrazione stagionale di stormi di uccelli?

“Anche la peste, la fame, la schiavitù, la pirateria sono in definitiva, per la concezione cristiana, sequele della colpa di Adamo, e possono essere in date condizioni storiche insopprimibili; ma non sono per se stesse, sempre, assolutamente inevitabili.

Ciò che è inevitabile nel clima prodotto dalla prevaricazione originaria è il disordine, è il dolore in genere con qualche male singolarmente determinato, quale è la morte: ma non è già inevitabile una peculiare manifestazione del dolore e della sofferenza. […] la lotta fra gli aggregati politici è fatale, ma non per questo è fatale ogni specifica e concreta estrinsecazione di lotta” (4).

In particolare, è illecita, ad esempio, la cosiddetta guerra preventiva, e lo è ancor di più nel contesto di quel mondo multipolare all’interno del quale vogliamo vivere, la guerra però, può essere anche etica.

“ ‹Ego autem vobis dico non resistere malo›. In questo detto e in altri consimili, dice S. Tommaso (Summa Theol. 2, 2, q.40, a. 1), si parla di disposizione d’animo; all’uopo si deve esser pronti a rinunziare alla propria difesa; nel fatto bisogna talora difendersi. È certo lo stesso Gesù Cristo che disse di offrire la guancia a chi ci percote nell’altra, si difese contro il soldato che lo aveva schiaffeggiato di fronte ad Anna. Anche S. Paolo (che evade pure di prigione ndr) si difese quando fu battuto per ordine del capo dei sacerdoti” (5).

Così delineato il perimetro, sarà più agevole addentrarsi in una disamina dell’argomento, seppure necessariamente sintetica e incompleta, con l’accortezza di evitare espliciti riferimenti all’attualità bellica, sarà eventualmente chi legge a muoversi sul terreno di applicazione dell’analisi generale ai casi odierni e particolari.

Guerra e guerre

Non sarà inutile, a questo punto, fare qualche rapido riferimento alla storia della guerra attraverso i secoli, magari per constatare semplicemente che il “progresso” dei tempi più recenti ha maggiormente diffuso dolore, morte e distruzione, non felicità come le sue pizie avevano divinato.

Senza obbligatoriamente dover fare riferimento, per esigenze di brevità, a quelli che Socrate chiamava “Pii Lacedemoni”, nota è però l’esistenza dei Feziali presso gli antichi Romani, la preoccupazione principale cui attendevano i riti del loro speciale collegio sacerdotale era di garantire che la guerra da combattere fosse “giusta” (Bellum iustum), in caso contrario la Pax deorum non sarebbe stata salvaguardata e, in tal modo inimicandosi gli dèi, la Res publica non avrebbe potuto lecitamente sussistere.

Ciò non significava, però, che ferocia e violenza omicida subissero particolari limitazioni e, una volta espletate le formalità di legge, la guerra era comunque giusta – anche a sola difesa del fastigio dell’imperatore, in quest’ultimo caso andava, però, condotta con maggiore moderazione (6) – con la conseguente applicazione di un “diritto di guerra” che poco o nulla teneva conto del valore della singola vita umana o di presunti diritti dei vinti.

È l’oscuro Medio Evo cristiano a limitare in modo considerevole il ricorso alla guerra: “… per quanto frequenti, le guerre erano assai ristrette nel tempo, e gli effetti assai limitati. I combattenti sono volontari e poco numerosi. L’urto bellico avveniva per lo più nelle frontiere, e la vita della nazione non veniva nel suo complesso profondamente alterata” (7).

Sarà la rivoluzione francese ad imprimere una inedita svolta, venne introdotta la leva obbligatoria – anche le altre nazioni finiranno prima o poi per adeguarsi – e viene, mistificandone profondamente il significato, associato alla guerra il carattere patriottico quale nuovo elemento di natura morale.

Con le conseguenze della cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”, morte, devastazione, distruzione e tutti i mali che i conflitti portano con sé sono stati enormemente moltiplicati, subendo, essi sì, una terribile e rapidissima evoluzione: il fine della guerra moderna – lo affermo, servendomi delle parole di Pétain – “è divenuto la distruzione non d’una armata, ma d’una nazione” (8), in questa cornice si inseriscono i due conflitti mondiali che funestarono il ‘900.

“Obedire oportet Deo, magis quam hominibus”

(Act. V, 29)

La dottrina tradizionale non prevede certo la diserzione né assegna al singolo la facoltà di discernimento sulla moralità del ricorso alle armi, sia in generale che nei casi particolari, di fronte a un determinato conflitto armato. Il presupposto, tuttavia, pare da qualche tempo essere nei fatti assai cambiato.

Da Sant’Agostino ai moralisti gesuiti dal ‘500 al ‘700 – questi ultimi, sia detto qui per inciso, autentici iniziatori di quello che oggi chiamiamo ‘diritto internazionale’ – era logico presupporre che la competente pubblica autorità esprimesse generalmente valide ragioni per una chiamata alle armi; in conseguenza di ciò, il singolo individuo si trovava comunque nelle condizioni di non potersi sottrarre, non violando la propria coscienza personale, ad un eventuale appello alle armi.

Seguiamo l’esposizione di padre Brucculeri, ha il merito di evidenziare (il grassetto, a tal proposito adoperato, è mio) le attuali debolezze di una posizione, in tempi non eccezionalmente anomali come sono, invece, quelli in cui viviamo, altrimenti perfettamente condivisibile: “L’individuo benché dubiti della natura morale di una determinata guerra, può senza violare la coscienza, parteciparvi, perché si deve presumere in simile caso che l’autorità competente è la sola che in via normale possegga i dati e le informazioni per giudicare se sia giusta o no la guerra.” (9).

È stato della stessa natura il recente – certamente satanico, per i tempi e le modalità in cui è stato concepito – colpo da maestro del globalismo! Chi non s’avvede che è proprio la generale convinzione prima esposta, in sé sicuramente non sbagliata, ad aver permesso l’operazione reset sanitario/green pass?

In via normale, anche di fronte ad una presunta epidemia dovrebbe essere così come succede di fronte ad una chiamata alle armi. In via normale… Ormai, però, quelli che un tempo era giusto considerare quali casi assolutamente eccezionali – dove la tutela del bene comune sarebbe stata, se rapportata all’eventuale obiezione di singoli o di gruppi, compromessa o messa fortemente in discussione solo in nome dell’egoismo individuale o dell’interesse particolare – vanno presi in seria considerazione come tragicamente “normali” (seppure, grazie a Dio, non lo siano ovunque alla stessa maniera) perché, specie qui in Occidente, e dopo l’esperimento Covid ancor di più, niente affatto eccezionali o, è proprio il caso di aggiungere, così come li chiamano a Davos e dintorni ‘emergenziali’.

Quanto meno legittimo concludere, quindi, pur senza abbandonare la medesima falsariga della sintesi conclusiva esposta da Brucculeri in “Moralità della guerra”, che, di fronte alla palese ingiustizia di un conflitto armato, “… la norma dell’individuo è quella degli Apostoli:‹Obedire oportet Deo, magis quam hominibus›“ (10). E chi ha orecchie per intendere, intenda.

NOTE

1 Job. VII, 1

2 A. Brucculeri: “L’involuzione della civiltà” in “Le dottrine sociali del cattolicismo” – Quaderno VIII, Roma 1943, p. 30

3 E. Innocenti: intervista a Piero Vassallo in “La conversione religiosa di Benito Mussolini”, Roma 2005, p. 334

4 A. Brucculeri: “Moralità della guerra”  in “Le dottrine sociali del cattolicismo” – Quaderno X, Roma 1943, pp. 27-28

5 Ibidem p. 37

6 Cfr. Cicerone: “De Officiis” I, 12

7 A. Brucculeri, op. cit. p. 51

8 In A. Brucculeri, op. cit. p. 52

9 Ibidem p. 61

10 Idem

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