Maurizio Neri
Il comunismo, per come l’abbiamo storicamente conosciuto e per come è oggi rappresentato, non è più possibile pensarlo come forma organizzata (partito, movimento, ecc.).
Questa impossibilità è di transizione.
L’impossibilità organizzativa è da imputarsi non solo (anche soprattutto) all’incapacità di chi ha portato la responsabilità, da cui deriva una mancanza di fiducia politica per tutto ciò che possa avere un ritorno istituzionale.
Questo per una serie di ragioni storiche e filosofiche che investono direttamente nozioni fondamentali quali: “legge”, “volontà”, “necessità”, “insorgenza”, “libertà”, “mutamento”, “comunità”, “innovazione” e “tradizione”.
Il comunismo (in Italia), almeno in questa fase, storico-politica attuale, non può trovare nelle forme organizzative tradizionali la sua concreta affermazione.
Alle tradizionali forme organizzative vi può supplire teoricamente e in pratica la comunità, socialista e resistente.
La comunità è l’unico soggetto insorgente capace di traghettare un’idea di “cambiamento reale” della società capitalista verso il socialismo.
Solo nell’esperienza concreta della comunità insorgente si possono e devono attuare forme di messa in comune di saperi, valori e forme di lotta resistente e respingente che la società cerca di imporre.
La comunità non come fuga, ma come attuazione di un’esperienza storica, che non è storicismo inteso come valorizzazione dell’evento in quanto tale, ma è già una strategia di neutralizzazione dell’evento stesso, una tecnica di esorcizzazione della sua unicità e irripetibilità.
La comunità socialista insorgente può sviluppare quegli anticorpi necessari per resistere e respingere virus letali come: l’opportunismo, il dirigismo, il burocratismo, ecc.
Non si tratta di una totalità da ricomporre, ma una forma universale da scoprire attraverso la comunità delle comunità che vogliono attuare il socialismo.
Finora si è cercato un ripensamento del comunismo.
Ma questo è l’unico esito possibile solo finché si resta dentro l’orizzonte dei modelli autoregolatori.
Bisogna cominciare a riflettere la politica stessa in quanto compito permanente dell’esistenza umana.
Il vuoto nel quale siamo gettati concettualmente, tra una pratica che è colma di macerie ma anche ricca di elaborazioni teoriche e di fatti storici concreti, e il dopo che non si riesce a far emergere, ci impone di riconsiderare prima il nostro rapporto con il tempo e il territorio, e poi quello tra individuo storico, individuo politico e individuo sradicato.
Il tempo storico produce l’individuo storico, colui che pensa il tempo omogeneo e vuoto, e quindi capace di presentare a se stesso l’evento, a prescindere dalla necessità.
Il tempo politico produce l’individuo politico, colui che crede alla forma storica come sufficiente a se stessa, che si sostanzia in quanto materia plasmabile.
L’individuo sradicato non ha tempo e neppure luogo. Vive tutti i luoghi come non-luogo e il tempo come non-tempo.
Può passare dal nichilismo alle forme più insolite di utopismo.
È l’individuo proustiano della ricerca del tempo perduto che né la storia e tantomeno il presente ed il futuro gli potrà restituire.
In queste forme temporali e metafisiche si svolge il lavoro della comunità per l’attuazione del socialismo comunitarista.
È un viaggio da un non-luogo ad un altro non-luogo.
È la transizione che produce attuazione e non l’attuazione che produce transizione.
L’immagine del passato è eterna perché il tempo della transizione è quello del rinvio, della dilazione, del cogliere lo stato d’emergenza come forma d’insorgenza.
Il socialismo allora non è più ciò che è stato, ma come l’esigenza necessitata a ciò che sarà e dovrà essere.
La comunità s’inserisce tra questi due termini.
La transizione tra il socialismo dei socialisti (cioè dei dirigenti) e il socialismo delle comunità (attraverso l’attuazione della transizione) pone dei problemi alle teorie di ogni tipo.
Per il socialismo dei socialisti, l’attuazione della messa in comune non è teoricamente un qui ed ora, ma un tempo a venire, una promessa da mantenere.
Per il socialismo delle comunità, l’attuazione della messa in comune è una teoria della pratica del qui e adesso.
Non vi può essere socialismo futuro o a-venire se non si attuano pratiche comunitarie di socialismo, anche e soprattutto, in regime di capitalismo.m
A questo punto è utile indagare come la transizione è sempre stato un problema dei socialisti e, di conseguenza, per il socialismo.
Un cambiamento significativo nel funzionamento del capitalismo vi è stato, pressappoco, dal 1970.
Cerchiamo di descrivere la transizione in tre fasi.
La prima la possiamo chiamare fase celebrativa del capitalismo, in quanto mette in risalto gli elementi positivi e liberatori della nuova imprenditorialità.
La seconda evidenzia i rapporti di potere e la politica rispetto all’imprenditorialità.
La terza si concentra sulle innovazioni tecnologiche.
In tutti e tre gli aspetti vi è un elemento in comune: niente è mai più come prima. E questa affermazione è rivoluzionaria, in quanto il comunismo è rivoluzionario.
I rapporti sono sempre conflittuali e l’elemento umano è sempre in competizione con la tecnica.
L’innovazione imprenditoriale è la forza trainante del capitalismo, e tende ad interpretare il sistema fordista e keynesiano quale sfortunata parentesi nel progresso capitalistico (Halal, il quale sembra vicino alla teoria di Schumpeter).
1) Il sistema capitalistico è orientato alla crescita per garantire i profitti e mantenere l’accumulazione del capitale. La crescita non è solo inevitabile, ma è anche positiva.
La crisi è rappresentata dall’assenza di crescita.
2) La crescita dipende dallo sfruttamento della forza lavoro durante il processo produttivo. Ciò non significa necessariamente che i lavoratori guadagnino poco. Ma solo che la crescita dipende dal rapporto fra quanto i lavoratori guadagnano e quanto creano.
3) Il capitalismo è necessariamente dinamico dal punto di vista tecnologico e organizzativo. Questo grazie alla concorrenza che lo spinge ad innovarsi. Questi cambiamenti dovrebbero spingere anche i lavoratori a trovare sempre nuovi sistemi di lotta per affermare le loro prerogative.
Sappiamo che Marx fu in grado di dimostrare che queste tre condizioni necessarie del modo di produzione capitalistico erano incoerenti e contraddittorie. Per Marx il capitalismo era sempre in pericolo di crisi.
La capacità del capitalismo di assorbire la crisi e di farne un punto di forza per innovarsi e svilupparsi è ampiamente dimostrato.
Il ruolo delle comunità per l’attuazione del socialismo non è quello di sottolineare l’impossibilità per il capitalismo di evitare la crisi e di soccombere, come non è neppure quello di fare le pulci agli errori del capitalismo e delle conseguenze per i lavoratori (lo fanno già troppo bene gli economisti pagati dal capitale), ma quello di favorire la crisi e il suo definitivo crollo.
Ogni forma di comunità insorgente sui luoghi del lavoro (arteria principale del capitalismo) non deve fornire nessuna collaborazione sindacale a forme di accordo contrattuale. Le comunità devono sviluppare una loro particolare forma lavorativa all’interno della struttura capitalista, costruendo contropotere, attuando forme insorgenti di messa in comune del bene lavorativo.
Il socialismo dei socialisti ha fallito rincorrendo il capitalismo.
Un errore da non ripetersi.